È passato poco più di un anno di governo Meloni, le priorità annunciate dal ministro della Giustizia sul carcere e sul sistema penitenziario sono rimaste al palo. L’esecutivo ha invece aumentato pene e sanzioni, secondo uno schema populista che Carlo Nordio stesso criticava.

Il 22 ottobre 2022 il governo guidato da Giorgia Meloni è entrato in carica, con la premier e i ministri che, come da rito, hanno giurato davanti al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Quel giorno c’era anche il ministro della Giustizia Carlo Nordio che, sul tema del carcere e delle pene, molto aveva detto e preannunciato. Però, come vedremo, tutto è rimasto nelle intenzioni.

Solo pochi giorni dopo il giuramento davanti al capo dello Stato, Nordio ha dichiarato che le carceri sarebbero state la sua priorità. “La certezza della pena, che è uno dei capisaldi del garantismo, prevede che la condanna dev’essere eseguita, ma questo non significa solo carcere e soprattutto non significa carcere crudele e inumano che sarebbe contro la Costituzione e i principi cristiani”, ha ripetuto il ministro, pronunciandosi anche rispetto alla necessità di costruire nuove carceri e migliorare quelle esistenti.

Pochi settimane prima della sua nomina, Nordio aveva rilasciato altre dichiarazioni: “Chi usa di frequente frasi come ‘dobbiamo aumentare le pene’ fa squillare nei propri interlocutori alcuni campanelli d’allarme molto preoccupanti. Perché chiedere più pene significa rinunciare ad applicare le sanzioni che già ci sono oggi. Un anno dopo sul carcere è calato il silenzio e l’inattivismo, mentre sul fronte penale tanto si è mosso, molte pene sono state aumentate, nuovi reati sono stati varati e quel populismo penale che Nordio criticava, sembra invece essere diventato uno dei fari che guida l’intervento del governo in tema di giustizia.

Ma andiamo con ordine e partiamo dal carcere. Al momento della nomina del ministro, detenute e detenuti erano 55.835 (dato al 30 settembre 2022), mentre soltanto un anno dopo in carcere si contano 58.987 persone. Oltre 3mila in più in soli 12 mesi. L’Italia, a passi rapidissimi, si avvicina ai numeri che nel 2013 costarono la condanna dal Tribunale dei diritti Umani minimo vitale di 3 metri quadrati a persona. Spazio che, dalle visite effettuate nel 2023, mancava in alcune delle celle di 16 dei 51 istituti visitati. Succede anche che in certe carceri ai letti a castello si stia aggiungendo il terzo piano, il che significa dormire a due metri da terra e a pochi centimetri dal soffitto. Quando l’Italia ha subito la condanna della Cedu i ricorsi presentati dalle persone detenute furono circa 4mila. A seguito della pronuncia della Corte di Strasburgo, il nostro Paese introdusse una serie di novità legislative e una di queste riguarda i rimedi compensativi (in giorni di sconto della pena o in denaro, a seconda se si fosse ancora detenuti o già si fosse tornati in libertà) per chi è sottoposto a trattamenti inumani e degradanti. Nel 2022 sono arrivate agli uffici di sorveglianza italiani 7.643 istanze per violazione dell’art. 3 (la maggior parte proprio per l’assenza dello spazio minimo vitale di 3 metri quadrati). Di queste, 4.514, vale a dire il 57,4 per cento, erano state accolte.

Dell’edilizia penitenziaria, poi, neanche l’ombra. Ma questo non è un male se si guarda ai costi. Per costruire un nuovo carcere in grado di contenere 250 persone, servono circa 25 milioni di euro. Ma si parla solo delle mura. Perché poi un carcere va riempito di attività e personale, quest’ultimo già drammaticamente sotto organico in ogni ruolo. Queste evidenze, che fanno capire quanto l’edilizia penitenziaria non può rappresentare da sola la soluzione, il dibattito interno all’attuale governo resta focalizzato su questa prospettiva, di fatto condannando l’esecutivo all’immobilismo, anche rispetto a misure alternative alla detenzione, meno costose e capaci di produrre un impatto positivo in termini di minore recidiva. Oggi queste misure interesserebbero circa 8mila persone. Individui che, invece, continuano a rimanere chiusi dentro gli istituti, sempre più affollati. Affollati anche come conseguenza dei più recenti interventi governativi.

Se sul fronte carcere è tutto fermo, in questo primo anno di esecutivo Meloni molto è stato fatto invece sul fronte penale, dove il governo ha continuato a utilizzare e alimentare quel che lo stesso Nordio definiva populismo, ovvero rispondere ai problemi aumentando pene e sanzioni. Ricordiamo la legge contro i rave party, con le pene più severe previste per chi organizza feste illegali; il decreto Cutro, che prevede l’aumento delle pene per gli scafisti fino a 30 anni di carcere; la norma sulla violenza agli operatori medici, con pene più alte per chi minaccia o compie atti di violenza ai danni del personale sanitario; il nuovo reato di omicidio nautico, con pene e aggravanti per chi provoca lesioni gravi o morte di persone al timone di un’imbarcazione.

E ancora, tra gli altri, il decreto Caivano, che merita un’attenzione a parte per le sue numerose implicazioni anche sul sistema penitenziario. Si alzano le pene per lo spaccio di lieve entità, comportando così la possibilità di arresto in flagranza e di custodia cautelare in carcere (sia per gli adulti che per i minorenni); per i soli minorenni viene potenziata la facoltà di arresto in flagranza per il reato di “porto d’armi od oggetti atti ad offendere” e si inaspriscono le pene, fino a raddoppiarle, da due a quattro anni. Si introduce la pena fino a due anni di reclusione per i genitori di un minore in età di obbligo scolastico, nel caso di dispersione assoluta e fino ad un anno in caso di elusione dell’obbligo.

Senza dimenticare una serie di disegni di legge, come la proposta di portare a cinque anni di carcere chi esalta condotte illegali sul web; quella per introdurre nuove pene per l’occupazione abusiva di immobili; l’introduzione del reato universale di gestazione per altri che, già approvato dalla Camera lo scorso luglio, è ora in discussione al Senato. Molti di questi provvedimenti derivano da un attivismo legislativo del governo che non ha mai registrato pari in epoca repubblicana. In questi primi 12 mesi, infatti, secondo i dati raccolti da Openpolis, il 55,8 per cento delle norme approvate sono state leggi di conversione, per le quali il parlamento diventa quasi esclusivamente un organo ratificante. Anche molti degli interventi succitati sono frutto di questa decretazione d’urgenza. Non è mai facile fare un bilancio, soprattutto quando l’arco temporale è breve, tuttavia il carcere arrivava da un 2022 drammatico, con un numero di suicidi (85) mai registrati prima. Si erano chiesti interventi urgenti che il governo non ha intrapreso, neppure quelli minimi, come l’aumento delle telefonate per cui il ministro Nordio si era impegnato solo poche settimane fa, dopo il duplice suicidio di due donne avvenuto a distanza di pochi giorni nel carcere di Torino, e che non ha avuto alcun seguito. Noi di Sbarre di zucchero continueremo nel nostro mostrare la faccia.