L’araba fenice della politica italiana, l’approdo quasi cechoviano di partiti senza nocchiere è indubitabilmente Mario Draghi. Che, peraltro, più giovane di Mattarella, di Biden o di Trump, non sembra avere nessuna intenzione di tuffarsi nell’agone politico sporcando specificità e competenze che sono di una vita spesa nell’economia, praticamente a partire dagli anni in cui sgambettava come promettente cestista nella squadra dell’Ex Massimo, impegnata nei massimi campionati di basket al Palazzetto dello Sport di Roma.
In questi mesi Draghi fa la parte del Godot che si aspetta ma non arriva mai. Perché non ha nessuna intenzione di dilapidare il prestigio anche internazionale conquistato in questi anni immischiandosi nelle piccole logiche compromissorie della politica italiana. Fateci caso, quando la politica chiama i tecnici, è perché essa stessa è strutturalmente in crisi e denuncia la propria impotenza a risolvere al proprio interno e nel recinto del proprio mandato istituzionale le questioni d’attualità. L’esperienza deludente di Mario Monti del 2011 non è stata messa a frutto.
Dunque Draghi viene conteso e reclamato da un vasto arco costituzionale che grosso modo va da Renzi a Berlusconi, passando per Salvini il che già depone sull’incoerenza della proposta. Draghi viene proposto come l’anti-Conte ma in realtà è la cartina di tornasole della crisi della politica. Del vuoto pneumatico in cui si dibatte, scalciando, l’opposizione. Che rinuncia a priori al proprio ruolo vero e tenace e, conscia di non poter proporre i propri consumati leader come autentica alternativa di sistema, sbandiera il nome di Draghi, inesportabile vessillo.
Nel nostro piccolo invece un’opzione la sosterremo con forza, ispirati dalla coerenza della società civile e dal suo gradimento. Perché non creare un forte fronte comune che spinga una possibile candidatura di Mario Draghi a presidente della Repubblica? Non dimentichiamo che questa opzione sarebbe sulla scia della valida ma bocciata chance di Stefano Rodotà.
Considerando che Mattarella non ha alcuna intenzione di imitare Napolitano e di ricandidarsi e valutando la demagogica quanto politicamente corretta intestazione di possibilità per un personaggio femminile a prescindere (citate Casellati, Bonino e Cartabia), l’orticello dei candidati appare insolitamente ristretto.
Fuori dal contesto Prodi per raggiunti limiti di età e Berlusconi, per quel motivo ma anche per un minimo di decenza, la popolarità prismatica di Mario Draghi potrebbe avere un seducente appeal in cui tutte le forze politiche potrebbero riconoscersi. La stima acquisita potrebbe essere spesa per un ruolo di eccezionale garante. E, del resto, non sarebbe la prima volta di un presidente della Repubblica espresso dal mondo dell’economia. Basti ricordare Einaudi o, più recentemente, Ciampi, ancorché curiosamente laureato in economia.
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