Molte, varie, contraddittorie, sono le interpretazioni della Contestazione giovanile del ’68. A distanza di oltre 50 anni dal fenomeno che sconvolse università, licei e, in senso lato, la società del tempo,“il sistema”, andare alla radice di questo fenomeno epocale appare utile, alla luce dell’oggi, per individuarne i significati, che andavano da volontà di cambiamento e ricerca di un salto di qualità nelle relazioni umane ad esibizioni di narcisismo e, talvolta, a mero spirito distruttivo.
Ecco perché, oltre ad ascoltare voci ideologicamente orientate e, dunque, datate, pronte a giustificare personali opinioni di libertarismo incongruo e di liberazione degli istinti, rievocando anche i graffiti contenenti slogan dappertutto quasi uguali o equivalenti, è indispensabile consultare quel personaggio dalla vista così acuta da essere incompreso, frainteso e a volte anche dileggiato dai media e persino da alcuni tra gli opinion leaders del tempo, sprovvisti della sua capacità di interpretare la lezione della storia e le tendenze del futuro.
Mi riferisco a Giorgio La Pira, nativo di Pozzallo in Sicilia e “sindaco santo” di Firenze dal 5 luglio 1951 al 27 ottobre 1957 e poi dal 7 marzo 1961 al 15 febbraio 1965, profeta disarmato di straordinaria intelligenza degli eventi del suo tempo, autore di gesti profetici tali da lasciarci ancor oggi senza parole, a meno che non diamo lo spazio dovuto alla sua fede cristiana, incarnata e vissuta in profondità col supporto di un’acutezza mentale non comune, finalizzata alla ricerca del bene, del vero e del bello.
Due sono, in particolare, i testi fondamentali della sua analisi del fenomeno della Contestazione, cui mi atterrò per dar conto delle sue intuizioni sulla rivolta dei giovani del ’68 che, poi, fu strumentalizzata dall’ideologia marxista, peraltro allora già in evidente declino, e dal libertarismo radicale: 1) il discorso di La Pira ai giovani in occasione della Conferenza Internazionale della Gioventù per la pace e il disarmo (26 febbraio 1964), in cui illuminava in anticipo gli scenari dei tempi nuovi; 2) il discorso pronunciato a Firenze nell’agosto 1968, dunque a ridosso del famoso Maggio ’68 francese, il cui titolo, “I giovani hanno deciso: vogliono mille anni di pace”, chiarisce l’impostazione di fondo della sua interpretazione. Felicemente sorpreso dal carattere universale della Contestazione globale, egli esprime anzitutto la precisa convinzione che la peculiarità principale della «rivolta dei giovani» è la sua contemporanea esplosione in ogni parte del globo in forme completamente inattese.
La Contestazione ha indiscutibilmente dato un volto alla storia di fine anni ’60 e ben oltre, mettendo in movimento «in modo irreversibile» – è questa la sua convinzione inossidabile – forze storiche, politiche e culturali immense «nei paesi dell’ovest come in quelli dell’est, in quelli del nord, come in quelli del sud». Questo carattere globale inedito per i movimenti giovanili di ogni tempo poneva pertanto un interrogativo che Giorgio La Pira ritenne suo ineludibile dovere analizzare per individuare il significato storico del ’68 e dintorni, «di questa inattesa, inedita e contemporanea rivolta dei giovani».
In altre parole, si trattava, a parer suo, di capire che senso avesse questo fatto davvero nuovo, che mise in crisi, sotto giudizio, le strutture della civiltà umana e che, proprio per tutto ciò, assunse la denominazione di Contestazione globale. Non c’è dubbio infatti che le strutture della società furono colte di sorpresa e scosse dalle fondamenta da questo fenomeno.
Sappiamo come intorno a queste evidenze siano sorti in Europa, in America e in parte nei regimi totalitari del tempo (URSS, Cina…), nel resto del mondo insomma, studi, interpretazioni, analisi, approfondimenti culturali e sociologici, che, «per diritto o per rovescio», hanno preso le mosse «da questo fatto di contestazione globale che, come vento di marzo, continua a scuotere senza cessare la presente stagione storica del mondo».
Mi pare tuttavia opportuna una breve digressione per chiarire il limite della Contestazione globale ridimensionando un po’ l’insistenza di La Pira sul fatto che essa interessò tutti i continenti. Ebbene, sappiamo che, dall’espressione tendente a inglobare «tutto il mondo», vanno espunti i paesi arabi musulmani ed altri come l’Iran, l’Iraq, il Pakistan, l’Afghanistan ecc. che, a causa del loro abissale ritardo culturale, in buona parte pesante eredità della loro adesione all’Islam, negatore per definizione di ogni forma di progresso, non erano in grado di percepire gli aneliti di liberazione che scossero i giovani di gran parte del globo.
Rientrando nell’ambito dell’analisi di Giorgio La Pira, impressiona la concretezza delle domande che si pone a fronte del fenomeno della Contestazione: «Cosa è? Di che si tratta? Perché è nata? Dove tende? Come mai questo fatto nuovo, unico, nella storia del mondo?».
È a questo punto che egli introduce un’immagine che per sempre resterà collegata alla Contestazione globale dei giovani, quella degli stormi di uccelli migratori che, al mutare della stagione, prendono il volo e si spostano da un continente a un altro. Un’immagine da tener presente per andare alle radici dell’interpretazione del “sindaco santo” di Firenze. «Perché – si chiedeva – gli uccelli, con immense schiere coordinate e compatte, migrano di continente in continente? Perché la stagione è mutata; e quando la stagione è mutata il loro movimento migratorio è inevitabile ed irreversibile!». Ecco due aggettivi da sottolineare! Sulla base di questa immaginifica visione, che applicava al movimento giovanile mondiale del ’68, egli vide nella Contestazione globale giovanile «un fatto di inevitabile ed irreversibile migrazione delle generazioni nuove, che, mutata la stagione storica, si muovono, appunto, inevitabilmente ed irreversibilmente verso continenti nuovi, verso civiltà nuove, strutture nuove, società nuove». Tout se tient nell’analisi del pozzallese.
A parte la valutazione sui metodi di azione – scioperi, raduni rock, cortei, occupazione di università e scuole – egli vedeva le masse giovanili decise a far passare la storia e la civiltà dalla stagione storica dell’inverno alla stagione storica della primavera e dell’estate. Ecco il significato profondo, e qualificante, a suo avviso, della Contestazione globale giovanile. Si tratta di un’intuizione, meglio di una percezione intuitiva, istintiva, da parte delle nuove generazioni, consapevoli del mutamento qualitativo di stagione intervenuto nella storia del mondo.
Dinanzi a questa visione, il richiamo biblico, da parte di La Pira, è inevitabile; infatti, egli chiama a convalidare questa sua rappresentazione del fenomeno alcuni fatti biblici validi per tutti coloro, ebrei e cristiani in primo luogo, che costituiscono il nucleo della rivelazione abramitica. E non solo.
Opportunamente, allora, rievoca Mosè e Giosuè che guidano il popolo di Abramo, di Isacco e di Giacobbe verso la terra promessa, attraversando il Mar Rosso, il deserto e il Giordano. Quando il tempo dei grandi passaggi è arrivato – e a questo proposito cita Esodo, XII, 37 sgg.; Giosuè, II, 1 sgg.; III, 3 sgg.; IV, 6 sgg. -, quando si tratta di passare dall’inverno della schiavitù d’Egitto e del deserto «alla primavera della libertà, della terra promessa ove scorre latte e miele», ecco che tutto il popolo di Israele, il popolo di Dio, in contestazione contro il Faraone incapace di discernere il nuovo, si muove irreversibilmente, superando ogni ostacolo, verso le nuove frontiere della terra promessa! È così che La Pira pone la contestazione globale giovanile in rapporto con l’irreversibile migrazione del popolo di Israele dall’inverno egizio al continente della primavera.
Subito dopo, si sposta sul terreno della realtà effettuale spiegando che cosa sia la stagione nuova, il continente nuovo verso cui vede proiettata la trasmigrazione delle generazioni nuove. È allora che si sofferma sulla radicale novità rappresentata, rispetto a tutte le epoche storiche precedenti, dal tempo storico che ha assistito allo sganciamento della bomba atomica a Hiroshima (6 agosto 1945) e a Nagasaki (9 agosto 1945). Questa duplice immane sciagura ha posto il genere umano dinanzi a un bivio. Per dirla con La Pira, dopo questi eventi inediti nella loro tragicità, «il genere umano si trova davanti a una scelta apocalittica, finale: scegliere, cioè, o la sua distruzione o il disarmo totale e la pace per sempre», con la conseguenza della conversione delle armi in aratri e delle spese di guerra in costruttive spese di pace. Tertium non datur. Ecco, in sintesi, il «sentiero di Isaia», da lui più volte evocato. In questo senso, la nostra è anche un’età finale, quella della pace per così dire obbligatoria, pena la catastrofe finale della terra. Tutto ciò che in passato veniva riposto nel cantuccio dell’utopia, cioè la pace universale, per effetto dell’invenzione della bomba atomica, è obbligato a diventare realtà storica.
Ma, in pratica, che cosa esprimevano le nuove generazioni? La sua risposta è lineare: le nuove generazioni si chiedono perché mai «attardarsi ancora nella stagione invernale degli armamenti nucleari? Perché non scegliere decisamente il passaggio all’età della pace?». “Nova sint omnia!”.
Sempre in tema di concretezza il “profeta” La Pira calcolava che l’eventuale conversione delle spese di guerra, delle «armi in aratri», che allora ammontavano a 200 miliardi di dollari annui, avrebbe potuto risolvere il problema della fame nel mondo e sconfiggere l’analfabetismo e l’ignoranza. Secondo lui, i giovani del Maggio ’68 rappresentavano questa novità: come la scoperta dell’energia nucleare e, dunque, delle bombe atomiche definiva, specificandola, la nuova era del mondo, così la Contestazione globale dei giovani dava a questa nuova era una identità inedita, le cui caratteristiche egli enunciava nel modo seguente:
- le nuove generazioni hanno preso coscienza della stagione irreversibile della pace per sempre. Come Mosè dal monte Nebo vide la terra promessa, esse, fiutando il cambiamento epocale, hanno visto la via inevitabile della pace e preso atto della impossibilità della guerra;
- i giovani hanno rimproverato alle generazioni passate e ai dirigenti politici presenti nel mondo la loro inintelligenza dell’età nuova della storia, fondata sulla pace, sul disarmo e sullo sviluppo dei popoli. Così, hanno duramente denunciato la loro ottusa resistenza intellettuale e politica dinanzi all’avanzata della storia verso le nuove frontiere della terra promessa, nonché il loro pigro attardarsi nel deserto della stagione invernale della guerra, del sottosviluppo, della fame, del razzismo, del colonialismo, dell’oppressione.
Temeva che ci si volesse attardare nell’inverno storico e, biblicamente argomentando, nella schiavitù d’Egitto, che non si volesse attraversare il Mar Rosso e poi il Giordano, che non si volesse irrompere nella terra promessa. Questi gravi sintomi di resistenza egli individuava non metaforicamente ma realisticamente, ad esempio, nel tentativo di inversione di rotta iniziato con l’assassinio di John Kennedy (22 novembre 1963), con la paurosa ripresa dell’equilibrio del terrore, con la cieca riduzione degli aiuti ai popoli in via di sviluppo e soprattutto con i crescenti squilibri tra nazioni ricche e nazioni povere e con l’aggravarsi della guerra in Vietnam e nel Medio Oriente.
Gli metteva paura l’incapacità delle massime autorità mondiali, «intellettualmente e politicamente invecchiate», di percepire «l’irreversibile avanzata della storia verso la terra promessa», che egli identificava con il piano di Dio. Secondo La Pira, era finalmente apparsa sulla scena terrena una rivolta capace di mettere in crisi le strutture costruite sempre in funzione della «guerra di domani». Contestualmente era necessario restringere gli ambiti del diritto di proprietà, «più esattamente – precisava – quella proprietà privata di grandi dimensioni che con la destinazione incontrollata del profitto provoca le tremende ingiustizie del mondo e causa l’immensa e crescente ricchezza degli uni e l’immensa e crescente povertà degli altri». Grazie alla contestazione del diritto di proprietà privata esagerata, ci si poneva nella condizione di risolvere «in radice» le situazioni di disoccupazione, di ignoranza, di malattia, di sottosviluppo di «due terzi della famiglia dei popoli». Ma ecco che, subito dopo, si poneva un interrogativo: «E fra mezzo secolo?».
Ebbene, oggi siamo nella condizione di rispondere a questa domanda: dopo 50 anni, le strutture di inintelligenza del nuovo da lui denunciate sono peggiorate anche a causa della globalizzazione: basti pensare che una sparuta minoranza di plurimiliardari possiede ben oltre il 90% della ricchezza del globo.
Tuttavia, forte delle sue convinzioni, così manifestava il suo ottimismo: «I giovani sono destinati a fare il passaggio nella terra promessa: il tempo di partenza è già venuto: e quando il cammino è cominciato nessuno più lo ferma!».
Siccome, però, Giorgio La Pira non era né sprovveduto né tanto meno ingenuo, si chiedeva: «Si lasceranno i giovani tentare dal vitello d’oro o apriranno la loro vita interiore agli splendori della bellezza che da Dio discende e che è il punto omega che verso di sé attrae, oltre che la vita degli uomini, la storia totale del mondo?». Ecco lo spartiacque! Egli ben conosceva e temeva le facili seduzioni della civiltà orizzontale dei consumi che avrebbero potuto velare e occultare la bellezza della civiltà verticale, ove abbondano i valori terrestri ma prevalgono la contemplazione e il possesso dei valori celesti.
Il timore era dettato probabilmente dal fatto che molti contestatori del tempo innalzavano cartelli inneggianti a Mao, Marx e Marcuse e riempivano di graffiti spesso fin troppo goliardici, volgari e anticristiani i muri della Sorbona e, in genere, delle università e scuole superiori. Ne segnalo alcuni: “Make love not war” (là dove l’amore evangelico era di fatto assente per far posto ad una concezione solo materialistica, consumistica dell’amore), “Né padrone né Dio”, “Vietato vietare”, “L’immaginazione al potere”, “Diamo l’assalto al cielo”, “Anche se Dio esistesse bisognerebbe sopprimerlo”, “Là dove c’è il sacro, ecco il nemico”, “Abbasso il rospo di Nazareth”, che faceva da contrappeso a “Solo Cristo è rivoluzionario”, “Godetevela senza freni”, “Esagerare è cominciare ad inventare”, “Ho qualcosa da dire ma non so che”…
La Pira riteneva però che, al di là delle “boutades”, i giovani sarebbero stati sospinti «istintivamente verso le grandi bellezze di Dio». Inoltre, a coloro che pensavano che la contestazione potesse significare opposizione al progresso scientifico, industriale, tecnologico, sociologico, culturale, egli replicava chiarendo che le strutture scientifiche e tecniche sono i soli strumenti adeguati per risolvere i grandi problemi dei popoli: «Si tratta solo di convertire e di orientare queste strutture – ed in un modo definitivo e radicale – non più verso la guerra, ma verso la pace: non più verso il crescente squilibrio economico fra nazioni ricche e nazioni povere, ma verso l’abbondanza giusta delle une e delle altre; non più verso la divisione razzista, nazionalista, colonialista, […] non più verso la creazione di muri che dividono ma verso la creazione di ponti che unificano».
In conclusione, procedendo così verso le vette della bellezza di Dio e dell’Amore eterno di Dio, si sarebbe realizzata l’autentica liberazione delle persone e dei popoli.
Questa la visione profetica della contestazione globale secondo Giorgio La Pira. A distanza di mezzo secolo, sappiamo purtroppo che l’utopia della pace universale rimane tale, mentre la realtà della guerra e della violenza continua a mietere vittime e a terrorizzare il mondo.
Il rischio di una rivoluzione etica per salvare l’umanità dai pericoli della guerra e dagli squilibri economici scatenò, dopo il ’68, la reazione, economicamente e politicamente parlando, dei padroni del mondo, i quali, compiacendo le ideologie in declino e per stornare l’attenzione dei giovani dai mille anni di pace profetizzati da La Pira, si affrettarono ad offrire loro i paradisi artificiali della droga e un simulacro di liberazione sessuale che invero, era solo una semplice riduzione del sesso a mero oggetto di piacere.
Gli abili burattinai che hanno manipolato la pars construens della Contestazione giovanile, così ben interpretata da Giorgio La Pira, ne hanno realizzato la pars destruens aprendo spazi immensi alla scristianizzazione della società, al secolarismo, all’apostasia di massa e consegnando la società al relativismo etico e al nichilismo, tra i cui figli legittimi riscontriamo aborto, eutanasia, fecondazione eterologa, utero in affitto, senza contare le aberrazioni delle ideologie del post-umano e del transumano, che aprono scenari apocalittici per l’avvenire dell’uomo e del mondo.
Tutto ciò toglie forse qualcosa alla carica ideale con cui La Pira invitava a prendere coscienza della necessità di intraprendere il sentiero di Isaia passando dall’inverno dalla schiavitù e del deserto alla primavera della terra promessa? Non è forse vero che il genere umano, oggi, all’inizio del 2021, si trova ancor più che nel ’68 dinanzi ad una scelta apocalittica, finale? Sottoposti alla dittatura del Covid-19, non siamo ancor più che nell’epoca della Contestazione nella necessità di scegliere tra il suicidio della famiglia umana, tra la distruzione del pianeta e la conversione delle armi in aratri, che oggi corrisponde anche con la necessità della fratellanza universale, gridata da Papa Francesco?
Sotto l’incalzare del coronavirus, è oggi possibile recuperare la lezione del profeta disarmato, tenendo conto che l’invisibile nemico ha posto l’uomo dinanzi alla barriera invalicabile della propria fragilità? Dall’inverno della schiavitù della precarietà e della post-modernità, che non ci libereranno dal relativismo né dal nichilismo e neppure dalle fantasie perverse del post-umano e del trans-umano, in una parola dal vitello d’oro foriero di sventure umane, sarà possibile passare alla primavera della terra promessa, fondata sul recupero dei grandi valori spirituali e umani oggi interpretati, tra gli altri, da Francesco? Si faranno i giovani e meno giovani sospingere verso le vette della bellezza e dell’Amore di Dio, verso l’autentica liberazione dell’homo sapiens?