L’ultima pubblicazione di Mariana Mazzucato, a proposito del post-Covid, si intitola «NON Sprechiamo questa crisi». È con lo spirito di questa affermazione che ho raccolto queste tracce per riflettere sugli effetti positivi che il nostro Paese potrà sfruttare nello scenario delle risorse disponibili per il recupero del gap digitale italiano nei confronti degli altri paesi europei.
Aspettate però a leggere le prime righe prima di catalogarmi tra i tecnoentusiasti, quelli ai quali si rivolge la critica di non considerare la black box society in cui ci faranno precipitare – se già non ci siamo – l’uso sconsiderato di algoritmi senza controllo che prendono decisioni per nostro conto e della tecnologia che ambisce a sostituire l’uomo anche nella sua sfera cognitiva.
Vorrei a questo proposito dichiarare il mio punto di osservazione. Vivo nella mia bolla epistemica, come ormai si dice in gergo, cioè vado cercando più le evidenze che mi danno ragione piuttosto che verificare intorno a me tutto ciò che può smentire le mie ipotesi personali. Ma lo faccio consapevolmente. Premetto anche che non sono affiliato a nessun social network a causa della mia diffidenza e per scetticismo. Perciò mi illudo di sfuggire alla profilazione dei miei gusti e tendenze, pensando di non essere ancora un obiettivo commerciale prevedibile ed influenzabile nelle sue scelte. Mi illudo, ma so di non poter sfuggire a lungo, mentre mi perdo certamente molte occasioni di conoscenza ed interazione professionale dalle quali trarre altri spunti ed insegnamenti. Cioè mi tengo ai margini dalle applicazioni digitali più diffuse, osservo e mantengo ancora il mio spirito critico, ben sapendo che una interpretazione su basi umanistiche e generaliste del futuro tecnologico ha bisogno di evolvere anch’essa in fretta, almeno quanto il mondo che osserva.
Nel frattempo scrivo su queste pagine digitali e perciò mi affido alla tecnologia per comunicare.
Nella ricerca di conferme alla mia idea che la tecnologia ci sta presentando occasioni straordinarie di migliorare il nostro mondo non sono certo solo. La mia è una piccola esperienza pratica; autori prestigiosi e studiosi di scienze sociali, scienziati e centri di ricerca affermano con decisione che la tecnologia sia definitivamente human compatibile e che di conseguenza il problema delle applicazioni pervasive di Intelligenza Artificiale sia principalmente quello del loro controllo e della posizione critica nei confronti dei dati che non mentirebbero mai.
Vorrei qui elencare tre tracce di queste prospettive tecnologiche e del cambiamento di cui ho avuto in questi ultimi anni qualche conoscenza diretta:
Prima traccia, la velocità di soluzioni inimmaginabili.
Il relatore che mi precedeva in un seminario di specialisti qualche anno fa prese la parola e, prima ancora di commentare le immagini che faceva scorrere sul video, disse: «Voi qui mi vedete come sono, ma se vivrò altri vent’anni sarò immortale!». L’uditorio si riprese a stento dallo sconcerto, ma tutti noi avevamo sottovalutato che il nostro relatore apparteneva alla comunità della Singolarità, la scuola di pensiero che afferma che la crescita esponenziale della scienza e della tecnologia è tanto veloce da provocare un salto qualitativo definitivo nei rapporti tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda. Ingegneria genetica, nanotecnologie ed Intelligenza Artificiale sono viste come uno strumento formidabile di potenziamento degli esseri umani, anche oltre i loro limiti biologici. Mentre schiere di seguaci approfittano della criogenia per fermare il loro tempo ed attendere cure oggi sconosciute, il nostro mondo si è quasi fermato per effetto della pandemia da Covid 19 e sue successive mutazioni.
Quale lezione trarre? Dalla esperienza della influenza spagnola abbiamo imparato che le particolari condizioni del contagio per prossimità di milioni di persone sul fronte della 1° Guerra Mondiale ne hanno accelerato la diffusione e che il ceppo virale è stato isolato solo 15 anni dopo la sua comparsa e 50 milioni di morti su una popolazione mondiale totale di meno di 2 miliardi di persone. Questo avveniva un secolo fa. Non è difficile dedurre che le sfide che l’umanità ha dovuto affrontare da allora sono state rese più severe dalla crescente connessione fisica e logistica del mondo antropizzato, ma anche affrontate e risolte grazie allo scambio di esperienze e alla scala delle conoscenze mediche condivise su scala globale, tanto da avere oggi vaccini disponibili materialmente nel giro di 12 mesi o poco meno.
Questo gradiente di miglioramento ha messo in evidenza nuovi fini dello sviluppo tecnologico centrati sulle persone, la loro salute, sicurezza e benessere ambientale. Nuovi approcci alla medicina personale basati sui profili genetici, sulla interpretazione dei dati attraverso il riconoscimento di immagini e la interpretazione tramite algoritmi, nonché sul monitoraggio costante da remoto delle condizioni fisiche individuali sono già oggi disponibili e gli investimenti in questa direzione stanno avendo accelerazioni impressionanti. La dottrina del patient empowerment creerà nuove condizioni di autonomia e consapevolezza delle persone, assistite da sensori digitali dotati di capacità di apprendimento e connessi con centri di competenza pronti e reattivi alle necessità. La rilevazione dei parametri vitali in tempo reale si può già oggi associare ad un numero assai esteso di analisi cliniche cardiologiche, respiratorie, termiche, elettrodermiche, polivirali, di ossigenazione, di attività e stress fisici e nervosi permettendo la costruzione tracciabile di storie personali della salute individuale a fini di prevenzione e terapia, non solo per le popolazioni a rischio, a costi accessibili e a casa o sul luogo di lavoro. La sfida non è la tecnologia, ma la capacità di adattarsi alle nuove regole, la burocrazia e la autodifesa delle corporazioni professionali e delle vecchie scelte di politica sanitaria ospedali-centrica.
Seconda traccia, la rimozione della fatica.
Visitando qualche anno fa un importante stabilimento di produzione automobilistico la mia curiosità fu attratta dalla completa assenza di personale sulle linee di verniciatura, assistite da robot antropomorfi. Chiesi ed ottenni una risposta imbarazzata. In effetti sopravvivevano alcuni operai verniciatori che erano addetti alla educazione dei bracci robotici per compiere operazioni non modellabili dalla simulazione sw e che risultavano possibili solo grazie alla emulazione diretta dei comportamenti delle persone esperte. In questo caso il trasferimento di esperienza si era realizzato sul campo e nuovi mestieri erano diventati quelli di educazione delle macchine.
Quello della accelerazione dell’accumulo di esperienza è in effetti una frontiera delle applicazioni robotiche che usano il sapere già disponibile e ne creano di nuovo e più aggiornato, cumulandolo in tempi brevissimi e potendo agire su scala illimitata. È già possibile, indossando gli strumenti della realtà immersiva, entrare all’interno di un impianto, toccare, osservare e smontare le macchine, i sottoassiemi ed i componenti di cui esso è costituito, investigare i cicli di montaggio e manutenzione, simulare le operazioni del ciclo di produzione accumulando expertise in maniera veloce e senza rischi ed aumentando efficienza mentre si migliora la qualità del lavoro. Nello stesso modo si possono effettuare prognosi manutentive da remoto realizzando interventi mirati basati su dati provenienti da sensori embedded, cioè pensati per questo scopo insieme al progetto tecnico delle macchine.
Non c’è atteggiamento luddista verso queste nuove applicazioni che giustifichi la resistenza alla loro introduzione. I principali ostacoli sono culturali e di breve termine. Le persone che sono coinvolte direttamente in questi approcci sono le prime a valutarne gli aspetti positivi, mentre l’incerto bilancio tra posti di lavoro cancellati dall’automazione e creati dalle nuove tecnologie rimane dibattito di studiosi. Prendiamo atto che questa innovazione è al servizio dell’uomo, è creata dall’uomo e non si fermerà mentre prosegue il dibattito, come è già avvenuto nei cicli tecnologici precedenti. Si tratta di guidarla adeguatamente e di estenderla con incentivi e spirito di emulazione delle migliori esperienze. Molto spesso sono le piccole imprese – una caratteristica del capitalismo italiano – a guidare le applicazioni più innovative e le grandi imprese faticano molto a contaminarsi con le regole che caratterizzano strutture più piccole, come la velocità del time to market, nuovi standard creativi basati sulla fiducia, la velocità di circolazione delle idee e la tolleranza per un loro eventuale fallimento. Attivare nuove relazioni in questo circuito è anch’essa una significativa occasione di cambiamento e chi lo sta facendo ha già dei vantaggi evidenti.
Terza traccia, i processi decisionali intelligenti.
L’errore è una condizione del progresso, sempreché gli algoritmi che discriminano, chiamati da qualcuno “armi di distruzione matematica” – ci sono molti esempi nel mondo bancario di matrice anglosassone per quanto riguarda le discriminazioni razziali nel merito di credito – siano ricondotti al controllo del loro apprendimento ed orientati a fini eticamente sostenibili.
L’utilizzo di Intelligenza Artificiale per surrogare processi cognitivi e decisionali delle persone ha sicuramente impatti potenzialmente problematici, ma apre anche strade straordinariamente promettenti. Immaginiamo l’utilizzo di Linguaggi Naturali Semantici che assistano le persone competenti nell’affrontare la complessità crescente delle norme e dei dispositivi regolamentari per adottare decisioni prive di rischi burocratici, al momento ignoti o di difficile pre-cognizione, o per elaborare nuovi percorsi decisionali per risparmiare tempo nella implementazione delle decisioni di public policy. Immaginiamo lo sfruttamento della fotointerpretazione automatica delle immagini satellitari per i riflessi già oggi possibili nel censimento del territorio, nella produttività agricola, nel monitoraggio ambientale e nel controllo logistico delle mafie. L’intelligenza dell’uomo può essere già aumentata tramite Intelligent Decision Support System che hanno il pregio di estendere senza limiti di spazio digitale e di tempo di utilizzo la migliore competenza professionale e il più elevato standard cognitivo messi a disposizione dagli “esperti di dominio” che alimentano e controllano l’allenamento degli algoritmi. E lo stesso processo di ricostruzione delle ontologie professionali caratteristiche di ogni dominio – legale, amministrativo, dei beni culturali, della amministrazione giudiziaria, etc – può essere trasferito e applicato in un quadro di potenziamento del ruolo della struttura pubblica dello Stato nel dare orientamento ai privati e giocare un ruolo di «investitore innovativo di prima istanza».
La trasformazione della società e della Pubblica Amministrazione che ne può derivare è straordinaria e il miglioramento messo a disposizione delle persone lo sarebbe di conseguenza, dovendo nel contempo superare i consueti limiti derivanti dalla inerzia delle abitudini e dalle incomprensioni legate alla resistenza a conoscere e cambiare.
Queste tracce – nelle quali appare sullo sfondo il tratto comune che spesso l’innovazione digitale offre soluzioni a problemi che ancora non emergono e che vengono affrontati senza la consapevolezza tecnologica necessaria – mi portano a pensare che il nostro futuro non sarà solo quello di superare gli effetti della pandemia, ma anche quello di non sprecare questa crisi come occasione per ripensare a tecnologia ed innovazione da mettere a disposizione del maggior numero di persone possibile per migliorare la vita e le condizioni ambientali di ciascuno.
Foto di apertura di Gerd Altmann da Pixabay