Uno dei primi sintomi del Covid è la perdita dell’olfatto, che crea una forte sensazione di disagio. L’olfatto, infatti, senza che ne siamo del tutto consapevoli, è fondamentale per la nostra sopravvivenza: ci avverte della presenza di un pericolo, un incendio, una fuga di gas, della presenza di sostanze non commestibili quando stiamo mangiando.

Bad smell blue street sign di Argus

È anche legato al piacere, è una guida “sensuale” che ci fa trovare una persona attraente o sgradevole, ci fa “sentire” i nostri stati d’animo e quelli degli altri. Del fatto che la percezione degli odori sia soggettiva ha tenuto conto la normativa – civile e penale – che tutela i cittadini che vivano in luoghi che sono o avvertono come maleodoranti. Tali norme, pur essendo datate, sono “tarate” sull’intuizione che spesso l’odore è sgradevole perché così viene percepito. Estremizzando: basta che un solo soggetto senta un odore proveniente da un’attività situata nelle vicinanze come fastidioso, che l’azienda rischi pesanti sanzioni o risarcimenti.

Al di là della giusta tutela del cittadino, come può un’impresa, che voglia rispettare le regole, orientarsi nel ginepraio di norme europee, nazionali e regionali? La buona notizia – apparentemente – è che una legislazione europea in materia non esiste. Una legge in meno da rispettare, direte voi.  Ma non è un vantaggio: ogni paese dell’Unione europea si regola autonomamente e alcuni membri della Comunità semplicemente non hanno una legge specifica.

In Italia il problema è stato demandato alle Regioni e agli enti che rilasciano le autorizzazioni alle emissioni in atmosfera: il riferimento alle emissioni “odorigene”, inserito nel Testo Unico dell’Ambiente solo nel 2017, ha lasciato, infatti, ampia autonomia alle Regioni, che possono introdurre specifiche regolamentazioni e prevedere misure di prevenzione e di limitazione delle emissioni in base alle “unità odorimetriche” rilevate.

A cascata, le autorità amministrative possono fissare specifici limiti al momento del rilascio delle autorizzazioni per le emissioni in atmosfera, che abbiano un impatto olfattivo. Regioni ed enti devono considerare le caratteristiche degli impianti, le attività svolte, il contesto in cui sono inserite e possono imporre interventi “correttivi”, sia strutturali che gestionali. Nel caso di vicinanza all’abitato, possono essere previsti piani di contenimento degli odori. La localizzazione di nuovi stabilimenti produttivi deve avvenire in zone idonee, a distanza di sicurezza da insediamenti abitativi. Resta il fatto che molte Regioni si sono limitate ad approvare linee guida tecniche, come la Lombardia nel 2012.

Industrial-factory-di-Idambeer

Il risultato è che le imprese operano in un quadro non chiaro e che – a loro volta – i cittadini non sono in grado di stabilire quali siano i propri diritti e come farli valere. E l’Europa continua a nicchiare: nel marzo 2017 un gruppo di accademici polacchi ha sottoscritto una petizione insieme con esperti del settore di tutta Europa, chiedendo che il Parlamento Europeo inserisse le sostanze odorose tra gli inquinanti regolamentati dalla Direttiva Europea 2008/50/CE.

La risposta si è fatta aspettare fino al 2019 ed è stata negativa: l’Unione non intende «proporre alcun requisito specifico aggiuntivo per la regolamentazione dei fastidi agli odori». Il problema, secondo la Comunità deve essere affrontato a livello locale.

In sostanza ognun per sé, e il marasma o …il miasma prosegue.