La corruzione è un fenomeno dalle molte facce, o meglio è un complesso di fenomeni. Essa riguarda la sfera pubblica come la sfera privata. Può essere istituzionale, burocratica, militare, elettorale, giudiziaria, riguardare il mondo degli affari, o il costume, la morale. Più in generale, alligna negli ambienti dove il denaro circola con facilità. Non vi è alcuna società complessa che ne sia stata risparmiata in passato e ne sia esente attualmente. Ciò che cambia è il modo di percepirla. Il caso italiano è significativo.
Spesso gli Italiani guardano alla corruzione con leggerezza, quasi fosse un illecito minore, sottovalutando il suo potere infestante, o comunque senza dargli il giusto peso. Talvolta i mezzi di comunicazione di massa aiutano. Come? Minimizzando, banalizzando. Quando un uomo politico viene arrestato in flagranza di reato, per corruzione o concussione, può capitare che l’organo d’informazione che ne dà notizia non dica che è stato preso con le mani nel sacco, ma che «è stato beccato con le mani nella marmellata». La corruzione è uno dei temi preferiti dell’avanspettacolo. Vedi per esempio le battute o scene umoristiche di Maurizio Crozza, comico, imitatore e conduttore televisivo, alle quali si scoppia a ridere e si applaude a scena aperta. Ne dico una: «Chiedere ai 100 parlamentari indagati di corruzione di votare la legge contro la corruzione è come chiedere a Giovanna d’Arco di andare a far legna per un falò».
Non ride affatto, quando parla di corruzione, e neanche sorride, Piercamillo Davigo, già magistrato, già presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, autore del volume “Il sistema della corruzione” (Laterza, Roma-Bari, 2017). Davigo ha potuto nel corso della sua carriera esaminare da vicino e nel lungo periodo fatti e protagonisti della corruzione della criminalità organizzata, e occuparsene anche come giudice di legittimità. Egli trova che «questi due ambiti siano diversi, ma strettamente correlati», e descrive la corruzione come un fenomeno «seriale e diffusivo», ma anche «contagioso e organizzato».
«È seriale — spiega — in quanto coloro che sono dediti a questi illeciti tendono a commetterli ogni volta che ne hanno occasione, con ragionevole certezza d’impunità. È diffusivo in quanto corrotti, corruttori e intermediari, al fine di assicurarsi la realizzazione dei patti illeciti e di evitare di essere scoperti, tendono a coinvolgere altre persone, creando una fitta rete di interrelazioni illecite, fino a che sono gli onesti ad essere esclusi dagli ambienti prevalentemente corrotti».
In effetti — aggiungo io — la diffusione della corruzione “caccia via” le persone oneste. In un ambiente dove rubano tutti, quelli che rubano non tollerano la presenza in mezzo a loro di un uomo onesto, e si coalizzano fra loro per eliminarlo, mirando innanzitutto a privarlo della credibilità. Entra così in azione la macchina del fango, di cui parla Roberto Saviano, scrittore e saggista. Come fanno i veri criminali, i corrotti, quando vogliono eliminare un ingombro, un ostacolo alla loro attività di stampo mafioso, mettono l’onesto in cattiva luce, lo denigrano, lo diffamano, agendo alle sue spalle, nell’ombra, avendo la cattiveria di colpirlo, ma non il coraggio di mostrarsi.
Chiunque di noi vive normalmente di buona fama, perché questa ci consente di ricevere quella stima, quella considerazione e quelle comunicazioni rispettose e fiduciose che costituiscono il presupposto delle nostre normali relazioni sociali. Quando il rispetto e la considerazione vengono meno, per qualsiasi motivo, diventa difficile recuperarli. Di solito non si può che prenderne atto e tentare di limitare i danni. Quando va bene, questo significa rinunciare a una carriera che avrebbe potuto essere di successo, e chiedersi, alla fine, — rattristati — se ne sia valsa la pena, visto che il tuo sacrificio nessuno lo riconoscerà mai, e sarai considerato piuttosto come un ingenuo, un uomo dabbene, poco flessibile, che non si è saputo adattare.
Un altro libro sulla corruzione è “La corruzione spuzza” (Mondadori, Milano, 2017), di Raffaele Cantone, già magistrato, già presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, e Francesco Scaringella, che si occupa di giustizia amministrativa. Il titolo di quest’opera riutilizza un verbo coniato da Papa Francesco, che «serve proprio a dare l’idea del fastidio, ma soprattutto delle conseguenze che (la corruzione, n.d.r) ha sul cittadino comune». Cantone ne ha illustrato i contenuti in un’intervista al “Corriere della Sera”.
Foto di apertura: Gerd Altmann da Pixabay