Inquadrare il tema della difesa nel contesto dell’economia circolare non è certamente semplice e, per alcuni aspetti, può aprire un controsenso. Infatti, se la guerra è distruzione di risorse ed una spesa, spesso irrazionale, mirante alla moltiplicazione degli armamenti, ciò si pone in evidente contrapposizione al tema di una economia sostenibile, basata su di un virtuoso riutilizzo delle risorse.
La difficoltà deve, però, essere superata sulla base di una diversa concezione del modo di intendere il ruolo dei militari nel nostro Paese, anche alla luce dell’esercito professionale che ha sostituito quello, più occasionale, prodotto della leva obbligatoria.
Invero, l’assioma latino del si vis pacem para bellum (se vuoi la pace prepara la guerra) deve considerarsi superato dalle mutate necessità del vivere moderno nel quale la strategia è divenuta occupazione economica dei mercati e non invasione di territori. Pertanto, è necessario, soprattutto dopo tredici mesi di una pandemia che, giunta alla terza ondata di contagi, non sembra volersi arrestare, riconsiderare la scala dei valori che debbono essere ricollocati in differente gradazione rispetto allo scorso anno. Scala che continuerà ad operare anche dopo l’auspicato ritorno alla normalità, poiché il mondo dopo il virus non sarà uguale a prima.
Con lo scoppio della pandemia ha ritrovato, nella scala dei valori, un ruolo rilevante “il bene comune” che ha, per molti versi, sostituito la imperante cultura dell’ego. E questo è certamente un fatto positivo sul quale sarà possibile dare vita ad una nuova strategia finalizzata a produrre i vantaggi derivanti dall’economia circolare.
In questa strategia deve trovare spazio anche il sistema difensivo che va utilizzato per costruire la prevenzione dal punto di vista dell’intelligence e sanitario.
Va, dunque, usato l’esercito a tutela del diritto alla salute. In questa ottica l’utilizzo dei militari nella predisposizione della somministrazione dei vaccini è certamente condivisibile in quanto viene schierata la logistica dell’esercito nella guerra al virus, aumentando in maniera rilevante le potenzialità. Invero l’unica possibile mossa per sconfiggere la pandemia è quella di accelerare, con ogni mezzo, i tempi delle vaccinazioni al fine di giungere quanto prima all’immunità di gregge.
In questo contesto, nel quale abbiamo assistito alla compressione di non pochi diritti (molti di essi costituzionalmente garantiti), sacrificati sull’altare del bene comune della salute, è necessario riscoprire il diritto alla socialità. Invero, dal rapporto dell’individuo con gli altri, in tutti i settori del vivere civile, si realizza la crescita, la tolleranza e la condivisione.
Anche nel mondo della cultura la mancanza di un confronto è stata foriera di rilevanti limitazioni. La didattica a distanza, specialmente nell’istruzione universitaria, non potrà mai sostituire, pienamente, quella in presenza. La crescita scientifica e la curiosità, spinta essenziale nell’apprendere, si realizzano nella vita universitaria in presenza. Ciò va ben oltre la mera lezione telematica.
Certamente da questo tempo sospeso, nel quale, da oltre un anno, siamo stati costretti a volteggiare, possiamo trarre utili riflessioni che saranno, se ben ponderate e non il frutto di reazioni dettate dall’istinto, in grado di disegnare il nuovo modo di essere della società globale del dopo pandemia.
Il nuovo mondo dovrà imparare a far tesoro dell’esperienza vissuta: nella vita burocratica utilizzando la tecnologia, della quale abbiamo fatto largo uso durante il lockdown, per semplificare la macchina, rileggendo i procedimenti ed eliminando le inutili stratificazioni. Ciò anche attraverso un nuovo modo di scrivere le leggi e le regole che dovranno essere semplici, sintetiche ed autosufficienti (cioè senza incomprensibili rinvii).
Nel mondo del lavoro, facendo tesoro dell’esperienza dello smart working: bisognerà adottarlo consentendo, da un lato, il lavoro a distanza e dall’altro imparando a misurarlo per obiettivi e non contando il tempo impiegato in pubblici uffici, attraverso l’opera di insulsi cartellini marcatempo. Nella costruzione della nuova socialità, facendo leva sul terzo settore (volontariato) amalgamandolo con il valore aggiunto che in esso possono apportare la protezione civile e l’esperienza militare. Invero, nella crisi dell’economia e della politica il vero pilastro su cui costruire la società del “bene comune” è proprio quello del terzo settore cui andranno fornite adeguate garanzie e prerogative fiscali.
Accanto ad esso è necessario sviluppare le famiglie che costituiscono l’ulteriore pilastro portante dello sviluppo sociale e demografico (vera identità del Paese). Sarà necessario considerare detto ruolo, sia nell’ambito educativo e riproduttivo, che nel welfare. In modo da garantire alle famiglie, con aiuti economici adeguati, di esprimere pienamente le loro potenzialità in questi settori.
Tale potenzialità va promossa, in particolare modo, nell’assistenza ai disabili ed agli anziani dove l’aiuto ottenuto dalla propria famiglia sarà certamente più stimolante ed efficace di qualsiasi assistenza pubblica.
L’esperienza cui siamo stati costretti, deve anche insegnare a non trascurare l’ambiente che dovrà ricevere, in futuro, una migliore attenzione da parte di tutti. La tutela di esso, in un contesto di “interesse diffuso” alla salubrità dei luoghi della vita e del lavoro, è la sfida che nel XXI secolo dovremo affrontare e vincere. Il nuovo mondo, quello del bene comune, va costruito su volontariato e famiglie (terzo e quarto settore). In questa nuova costruzione della società il sistema della difesa e della protezione civile saranno in grado di fornire le potenzialità di una collaborazione finalizzata al miglior vivere di tutti.
Il ricorso alla protezione civile ed alla logistica della difesa, operato dall’Esecutivo, nella “battaglia” della vaccinazione, sono un primo significativo passo nella costruzione del mondo del terzo millennio, alla cui costruzione nessuno potrà sottrarsi perché il bene comune si sviluppa solo con lo sforzo del singolo e con la consapevolezza che ciò che è della collettività, non è un “interesse adespota”, ma un bene prezioso da custodire da parte di tutti.
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