Il 68 si risveglia attonito.
L’unità di operai e studenti si è realizzata, ma non come avrebbe immaginato.
Il 4 giugno 1989 l’operaio dei cantieri di Danzica ha vinto la sua battaglia, mentre lo studente di piazza Tienanmen si oppone ai carri armati inviati a reprimere la protesta.
Danzica ha infiammato la Polonia e la rivoluzione disarmata di Solidarność si è trasformata nel detonatore dell’esplosione incruenta della libertà in tutto l’Est europeo. L’ideologia è semplicemente, ineluttabilmente sconfitta dalla vita e la vita non ha un colore, ha soltanto l’impetuosità di un fiume che scorre nel suo alveo naturale.
Dall’altra parte del mondo, in un oriente sempre più estremo, uno studente, il «rivoltoso sconosciuto», si offre in sacrificio per una libertà che non verrà raggiunta, ma solo avvicinata a prezzo del sangue di migliaia di manifestanti. Eppure anche questo evento tragico segna una differenza, costringendo la Cina sulla via della modernizzazione e di una profonda trasformazione economica.
Le due realtà sono solo fisicamente distanti, non tanto perché in un mondo globalizzato dove i cambiamenti viaggiano alla stessa velocità delle notizie che generano esse sono insperabilmente connesse, ma soprattutto perché in ambedue i casi non si tratta di un potere che si solleva contro un altro potere, piuttosto del grido inerme della libertà di esistere che si fa ribellione morale capace di trasformare il mondo.
Lee Cheuk-yan, testimone delle recenti proteste di Hong Kong e presente in piazza Tienanmen, nel 2019 afferma: «Quando ero senza speranze ho sempre pensato al 4 giugno perché quel giorno, mentre si svolgevano i fatti di piazza Tienanmen, in Polonia Solidarność e Lech Walesa vincevano le elezioni. Un risultato impensabile pochi anni prima. Questo significa che nessuno può prevedere cosa accadrà in futuro, il corso della storia. Io stesso, durante le rivolte a Hong Kong, mi soffermo a guardare tutti i giovani che lottano e penso che forse io non vivrò più a lungo del Partito Comunista, ma i giovani si!».
Eppure un inedito leviatano si erge all’indomani del 1989 sulle ceneri del totalitarismo, quel capitalismo limite che intende sé stesso come libero mercato deregolamentato, a cogliere il frutto della dissoluzione dell’impero, e spiega le sue vele sia a ovest sia a est al vento della globalizzazione: le grandi corporazioni dell’Occidente hanno così necessità di trovare un mercato del lavoro a basso costo e la Cina coglie l’opportunità di fondare una struttura capitalistica moderna, in una inedita alleanza tra liberalcapitalismo e capitalsocialismo, con aspetti decisamente originali e inquietanti.
Un nuovo problema per la libertà, forse più invisibile e pervasivo, nel quale la tecnologia e i mezzi di comunicazione giocano un ruolo fondamentale. Che fare?
Han Dongfang, anch’egli figura di primo piano nelle proteste di Piazza Tienanmen, il ferroviere soprannominato il «Walesa cinese», stabilitosi a Hong Kong a seguito della repressione, nel 1994 fonda il China Labour Bulletin, organizzazione non governativa di difesa dei lavoratori cinesi.
Impegnandosi per le condizioni di coloro che di quel mercato a basso costo subiscono le conseguenze più rilevanti, il nuovo sindacato lo fa non contrapponendosi al governo cinese o al capitalismo come avversari, rinnovando quel metodo non violento che abbiamo conosciuto con l’esperienza di Solidarność: «… evitiamo di creare nemici, evitiamo la logica della definizione dei nostri nemici, evitiamo di prendere parte a un movimento sociale basato sulla definizione dei nemici. È così che operiamo da diversi anni e che abbiamo ottenuto molti successi. Sperimentiamo cosa intendeva Liu Xiaobo [N.d.R.: scrittore, critico letterario, attivista per i diritti umani in Cina, premio Nobel per la pace nel 2010] quando disse “niente nemici”, non solo moralmente o politicamente, ma nella prassi di un movimento sociale».
Immagine di apertura: Soldati in marcia a piazza Tienanmen, foto di Hennie Stander, Unsplash