Il brutale assassinio in Congo del nostro ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere che lo accompagnava Vittorio Iacovacci e dell’autista Mustapha Milambo, mi hanno riportato alla mente le mie molte missioni in Iraq, quando lavoravo sempre accompagnato da una scorta armata. Avevamo la macchina blindata e due fantastici ragazzi iracheni, dei quali eravamo diventati molto amici, ci accompagnavano sempre nei viaggi e in tutti gli incontri.
Quando si lavora in un paese insicuro, terra di atavici conflitti, non si è mai al sicuro, nessuna scorta, nessuna automobile blindata può impedire a qualcuno di spararti addosso, quando scendi dall’automobile o vai in un paesino a incontrare la comunità che vive lì.
Se non vuoi correre questi rischi, non vai a lavorare in paesi difficili.
Cosa voglio dire? Che non dobbiamo provare dolore per la perdita di questi tre uomini? Certo che dobbiamo provare dolore, ma soprattutto dobbiamo essere orgogliosi perché due di questi uomini rappresentavano il nostro paese. E l’orgoglio dovrebbe sostituire ogni forma di compassione o “piagnucolamento” così tanto cari alla retorica del nostro paese.
La verità è che si può fare l’Ambasciatore standosene chiuso nelle sicure e comode stanze di una Ambasciata, oppure si può scegliere di fare quel lavoro che il rappresentante di un paese avanzato dovrebbe fare quando svolge la sua funzione in Africa.
Già, l’Africa. C’è voluta la morte di Luca Attanasio per sollevare lo sguardo di italiani ed europei su questo immenso continente che è stato per secoli il luogo di sfruttamento e di sperimentazione dei nostri civilissimi paesi. Un buon insegnamento sull’uso brutale della violenza i Congolesi lo hanno ricevuto dal Re Leopoldo del Belgio, che considerava il Congo una sua proprietà personale.
Abbiamo per anni sostenuto governanti criminali al potere negli stati africani, perché grazie alla corruzione potevamo continuare a sfruttare le immense risorse dell’Africa. Ma, soprattutto con la globalizzazione, nessuna azione, buona o cattiva, resta impunita.
I nostri media hanno riportato che le bande criminali del Congo sono soprattutto interessate a mantenere il controllo delle risorse minerarie come oro, diamanti e coltan. Per fortuna hanno anche spiegato che il coltan serve per le batterie di computer e smartphone. Però nessuno – forse pochissimi – ha fatto notare che se i gruppi criminali sono in grado di controllare l’estrazione di queste ricche risorse, ciò avviene perché qualcun altro le compra, e non credo si tratti di paesi poveri.
Il film Blood Diamonds ci ha mostrato che intermediari senza scrupoli acquisiscono queste risorse per rivenderle alle grandi società multinazionali che le usano. E questo significa che siamo sempre noi, i paesi avanzati, quelli dei diritti umani, che di fatto giustificano gli orrori e le violenze che le bande criminali usano sulle comunità locali, donne e bambini, che scavano questi minerali a mani nude, e sono gli schiavi del nostro mondo.
Sono orgoglioso di Luca Attanasio e di Vittorio Iacovacci, perché credevano che il loro lavoro fosse anche quello di interessarsi di quelle comunità locali, povere e sfruttate, che sono il risultato degli eterni colonizzatori, quelli di ieri e quelli di oggi. Se foste rimasti nelle vostre sedi diplomatiche, le tue tre bambine avrebbero un padre, e il nostro carabiniere avrebbe presto avuto una donna e una famiglia. Ma avete pensato di fare qualcosa di più, onorando il vostro paese.
Grazie.