La lingua è una convenzione d’uso che non tollera rivoluzioni. Perché è l’attualità che ne determina forme e contenuti. Viviamo in un mainstream in cui più che lo Zingarelli (vocabolario) domina lo Zingaretti (attore). Vogliamo dire che risulta più obsoleto un sinonimo contenuto nel primo che il siciliano sdoganato dall’attore mutuando Camilleri, assimilato dai sette milioni d’italiani che magari non sfogliano un libro ma assistono puntualmente alla saga di Montalbano. La prova provata è il massiccio ingresso di termini inglesi nel frasario comune. Diciamo e scriviamo smartworking anche se gli anglosassoni usano
altra espressione. Così brainstorm, washout o full immersion. Una maggioranza rumorosa determina usi e costumi con un occhio all’informatica.
Intrasgredibile legge dei tempi, piaccia o non piaccia. Segni e riflessi di una cultura ahimè dominante (Stati Uniti + Gran Bretagna, terminali della lingua più parlata al mondo, quella che si usa in Unione Europea anche dopo la Brexit). Riteniamo perciò che faccia parte di un cancel culture specificatamente linguistica il tentativo di neutralizzare un supposto maschilismo della lingua italiana, una corrente di pensiero che trova come una delle principali esponenti Laura Boldrini a cui facciamo i migliori auguri per un male curabile che sta combattendo.
Ma qui non c’entra il femminismo, Non una di meno, Me Too e tanto meno Black Lives Matter. Non entrano in ballo rivendicazioni di antica data, pari opportunità o quote rosa. Ministra invece di ministro non aggiunge niente alla parità di genere, semmai esteticamente è solo cacofonia. Come avvocata, presidenta, ingegnera. Questa trasformazione entrerà nel linguaggio comune quando la maggioranza degli italiani la riterrà opportuna e la validerà come credibile. In questo gioco linguistico di parole che entrano ed escono dal linguaggio comune la partita è aperta e non pregiudiziale, tanto meno ideologica, dando per scontato che non esiste una neutralità gender ma solo un valore d’uso. Nel contesto dei pareri diversi e di un dibattito aperto abbiamo enormemente apprezzato la professionista che ha lavorato al festival di Sanremo (unica in un coro di maschi) che ci ha tenuto a ribadire come propria qualifica quella di ”direttore d’orchestra” e non di direttora. Il vero anticonformismo non gridato ci sembra il suo in una silloge di luoghi comuni. Tra
folclore, velleitarismo, impotenza.
Senza offesa ma le suffragette della lingua sbattono invariabilmente contro la consuetudine. In questo caso la possibile trasformazione della forma (con la desinenza in A) non fa la sostanza di un Paese invariabilmente in ritardo con il progresso. Ma la parità non si raggiunge con velleitarie riconversioni linguistiche ma con ben altri ben più combattivi e decisivi strumenti utilizzati sul campo. Spero peraltro che nessun vorrà togliere alla donna il piacere di un abbinamento saldamente antropologico. Perché si dice terra madre e mai a nessun uomo è venuto in mente di riprendersi la prerogativa di una feconda maternità? Anche in questo caso un radicato e quasi intrasformabile valore d’uso.