Giovanni Paolo II è stato tra il XX e il XXI secolo uno dei maggiori protagonisti dell’idea europea, che enunciò con interventi successivi in un coraggioso e radicale progetto fin dagli inizi del pontificato, a partire dall’allocuzione all’Unesco del 1980, quindi nell’ottobre 1982 al Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa:
«Il vecchio Continente porta oggi ancora aperte nella sua carne le ferite di un passato, remoto e prossimo, segnato da guerre, da contrapposizioni ideologiche, politiche, militari, economiche. Qualcuno si domanderà se l’Europa oggi è un mito o mostrerà che esistono in realtà diverse Europe: da quella economica e politica, a quella culturale e militare. Nonostante l’impulso verso la ricomposizione delle fratture storiche e le forze convergenti verso l’unità, linee divisorie attraversano il Continente tra Est e Ovest, Nord e Sud. … La realtà … della nostra missione, lungi dall’essere una sacralizzazione delle attuali divisioni, è invece un atto creativo e rigenerativo di un’Europa unita … attesta in effetti la vocazione dell’Europa alla fraternità e alla solidarietà di tutti i popoli che la compongono dall’Atlantico agli Urali».
Nel novembre dello stesso anno il pontefice proclamava il profetico “atto europeistico” a Santiago de Compostela:
«Io … grido con amore a te, antica Europa: “Ritrova te stessa. Sii te stessa”. Riscopri le tue origini. Ravviva le tue radici. Torna a vivere dei valori autentici che hanno reso gloriosa la tua storia e benefica la tua presenza negli altri continenti. Ricostruisci la tua unità spirituale, in un clima di pieno rispetto verso le altre religioni e le genuine libertà. Rendi a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio».
La concezione del papa spezzava lo schema della guerra fredda, quella divisione nata nel dopoguerra sulle ceneri del Terzo Reich, quell’antitesi politico-spirituale che aveva contrapposto, spesso sanguinosamente, la libertà dell’Occidente e la tirannide comunista. Nessun leader politico o religioso, da Luigi Sturzo che tra i primi invocò un’Europa «dall’Atlantico agli Urali» alla dottrina europeista di De Gaulle che diede all’espressione ben altro accento fino al discorso di Kennedy del 26 giugno 1963 a Berlino Ovest, aveva più pronunciato parole altrettanto audaci, ma finalmente così decisive, sul futuro dell’Europa.
Quest’uomo – venuto da un Paese che era stato invaso e spartito prima tra Hitler e Stalin, che aveva conosciuto l’olocausto e lo sterminio comunista, quindi alla fine della guerra era caduto sotto l’orbita sovietica ed era stato ulteriormente smembrato a est -, imprimeva così, riprendendo il pensiero dei pontefici precedenti, la sua coraggiosa visione paneuropea ma anche una direzione più internazionale alla Chiesa del XXI secolo.
La visione, anche teologica, di Karol Woityla, propria della scuola aristotelico-tomista, secondo la quale l’uomo, in quanto imago Dei (Genesi 1,27), è dotato di intelletto e di libero arbitrio e ha inscritta nella propria natura la relazione con il Creatore, quindi l’inclinazione all’incontro con gli altri, alla comunione, al dialogo che implica la libertà, porta con sé, oltre al rifiuto della divisione del mondo, elementi centrali del suo magistero imperniato sulla grandezza e la dignità umane: il primato della democrazia, dei diritti dell’uomo – primo e fondamentale il diritto alla vita – e dei popoli, la solidarietà fra comunità a fondamento delle relazioni internazionali, valori quindi con radici profonde nella cultura europea e che erano stati riformulati nel XVIII secolo dall’illuminismo, del quale il pontefice, al pari di Horkheimer e Adorno, metterà in evidenza il rischio totalitario di una ragione senza morale.
La Polonia e i movimenti sociali che la percorrono negli anni Ottanta sono la pietra angolare della costruzione della nuova casa comune europea e di una nuova immagine dei rapporti internazionali. L’uso lecito della forza diretto a disarmare l’aggressore e l’ingerenza umanitaria, la legittimazione dello Stato se tende al bene comune, la guerra come “avventura senza ritorno” sono quindi altrettante espressioni essenziali della relazione fra «mezzi a disposizione» e attuazione dei princìpi etici.
Ancora nel 1999, nell’esortazione apostolica Ecclesia in Europa, il pontefice riprendeva organicamente il progetto europeo, analizzando la situazione del continente alla fine del secondo millennio alla luce drammatica dell’Apocalisse di Giovanni apostolo.
L’impero sovietico era stato travolto e il mondo non era più lo stesso, ma, come spesso accade per i sogni, anche l’aspirazione europea di Giovanni Paolo II, solo in parte realizzata, si sarebbe infranta sugli scogli dei nuovi equilibri del dopo ’89 ed esemplare in questo senso rimane il suo inascoltato appello perché nella costituzione europea – che emblematicamente non verrà mai varata – venisse inserito il riferimento alle radici giudaico-cristiane del continente.
Immagine di apertura: La visita ufficiale di Giovanni Paolo II al Parlamento Europeo, 11 ottobre 1988, © European