Con una dotazione pari a 442,4 miliardi di euro, la seconda rubrica del Quadro Finanziario Pluriennale dell’UE, denominata “coesione e valori”, è la più importante in termini di budget all’interno del menzionato strumento di pianificazione finanziaria dell’Unione.
È questa una prima buona notizia per chi crede ancora che, da questa crisi, come accaduto per quelle del passato, ne usciremo davvero migliori. Anche ai più euroscettici farà, inoltre, piacere sapere che, con la nuova programmazione europea, per l’Italia si assisterà ad un consistente aumento di risorse che ammonteranno, infatti, a circa 43,5 miliardi di euro, con un incremento pari al 29% rispetto al passato, grazie all’aggiornamento dei criteri di ripartizione delle risorse tra Stati membri. Infine va sottolineato come ci sia stato, negli ultimi anni, un approfondimento, nel c.d. agenda setting dell’Unione, del tema salute, che, dopo la pandemia ha visto la nuova programmazione ampliare risorse e affinare gli obiettivi per la tutela della salute dei cittadini del continente.
Ora, però, contenendo l’euforia, bisogna dare spazio alla giusta dialettica con due spunti di riflessione critica sia in ambito europeo che nazionale. Ebbene, mentre alla vigilia della precedente programmazione 14/20, il tema salute vide un focus importante con il documento della Commissione Europea del 2013 denominato Investing in healt e con la successiva Comunicazione della stessa Commissione, che fissò alcune policy strategiche sul tema, ovviamente poi declinate nei programmi e bandi europei, oggi questo momento di concertazione e impulso non c’è stato, o meglio non ha avuto forme parimenti autorevoli. L’analisi sui fabbisogni dei sistemi sanitari nazionali degli Stati membri, fatta tenendo anche e soprattutto conto della qualità dell’utilizzo dei fondi europei e della risposta dei singoli sistemi sanitari alla pandemia, non ha avuto un momento di raccolta sistematica, non vi sono stati documenti, atti, provvedimenti o “manifesti” di portata continentale.
L’UE, piuttosto, ha preferito concentrarsi sulle c.d. “raccomandazioni specifiche paese” che hanno riguardato solo specifici stati e solo quelli (es. Romania) che non avessero raggiunto standard accettabili in termini di tutela della salute pubblica. Alla vigilia della nuova programmazione, insomma, non c’è stata una ricalibrazione ufficiale, o meglio formale e generale, delle policy europee in tema di salute, da tradurre e trasferire in documenti vincolanti per tutti i 27 paesi dell’Unione. Questa una prima osservazione critica che si voleva condividere. Sul fronte interno, invece, il PNRR, se ha il pregio di aver recepito le nuove sensibilità post covid, soprattutto su infrastrutture e tecnologie, ha il grande demerito di non chiarire i dettagli e la portata di un improcrastinabile nuovo piano assunzionale su scala nazionale in tema di rinforzo del Sistema Sanitario Nazionale.
Orbene.
Fatti questi brevissimi cenni su come le istituzioni europee, soprattutto finanziarie, stiano rispondendo alle nuove sfide post pandemia e post brexit, è giusto aprire la riflessione sul tema delle disuguaglianze. Ebbene certamente la pandemia ha messo in luce le disuguaglianze sociali e territoriali all’interno del vecchio continente in ottica proprio di accesso alle cure, dando un nuovo, drammatico, senso ad indicatori quali la distribuzione dei presidi ospedalieri nei territori, i tempi medi di ospedalizzazione, il numero di posti letto nelle terapie intensive per paese e quanto vi incida il rapporto tra sanità pubblica e sanità privata convenzionata, l’accesso ai DPI da parte delle fasce deboli della popolazione e molti altri.
L’Unione Europa, quindi, non sbaglia a fare raccomandazioni mirate a quegli stati membri che, proprio alla luce di quanto emerso in questo lungo anno di crisi sanitaria, abbiano indicatori più bassi in ottica socio-sanitaria. Superare le disuguaglianze, infatti, vuol dire anche rafforzare i sistemi di prevenzione e cura nei territori, non consentire solamente la libera circolazione delle persone in ambito ospedaliero sul territorio dell’UE (con le limitazioni che comunque tutti conosciamo e che permangono). Insomma, l’inclusione sociale ben può essere considerata un effetto della riaccesa attenzione dell’Unione sul versante sanitario.
L’inclusione sociale, del resto, è un tema da sempre presente e trasversale nelle politiche europee in considerazione della decisione della Commissione di intervenire direttamente nelle politiche sociali degli stati membri, con fondi sia diretti che indiretti, in particolare a partire dalla programmazione 2000-2006. Tornando all’attualità e senza la pretesa di essere esaustivi su di un tema che meriterebbe molto più inchiostro, è bene evidenziare come il PNRR abbia programmato risorse notevoli, per interventi molto incisivi proprio sul tema dell’inclusione in generale, con l’ambizione di rispondere una volta per tutte a problemi specifici e atavici del nostro paese quali l’esclusione dal mercato del lavoro di donne e giovani, nonché in tema di lotta alla povertà.
La tutela di genere, in particolare, viene finalmente vista in ottica di potenziamento di infrastrutture utili a conciliare il lavoro e la famiglia, con la missione 4 del PNRR, ma non solo, che prevede 4,6 miliardi per nuovi asili nido, scuole materne e servizi di educazione e cura per la prima infanzia. Inoltre quasi un miliardo di euro saranno previsti per l’estensione del tempo pieno nelle scuole primarie. Ma non solo, si prevedono ingenti risorse dirette a favorire l’imprenditorialità femminile, oltre 1 miliardo di euro per la promozione delle competenze, durante la formazione scolastica e sul fronte del welfare la previsione dell’assegno unico per le famiglie con figli, che andrebbe a sostituire, ricomprendere e superare i sostegni attuali. Quanto al tema giovanile, l’Italia vive il confronto impietoso con gli altri paesi europei dove il numero dei NEET è decisamente più basso. Da ciò la previsione di risorse per implementare l’occupazione giovanile.
Digitalizzazione e green deal sono pensati, attraverso le missioni 1 e 2 del PNRR, proprio per favorire le ricadute occupazionali per gli under 35 e anche la missione 4 interviene nel potenziare l’accesso alla formazione e la correlazione istruzione-ricerca.
Insomma, con una certa dose di ottimismo possiamo dire che ora gli ingredienti ci sono davvero tutti e che l’uscita dalla crisi non può prescindere dal superamento delle diseguaglianze sociali. L’Austerity a cui l’Europa Unita è sempre stata associata si va allontanando dalla memoria collettiva per far posto all’Europa degli uguali, delle risorse proprie, del maggior sostegno all’Italia, delle politiche di vicinato, del Temporary Framework e di una nuova programmazione che è stata definita un nuovo piano Marshal per l’Europa.
Anche mettendo a confronto le cifre tra programmazione EU e sostegni previsti in USA in effetti balza agli occhi come l’impegno finanziario Europeo sia senza precedenti.
Ora tocca a noi, noi italiani, noi europei, ampliare i nostri orizzonti, anzi, come meglio direbbe Gadamer, fonderli e rendere l’Unione Europea il primo “aggregato” di Stati a ispirare la propria programmazione finanziaria ai Millennium Development Goals o MDG, o più semplicemente “Obiettivi del Millennio” delle Nazioni Unite.
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