In tempi nei quali la magistratura è all’attenzione della pubblica opinione per vicende non commendevoli, legate a nomine pilotate ed alla realizzazione di chiusi centri di potere, nei quali vengono decise le sorti della giustizia del nostro Paese, la Beatificazione del primo giudice, martire per ragioni di giustizia, avvenuta ad Agrigento il 9 maggio 2021, porta al sistema giustizia un raggio di luce che induce a guardare con maggior ottimismo le sorti della giustizia italiana.
L’ascesa agli altari di Rosario Livatino fa subito pensare alle beatitudini proclamate nel corso del discorso della montagna, definito dal cardinale Ravasi «il più grande discorso alla umanità di ogni tempo» (G. Ravasi, Le beatitudini, Milano 2016, ed. Mondadori).
Nel vangelo di Matteo (Matteo 5,6) vengono richiamate le parole di Gesù: «Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati». Questa Beatificazione realizza la promessa del Salvatore, per lui che ha ricevuto il suo appagamento e per noi, se sapremo cogliere pienamente il significato di essa.
Il modo di concepire e vivere la professione di magistrato di Livatino consente di vedere come egli riteneva l’amministrare giustizia una “vocazione” alla quale ispirare tutto il suo operato. In una sua conferenza, tenuta a Canicattì, nell’aprile del 1986 (conferenza dal titolo “Fede e diritto” tenuta ad un gruppo culturale cristiano), Livatino ricordava che «il compito del magistrato è quello di decidere. Orbene, decidere è scegliere a volte, tra numerose cose o strade o soluzioni. E scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare. Ed è proprio in questo scegliere per decidere, per ordinare, che il magistrato credente può trovare un rapporto con Dio. Un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio. Un rapporto indiretto per il tramite dell’amore verso la persona giudicata».
Da queste parole emerge, chiaramente, come la Beatificazione di Livatino sia anche il prodotto del modo di interpretare il suo lavoro: santificarsi facendo il magistrato, nel più alto servizio della giustizia alla quale assegnava valenza trascendente e non solo immanente. La Beatificazione di Livatino consente di tornare a considerare il tema della giustizia quale servizio e massima funzione assegnata dalla Costituzione allo Stato.
Chi ha perso la vita sull’altare della giustizia, considerandola il valore umano massimo, al quale sacrificare anche gli affetti, lascia, con il suo esempio, una profonda traccia per le generazioni future.
La Beatificazione di Rosario Livatino deve, però, consentirci riflessioni sullo stato della giustizia, perché l’esempio di chi è caduto per realizzarla, senza piegarsi alle prepotenze ed ai soprusi, non deve essere mai dimenticato e va, invece, posto quale punto di partenza per operare le necessarie analisi per il ritorno della giustizia al ruolo di funzione principale dell’esercizio del potere, nell’interesse della collettività. La giustizia nel suo valore etico, attraverso la quale si realizza, pienamente, il principio di eguaglianza e si dà concretezza al monito, presente in ogni aula: «La legge è uguale per tutti». Invero, essa è effettivamente tale se i giudici, che la amministrano, operano nell’interesse comune rifuggendo da secondi fini, da interessi di comodo, da tentazioni di carriera, dal considerare in maniera disuguale ogni persona da essi esaminata. In questo, grande ed indimenticabile è l’esempio di Livatino, per il quale rendere giustizia era anche dedizione a Dio, preghiera.
L’ascesa agli altari di Rosario Livatino deve, dunque, essere di stimolo per riflettere sui mali attuali della Giustizia, neppure troppo diversi da quelli esistenti il 21 settembre del 1990, quando fu barbaramente ucciso questo giovane servitore dello Stato.
Per realizzare il “processo dovuto” nella sua valenza etica e ripristinatoria dell’ordine leso è necessario riflettere su radicali riforme di sistema che sappiano captare anche le modifiche tecnologiche imposteci dalla pandemia, riforme che debbono essere parte integrante dell’amministrazione della giustizia e non solo accadimenti occasionali e di facciata. In ogni processo è necessario garantire la pienezza della decisione che deve utilmente intervenire, al fine di recuperare la eticità del sistema. Invero, una Giustizia ripristinatoria necessita di una sentenza, utilmente data, in un tempo ragionevolmente breve per garantire, in ogni campo processuale: penale, civile, amministrativo, tributario e contabile, la certezza del diritto ed il ripristino dell’ordine leso.
Nel giudizio reso dal magistrato c’è anche la valutazione del comportamento attuato e la misura della legalità di esso. Quella valutazione trascende il singolo caso in esame e costituisce la indicazione per la crescita della collettività realizzando il “diritto vivente”. Da questa prima considerazione la necessità di una decisione chiara, sintetica ed emessa in tempi utilmente brevi.
La Beatificazione di Livatino deve essere di stimolo al legislatore per attuare questi principi in ogni campo processuale.
- Nel processo penale che deve essere messo in condizione di emanare, in tempi utili, sentenze definitive, non potendoci accontentare di ipotesi di prescrizione che non adempiono al supremo compito di giudicare, ma sanciscono solo l’inefficienza del sistema.
- Nel processo civile, nel quale è necessario giungere al giudicato in tempi molto più brevi di quelli oggi praticati, al fine di non intaccare la certezza del diritto e lo sviluppo economico del Paese.
- Nel processo amministrativo, nel quale si dovrà garantire la effettiva terzietà del giudice, in una perdurante confusione di ruoli tra funzione giudicante e funzione consultiva.
- Nel processo tributario, che dovrà essere, finalmente, affidato ai giudici di carriera in tutti i gradi di esso.
- Nel processo contabile, nel quale sarà necessario operare per garantire più efficacemente il diritto alla difesa, ancora troppo lontano dalle garanzie costituzionali del giusto processo.
Tutto ciò potrà realizzarsi se si opererà anche sulla cultura della conciliazione, che dovrà trovare spazio negli insegnamenti universitari, accanto alla cultura del processo; nonché su di una radicale trasformazione dell’ordinamento giudiziario, integrante la modifica di organici, sedi e mezzi. Una riforma che dovrà prevedere un rilevante investimento sul sistema giustizia, perché le troppe riforme a costo zero, succedutesi nel tempo, hanno prodotto il medesimo risultato del costo. Infine, dovrà essere restituita al Consiglio Superiore della Magistratura la funzione voluta dai padri costituenti, quella di garantire l’indipendenza della magistratura e non, certamente, quella di essere (come è diventato) un autonomo centro di potere (talvolta occulto), non a servizio della giustizia e dei cittadini.
Il messaggio che ci consegna Rosario Livatino e la Beatificazione del suo operato di magistrato, devono essere onorati con le necessarie riforme della Giustizia, solo così il sacrificio della Sua vita non sarà stato vano.