La crisi determinata, nel mondo del calcio, dal tentato scisma della “Superlega”, deve farci riflettere sulle sue cause e sui possibili rimedi (ogni crisi, se ben ponderata, è momento di crescita). La mancanza di autorevolezza delle istituzioni preposte alla organizzazione sportiva è, a mio avviso, uno degli elementi scatenanti il tentativo autonomistico, perpetrato da alcune società sportive, tra le più titolate al mondo. Per troppo tempo si sono chiusi gli occhi su situazioni di indebitamento esorbitanti, che tra le altre conseguenze, alterano la regolarità delle competizioni.
Il mancato intervento di sanzioni effettive ed afflittive ha dato la sensazione di legittimare detti atteggiamenti, lesivi del “fair play”
finanziario, ed ha fatto ritenere che ogni comportamento fuori dalle regole fosse tollerato. In Italia si è indebolita la primazia del C.O.N.I. in campo sportivo, attraverso la contrapposizione ad esso della società pubblica “Sport e Salute”, senza una adeguata regolamentazione delle aree di influenza delle due strutture. Non sarebbe stato difficile assegnare al primo (ente pubblico) la organizzazione ed il controllo del settore agonistico (pur nella autonomia delle Federazioni sportive) ed alla seconda (società di diritto privato, posseduta dal ministero delle Finanze) tutto ciò che è maieutica e terapia derivante dalla pratica sportiva non agonistica. Alla Sport e Salute, inoltre, avrebbero dovuto assegnarsi, in una mutata missione dell’Istituto di credito sportivo, la edificazione e la cura degli impianti sportivi, assai limitati nel numero e spesso abbandonati al degrado.
Anche il coordinamento con le istituzioni scolastiche ed universitarie dovrà essere valutato in tale ottica, valorizzando le competenze comuni. In tale necessaria ed urgente ristrutturazione del vertice sportivo italiano al Comitato olimpico dovrà essere restituita la funzione di autorevole compositore delle liti insorte nel mondo dello sport. Deve essere ricordato, al riguardo, che quando la legge n. 280, del 2003, aveva individuato nel CONI il terminale della giustizia sportiva, prima dell’eventuale “sbarco” delle liti davanti ai giudici statali, aveva fatto riferimento all’organismo all’epoca esistente presso il comitato, investito di funzioni giustiziali: la Camera di conciliazione ed arbitrato istituita nel 2001.
Tale riferimento chiamava il CONI, non solo a decidere conclusivamente le vertenze destinate a rimanere nell’orto chiuso della Giustizia sportiva, ma anche a tentare la conciliazione di quelle liti che, varcando i confini della tutela propria dell’Organizzazione sportiva, potevano essere azionate innanzi ai giudici statali. In tal modo, il Comitato olimpico era in grado di comporre le vicende sorte nel mondo dello sport, affinché, in esso, restassero conchiuse. La conciliazione, inoltre, sarebbe stata in grado di mantenere nell’ambito sportivo la necessaria armonia, evitando la fuoriuscita di questioni litigiose in esso insorte.
Con la riforma relativa al terminale della giustizia sportiva esofederale, che nel 2007 ha dato vita a due differenti giudici: l’Alta Corte ed il T.N.A.S. la funzione conciliativa del CONI si è perduta ed essa non è stata recuperata neppure quando, nel 2014, in ossequio al disposto del punto numero tre, della lettera H bis), dell’articolo 7, del decreto legislativo n. 242 del 1999, si è istituito il Codice unico della giustizia sportiva, poi recepito da tutte le Federazioni. Invero, la funzione di mediazione, finalizzata alla conciliazione, del Comitato olimpico, era e resta (a mio avviso) essenziale ed andrebbe ripristinata.
Tale recupero avrebbe, oggi, il duplice vantaggio di riportare il CONI al vertice del mondo sportivo, assegnandogli nuova ed indiscutibile autorevolezza; inoltre, tale filtro all’azione, inteso quale condizione di procedibilità dell’azione innanzi al giudice statale, potrebbe deflazionare la domanda di giustizia, proveniente dal mondo dello sport, da proporre ai giudici statali, sia ordinari, che amministrativi (in base alle competenze giurisdizionali individuate dall’articolo 3 della legge n. 280 del 2003).
Invero, il recupero della funzione conciliativa del Comitato olimpico, già esercitata tra il 2003 ed il 2007, senza sottrarre, al Collegio di garanzia sedente presso il CONI, alcun potere, poiché detto organo è e resterà, investito (dall’articolo 54 del Codice di giustizia sportiva del CONI) di funzioni di giudice di legittimità, si verrebbe ad istituire un nuovo organismo: l’Organismo di mediazione del CONI, il cui vertice verrà nominato dalla Giunta del Comitato olimpico (analogamente ai giudici sportivi), che dovrà essere, necessariamente, adito prima che l’azione possa proporsi ai giudici statali.
Il meccanismo potrebbe essere analogo a quello, già esistente, per le materie previste dall’articolo 5 del decreto legislativo n. 28 del 2010 in tema di mediazione obbligatoria. Questo nuovo filtro, all’azione da proporsi innanzi ai giudici statali, non allungherebbe i tempi del giudizio (essendo il procedimento compresso in pochi giorni), ma creerebbe, invece, sotto l’autorevole guida dell’Organismo istituito dal CONI, un momento di riflessione e di pacificazione, in grado di restituire al mondo dello sport comportamenti basati sulla lealtà e probità, proprio quelli che sono mancati nelle ultime vicende. L’autorevole guida del vertice sportivo italiano sarebbe, inoltre, in grado di restituire la giusta gradazione delle primazie rimettendo il valore sportivo in condizione di prevalenza rispetto a quello economico, ed il valore della pace sociale, nel mondo sportivo, prima di qualsiasi egoismo di settore.
Il momento delle riforme della giustizia, richieste dal Recovery Plan, è favorevole per operare questa modifica, per la quale sarà necessaria una legge statale. Tale positiva circostanza deriva anche dal fatto che al vertice della Commissione per la riforma del processo civile è stato nominato, dal ministro della Giustizia, il professor Francesco Luiso, primo autore (nel 1975) di una approfondita analisi della giustizia sportiva, con la quale ha assegnato ad essa dignità scientifica. In tal modo, si restituirà al CONI parte del prestigio e della autorevolezza intaccati.
Sarà, poi, necessario porre, seriamente, mano al riparto delle competenze e del personale con la società “Sport e salute”, sulla base di confini non conflittuali e ben determinati. La delega, ancora non coltivata, discendente dalla legge n. 86 del 2019, asse portante della nuova struttura dello sport in Italia, dovrà essere attuata nella concordia di tutti gli operatori del settore ed ai lavori preparatori di essa non dovranno essere estranei gli atleti, i tecnici ed i tifosi, fino ad oggi rimasti inascoltati, così come dovranno essere rivisti i decreti varati, a fine febbraio 2021 che non hanno trovato il favore degli operatori del settore. Lo sport italiano deve, necessariamente, crescere nella concordia e nella condivisione delle regole.