Questo è quello che si chiede di giurare ad ogni testimone ad un processo.
Chissà se la verità verrà mai fuori, ma noi esseri umani non abbiamo ancora inventato nessun mezzo migliore del confronto fra i punti di vista dell’accusa e della difesa, per cercare la verità. L’informazione e i media dovrebbero anch’essi rispettare questa formula, ma purtroppo si constata spesso che non sono interessati a fornire diverse visioni, ma soltanto a diffondere un singolo messaggio, che spesso rappresenta la “voce del padrone”.
Due esempi recenti mi vengono in mente e ambedue riguardano temi di grande importanza.
In un talk show di Floris si parlava, nell’attuale monomania, dell’epidemia di coronavirus. In mezzo agli altri difensori della pensée unique, un incauto partecipante si è permesso di dire che provava vergogna per un sistema di prevenzione che si occupa della salute dei vecchietti disprezzando le esigenze dei giovani, della loro vita sociale e del lavoro. È stato immediatamente zittito da Floris, che non ha permesso che a tale affermazione, venisse fatto alcun commento. Eppure, per mia curiosità, ho fatto la stessa affermazione fra i miei amici, a casa mia, in incontri zoom e in telefonate e, puntigliosamente, ho potuto contare almeno una cinquantina di consensi all’affermazione di quel signore. Nella mia filosofia del dubbio non importa chi ha ragione e chi ha torto, ma importa che ciascuno possa disporre di vari punti di vista per farsi una idea.
Cosa pensiamo possano dire i virologi televisivi, di quello che si deve fare? Anche se rispondono in buona fede – dimenticando visibilità e
denaro – diranno che si deve chiudere tutto, perché così certamente si limita il contagio.
Ma noi eleggiamo per dirigere la nostra comunità i politici, non i virologi. A loro spettano le scelte, certamente difficili, tra salute ed economia, ma per fare queste scelte occorre far parlare anche quelli che non fanno parte del coro di Floris.
Un altro tema riguarda la terribile esternazione di Beppe Grillo. Il solito coro, giustissimamente, ha accusato il comico-politico di aver detto cose orrende, disprezzando le donne e allineandosi ad una deprecabile cultura maschilista. Tutto certamente vero. Però seguendo il coro di “dagli a quel cane” si rischia di aiutare coloro che la pensano come Beppe Grillo.
Mi spiego meglio. Grillo si domanda polemicamente perché la ragazza, che dice di essere stata stuprata, il giorno dopo sia andata a fare sport e non invece abbia immediatamente denunciato il crimine alla polizia, aspettando ben 7 giorni. Che lo si voglia o no questa è una domanda comune, forse addirittura legittima. Chiunque subisca un crimine dovrebbe avere la naturale reazione di denunciarlo subito. Per contrastare questa visione è assolutamente necessario spiegare a tutti i comuni mortali, che questa naturale reazione della vittima non si applica facilmente ad una donna stuprata, perché lei cerca di rimuovere la violenza subita, e si pone sempre la domanda sul se sarà creduta, e se potrà mai avere veramente giustizia.
Se quindi non si spiega questa particolare situazione di una donna oggetto di violenza, non si fa capire a tantissime persone perché a una ragazza non si possa rimproverare di non aver denunciato subito.
Il coro dei critici che hanno assalito l’affermazione di Grillo, rischia quindi di non far capire in che modo bisogna spiegare a tutti la gravità e la superficialità – o la strumentalità – delle sue affermazioni.
Dobbiamo accettare che non sempre l’informazione e i tribunali ci permetteranno di trovare la verità, ma, soprattutto i media dovrebbero fare l’onesto sforzo di fornire tutta l’informazione necessaria, senza omettere punti di vista scomodi nell’unico obiettivo di far passare il messaggio che diventa un modo di manipolare l’opinione altrui.