Sono mesi che con il perdurare della pandemia Covid l’opinione pubblica osserva la disputa tra coloro che richiamano alla massima prudenza nel programmare le riaperture (rigoristi) e coloro che ritengono le misure restrittive eccessive e negative per l’economia (aperturisti). Tutti siamo stanchi di sopportare, dopo mesi le norme che limitano la nostra libertà, ritardano il ritorno ad una vita normale, compromettono gravemente alcune attività produttive. La realtà però è molto, molto diversa.
A prescindere dal valore etico che salvaguardare ogni vita umana dovrebbe rappresentare un obiettivo prioritario di qualunque comunità civile, la ripresa economica si può garantire solo procedendo con riaperture prudenti e progressive, basate sui dati dell’andamento della pandemia e sul progredire della campagna vaccinale che rappresenta l’unico strumento per raggiungere un’immunità di massa. Per l’economia drammatico sarebbe dover procedere a richiudere, anche solo selettivamente, alcune regioni o comuni per una ripresa dei contagi. Quanto avvenuto in Sardegna, passata in poche settimane da bianca a rossa, dovrebbe essere sufficiente per consigliare una riapertura ragionevole di alcune attività tanto danneggiate.
Ancora più stucchevole appare richiamare la fiducia che meriterebbero gli italiani. Le scene osservate di assembramenti nel centro delle città in periodi di parziali chiusure e non ultimo quanto avvenuto per la vittoria dello scudetto dell’Inter, dovrebbero sconsigliare di concedere piena fiducia ad una popolazione stremata dalle limitazioni e comprensibilmente desiderosa di riprendere quanto prima una vita più normale possibile.
Fortunatamente questa diatriba è destinata ad esaurirsi in poche settimane perché c’è da aspettarsi che i dati epidemiologici consentiranno aperture ragionevoli e sicure.
Sorge però immediato il quesito perché una parte politica spinga e non da adesso a riaprire tutto e subito. La risposta è scontata. La ricerca del consenso, dire quanto la popolazione desidera sentirsi dire a prescindere dai veri interessi di una nazione, è l’anima e la sostanza stessa del populismo. In un momento così drammatico, con una pandemia non ancora domata, rinunciare al dovere di spiegare correttamente all’opinione pubblica qual è la reale situazione ed alla necessità di accettare scelte impopolari, solo per cercare facili consensi è, a mio parere, di pessimo auspicio per l’unità degli sforzi a cui tutti noi saremo chiamati nei prossimi mesi e da cui dipenderà la ripresa economica.
Se c’è una tragedia peggiore di una terribile pandemia è quella di non aver imparato nulla da essa.