Ryszard Kapuscinski in Imperium riporta la descrizione che di Mosca fece Chateaubriand al seguito di Napoleone il 6 settembre 1812: «… un’altura … contigua a Mosca … si chiamava il Monte della Salvezza, poiché i Russi vi pregavano alla vista della città santa, come i pellegrini quando scorgono Gerusalemme». E continua con parole sue: «Già: per loro Mosca era una città santa, la capitale del mondo, la terza Roma … Mosca: il punto d’arrivo della storia, il termine al pellegrinaggio terreno dell’umanità, la porta aperta sul cielo».
La città dalle cupole dorate avrebbe poi conosciuto più distruzioni e riedificazioni, la prima proprio dopo quell’evento, quando i Russi vollero fare terra bruciata di fronte all’invasore incendiando la città, ma la polvere delle macerie non eclissò il sogno di una Terza Roma dopo quella di Pietro e Bisanzio, evocato per la prima volta nel XV secolo dal monaco di Pskov Filofej all’indomani della caduta dell’impero romano d’Oriente e rimasto nell’immaginario politico-ideale animando le correnti panslaviste della Russia degli zar ma anche di quella post-rivoluzionaria.
I 70 anni di comunismo sostituiscono la sacralità ortodossa con quella laica del partito unico e nella seconda guerra mondiale Stalin riprende con accenti nazionalistici molti elementi tradizionali della storia russa. Berdjaev con disinvolta convinzione dirà, di quel periodo, che la Terza Roma e la Terza Internazionale si ricollegano entrambi idealmente al messianismo russo.
Nell’URSS del secondo dopoguerra Solzenicyn, il più alto oppositore del regime sovietico ed erede della migliore tradizione letteraria e filosofica russa, riprendendo idealmente Dostoevskij e Solov’ëv, affermerà che la Russia, fondata sul cristianesimo ortodosso e su un patriottismo non nazionalista, può esprimere la necessaria funzione salvifica della tradizione occidentale.
Per il grande scrittore la rivoluzione non rappresenta la continuità della storia russa, ma la sua negazione spirituale e materiale, e grazie ad essa la Russia è diventata un corpo estraneo nel continente europeo, tirannico e negatore della libertà di interi popoli, ma allo stesso modo all’opposto nell’Occidente «… una persistente cecità – che nasce da un senso di superiorità illusorio – induce a credere che tutte le vaste zone in cui è diviso il nostro pianeta debbano seguire uno sviluppo che le porterà a sistemi analoghi a quelli occidentali attuali, i più avanzati da un punto di vista teorico, i più attraenti da un punto di vista pratico; che tutti gli altri mondi siano solo temporaneamente trattenuti – vuoi da cattivi governanti o da sconvolgimenti interni, o dalla barbarie e dall’incomprensione – dal lanciarsi sulla via della democrazia pluripartitica di tipo occidentale e dall’adottare il modo di vita dell’Occidente. E ogni Paese viene giudicato sulla base del suo grado di avanzamento su questa via. Ma in realtà questa concezione è nata dall’incomprensione da parte dell’Occidente dell’essenza degli altri mondi, che vengono arbitrariamente misurati col metro occidentale. Il quadro reale dello sviluppo del nostro pianeta è ben diverso.» (Un mondo in frantumi. Discorso di Harvard, 1978)
Al crollo dell’impero comunista nel 1989-1991 la pretesa dell’Occidente fu manifesta, come spiega l’orientalista Bažanov: «Negli anni Novanta volevamo diventare un Paese prospero e democratico. L’Occidente era il nostro modello. Ma le riforme imposteci dagli occidentali produssero disastro economico e miseria di massa. La gente cominciò a pensare che l’Occidente non volesse il nostro successo. Sembrava che gli Stati Uniti intendessero trasformarci in junior partner, come Germania o Inghilterra. Ma la maggior parte dei Russi voleva una politica indipendente. Amici e partner dell’Occidente, sì. Però da Russi».
Nulla quindi era apparentemente cambiato per l’Occidente e la Russia, quasi fosse un’entità altra al fianco della libera Europa democratica – quest’ultima in realtà appendice dell’impero americano anche se fondamentale per la sua legittimazione -, veniva retrocessa all’incredibile rango di una potenza regionale. Ma, sempre per il Solzenicyn del discorso di Harvard, che pur essendo stato tenuto nel 1978 rivela la sua piena attualità «bisogna essere ciechi per non vedere che gli oceani hanno smesso di appartenere all’Occidente e che la superficie continentale dei suoi territori si riduce sempre più».
Eppure l’asse Stati Uniti – Europa, dalla strategia spesso incomprensibile, non si cura di questa evidente realtà e si propone nuovamente (come ai tempi dell’URSS) forza contrapposta e, anche attraverso la NATO, invece di attrarre a sé la Russia, ne tenta progressivamente l’accerchiamento. Una strategia rischiosa, che favorisce l’irrigidimento del grande vicino e la trasformazione in senso autocratico del potere di Putin, ultima riaffermazione politica della Russia tradizionale. Ma una strategia anche irrealistica, dal momento che «… la Russia è però “anche” Paese artico, “anche” Paese asiatico, “anche” Paese del Pacifico. Lo stesso stemma nazionale … con un’aquila a due teste che guarda allo stesso tempo a Oriente e a Occidente, testimonia in maniera iconografica la vocazione al contempo europea ed asiatica del Paese.» (L. Franchetti Pardo, La Russia è parte dell’Europa, «Rivista di Studi Politici Internazionali», aprile-giugno 2011)
La Russia dell’ultimo decennio svolge un’intensa attività diplomatica, stringendo accordi politici ed economici a est, soprattutto con la Cina, ma anche con i Paesi emergenti dell’economia mondiale (i cosiddetti BRICS), con i Paesi del Medio Oriente e dell’Asia (Turchia e Iran), riprendendo la vecchia strategia dell’URSS di amicizia con il mondo islamico, si propone mediatrice quanto basta nei vari teatri di conflitto (Siria, Libia), ottiene risultati economici, rafforza la ricerca e la presenza militare.
Oggi, nonostante la sua originale concezione della democrazia, malgrado le contese regionali all’interno e fuori delle proprie frontiere, la Russia è ridiventata protagonista sulla scena globale, mentre l’Occidente pare spesso in affanno. Ma, a meno che la politica occidentale – e purtroppo i vertici del G7 in Gran Bretagna e della NATO a Bruxelles del giugno 2021 non sono stati incoraggianti in tal senso – non la sospinga in tale direzione e nonostante la suggestione eurasiatica sia presente in certa storiografia russa e nei circoli più estremisti, abbraccerebbe un’alleanza con la Cina, che, oltre che lontana storicamente, culturalmente e antropologicamente, è per certi versi più forte?
Finora la Francia è stata, da De Gaulle a Macron, l’unica potenza europea a coltivare un asse privilegiato con la Russia nell’aspirazione di raggiungere uno status mondiale e allo stesso tempo di emancipare l’Europa dall’impero americano. Ma si tratta di un grande disegno che né l’Europa occidentale né la Russia, strategicamente e politicamente, sono oggi in grado di condividere, mentre appare a portata, in attesa di tempi migliori, una graduale diminuzione della tensione che assicuri pace e cooperazione nel continente.
Immagine di apertura: Chiesa del Salvatore sul Sangue Versato, San Pietroburgo, foto di Mitya Ivanov, Unsplash