Donna di luminosa bellezza, osannata in tutti i migliori palcoscenici del mondo, ineguagliata interprete del teatro drammatico del suo tempo, la netina Tina Di Lorenzo (1872 – 1930), «una delle più armoniose attrici che abbiano onorato il teatro italiano» (Dizionario Enciclopedico UTET), a cui giustamente è stato intitolato, grazie alla felice iniziativa dell’attuale sindaco dottor Corrado Bonfanti, con delibera della giunta municipale n. 16 dell’8/3/2012, il teatro comunale di Noto, sua patria del cuore, ha sperimentato per troppo tempo la nebbia di un immeritato limbo.
Mentre Eleonora Duse (1859 – 1924), l’altra “divina” del nostro teatro, sua quasi contemporanea, grazie anche alle iniziative in suo
onore intraprese ad Asolo (Treviso), nel cui cimitero riposa, continua a risplendere nel firmamento della cultura italiana, Tina Di Lorenzo, donna di fascino straordinario e attrice di «colossale talento», secondo l’espressione del drammaturgo russo A. Suvorin, irripetibile sintesi di serena beltà ed arte drammatica, ha rischiato un oblio, che sarebbe stato mortificante soprattutto per il mondo della cultura teatrale. Troppo corposo è il debito d’amore contratto verso questa ammaliante figura di primadonna, che meritò l’appellativo di “angelicata” in Italia e di “encantadora” nel Sudamerica, per non rinverdirne il ricordo.
La «bella fanciulla del teatro italiano, trepida e soavemente rosea tra il velo della sua signorile modestia, (che) recitava con una grazia, una dolcezza, un ardore mirabili…» (Enciclopedia dello Spettacolo), lo merita incondizionatamente. Non possiamo anzitutto prescindere da un sintetico profilo biografico ed umano come primo abbozzo di un disegno più ampio e completo.
Tina Di Lorenzo nacque casualmente a Torino il 4 dicembre 1872 da Corrado Di Lorenzo Nicolaci dei marchesi di Castelluccio di Noto e da Amelia Colonnello, brillante primattrice nella Compagnia di Tommaso Salvini, che ella abbandonò per dedicarsi interamente all’educazione della figlia e degli altri rampolli che seguirono: Adele e Giuseppe. Avendo, a questo punto, ben poco da spartire con Torino, nel 1880, i coniugi Di Lorenzo-Colonnello si trasferirono a Noto.
“La Città d’oro” non contava a quell’epoca cantori idonei a celebrare la dovizia e la preziosità dei suoi beni ambientali e monumentali. Il grande storico d’arte Cesare Brandi (1906 – 1988), che la battezzò “Giardino di pietra”, non era ancora nato, così come André Chastel, Stephen Tobriner, Paul Hofer ed altri degnissimi studiosi che l’hanno fatta conoscere nel mondo intero. Ciò malgrado, era già la scenografica capitale del barocco, poi inserita dal 2002 nella Lista del Patrimonio dell’umanità Unesco.
La piccola Tina, dotata di innato talento drammatico, apprese ben presto ad apprezzare le bellezze del suo cospicuo patrimonioarchitettonico, nonché il clima dolcissimo che l’aiutò a crescere forte e sana. «Circondata dall’affetto dei suoi genitori e dei parenti – garantisce il suo primo biografo Antona-Traversi – il gentil fiorellino crebbe all’aria e al sole. E di quell’aria e di quel sole risentì sempre i benefici effetti». A Noto, la famiglia Di Lorenzo, felice premonizione di un avvenire radioso nel campo dell’arte drammatica, si installò in un’abitazione a due piani al fianco sinistro del Teatro comunale, che era stato inaugurato alcuni anni prima, precisamente nel 1870.
Appoggiandosi alla balaustra della balconata, Tina poteva ammirare la splendida facciata della Chiesa di S. Domenico, baciata dal sole dal primo mattino e fino al tramonto in ogni stagione dell’anno, ed osservare il gioco mutevole e cattivante della luce solare con l’ombra nel capolavoro del Gagliardi, specialmente nei meriggi estivi, allorché lo scandalo della luce del sud-est siciliano ti svincola dalle cure terrene e ti attrae negli spazi sterminati del cielo azzurro cobalto.
Una circostanza privilegiata le diede l’opportunità di manifestare molto prematuramente il suo genio artistico: la fondazione della Società filodrammatica, intitolata a Carlo Goldoni, di cui furono promotori Corrado Di Lorenzo Nicolaci del Castelluccio e la moglie Amelia Di Lorenzo, assieme all’intelligencija netina del tempo, tra cui il sindaco Vincenzo Landolina, Ascenso Mauceri e Corrado Avolio. Il momento più memorabile della filodrammatica ha una data ben precisa, destinata a rimanere per sempre negli annali del teatro di Noto: 23 agosto 1883.
In quel giorno, Tina, appena undicenne, fece il suo debutto assieme alla sorella Adele. Si trattò di uno spettacolo di beneficenza organizzato in favore dei terremotati di Casamicciola, fiorente borgo dell’isola d’Ischia, che un devastante sisma aveva raso al suolo il 28 luglio 1883. In tale occasione, le due sorelle interpretarono un atto unico in versi, composto da Giuseppe Cassone, l’insigne traduttore del poeta nazionale ungherese Sándor Petöfi. Il grande filologo vi descrive il dramma di due bambine miracolosamente sopravvissute alla rovina del borgo che, “orfane e randagie”, si chiedono disperate che cosa ne sarà di loro, rimaste sole al mondo. L’inattesa intensità drammatica e la perfetta dizione con cui la piccola Tina recitò il suo monologo sorpresero il pubblico che, quella sera, fu tutto un fiume di pianto e di commozione.
Più tardi, quand’era già al culmine dei suoi successi internazionali, l’attrice netina così rievocò quel primo solenne atto della sua carriera artistica: «Quella sera ebbi un successo enorme. Recitai con commozione grandissima; la mia voce ebbe intonazioni così sincere di disperazione che vibrarono in tutta la sala. Il successo clamoroso fu il battesimo della mia arte; fu il fuoco sacro che divampò nelle mie vene». Da quello storico evento, il teatro comunale di Noto rimase nel suo cuore come il tempio sacro in cui si era disvelato il suo genio drammatico.
Comprendendo che, rimanendo a Noto, la figlia non avrebbe avuto modo di sviluppare il suo talento, considerata la lontananza dai “foyers” culturali dell’epoca, i genitori, superando i pregiudizi “nobiliari” verso il teatro come professione, favorirono il suo trasferimento a Napoli, ufficialmente per completare i suoi studi e formazione umana, in realtà per consentirle di entrare in una compagnia teatrale che favorì il suo debutto a Torre del Greco.
L’adolescente, che lasciava già trasparire la sua avvenenza fisica, dopo un “tour” nei teatri di Napoli, Caserta e Capua, attrasse l’attenzione della già celeberrima Eleonora Duse che, nella sua magnanimità, fu prodiga di consigli e incoraggiamenti.
Il salto di qualità tra la sicura promessa e la talentuosa attrice fu sentenziato dall’interpretazione di “Ruit Hora” del duca Proto di Maddaloni: il successo straripante fu decretato dal pubblico delirante, dai lusinghieri commenti della stampa specializzata e, soprattutto, dall’immediato interesse delle migliori compagnie teatrali italiane che se la contesero.
Con Ettore Paladini prima e poi con Virginia Marini, con Francesco Pasta, con Flavio Andò ed infine con la compagnia formata con il marito Armando Falconi, fu un ininterrotto susseguirsi di trionfi: in Italia, in Europa, in America Latina, in Russia. Ovunque. Gli spettatori di tutto il mondo subirono il fascino di questa stupenda fanciulla con un immacolato volto di Madonna uscita dal pennello del divino Raffaello, novella Beatrice olezzante di zagara dei giardini siciliani, discesa dall’Empireo a “miracol mostrare”.
Non per nulla fu ribattezzata col termine stilnovista di “angelicata”. Il suo semplice apparire sulla scena, l’incedere, l’espressione delicata e suadente, la grazia, la trasparenza d’animo, i suoi monologhi, suscitarono dappertutto ovazioni a scena aperta.
Si è discusso a lungo sul fascino, sulla leggiadria, sull’appeal di Tina Di Lorenzo, al punto che c’è chi ha ipotizzato che la sua fama e i suoi successi fossero più l’effetto della bellezza fisica che della capacità artistica. Dissentiva da questa ipotesi Gabriele D’Annunzio. Il Vate, dopo avere assistito a Bologna ad una sua esibizione, scrisse di getto quanto segue: «Tina Di Lorenzo, questa creatura così semplice e così fresca, che ha la bocca semichiusa a casta della Polimnia antica, è, nelle espressioni del dolore, quasi per un prodigio di metamorfosi, potente e diversa come poche altre attrici già provate dalla vita. Se il suo riso è schietto ed alato, il suo grido d’angoscia è penetrante e indimenticabile, come quello che lo spasimo vero strappa talvolta dal profondo di certe anime nativamente estetiche, nelle quali anche l’eccesso del dolore trova una espressione quasi direi armoniosa. E questa potenza e questa ricchezza di modulazione tragica ha in Tina Di Lorenzo una corrispondenza perfetta con la attitudine, con il gesto, con ogni moto. Ella è decorosa sempre, nel senso più nobile e più estetico della parola latina».
Leggendo i resoconti giornalistici delle sue “performance”, si comprende subito che quando ella appariva sulla scena era una festa dell’occhio, del cuore e del pensiero; Tina conquistava con la sua armonica e rasserenante bellezza e rappresentava con la schiettezza propria dell’anima sua i drammi delle eroine che interpretava. Ammaliati dalla sua persona gli spettatori di lingua spagnola scelsero per lei l’attributo più appropriato: encantadora.
La grande attrice netina sognò sempre di far ritorno nella sua «ridente Noto», il cui «bruciante calore del sole», come annotò nel suo diario personale, portò sempre nel cuore.
La circostanza propizia si presentò dal 13 al 15 aprile 1902. Ricevette allora a Noto “onori regali” che lasciarono senza fiato tutta la sua compagnia teatrale e, in primo luogo, il marito Armando Falconi, che aveva sposato otto mesi prima. In quella occasione era già incinta, ma nessuno se ne accorse, dell’unico figlio, Dino Falconi. In una memoria personale, Armando, sotto l’effetto dello sbalordimento,
scrisse: «Chi conosce la passione dei siciliani per l’arte, lo spiccatissimo loro senso di patriottismo ed il loro vivacissimo istinto di ospitalità, può figurarsi con quale entusiasmo Noto accolse la sua illustre compatriota Tina».
Al teatro comunale, in un delirio continuo, mentre poeti e versificatori, tra Giuseppe Cassone e Vincenzo Coffa, fratello della dolce poetessa Mariannina, lanciavano dai palchi e dal loggione centinaia di foglietti volanti con composizioni improvvisate, la grande attrice diede un ennesimo saggio del suo valore interpretando Divorziamo di Victorien Sardou e Frou-Frou di Meilhac e Halévy.
Salvatore Dejean, nei suoi Ricordi di un vecchio filodrammatico, descrive le feste grandiose e gli onori che tutta la cittadinanza tributò in tale occasione all’illustre conterranea. Malgrado le accorate promesse di ritornare, Tina Di Lorenzo non rivide mai più la città della sua fanciullezza e del suo debutto teatrale, «incoronata dall’oro degli aranci e dal verde arso dei fichi d’India».
Dopo una lunga serie di successi, quando era ancora all’apice della gloria, nel 1919, a soli 46 anni, l’angelicata, nella incredulità generale, abbandonò il teatro e si ritirò nella sua casa di Livorno, felice di fare la sposa e la madre. Di tanto in tanto si spostava a Milano per seguire gli studi universitari di Dino. Nessun trauma, nessuna depressione; anzi, la serenità ed il sorriso di sempre.
Si è discusso a lungo su questo repentino allontanamento dalle scene di una grande artista nel pieno della gloria e di una donna che nulla aveva perso del suo fascino e della sua capacità interpretativa.
La questione è analizzata nel mio saggio Tina Di Lorenzo. Il fascino e l’arte della Encantadora (Armando Siciliano Ed., Messina, 2003). La spiegazione sta probabilmente nel fatto che ella, persona libera e autentica, non volle rinunciare alla sublime levità della sua libertà interiore.
Colpita da grave malattia alla fine degli anni Venti, la “encantadora” si spense a Milano il 25 novembre 1930. Non aveva ancora compiuto 58 anni.
Formidabile interprete, dotata di una grazia e di una umanità senza paragoni, ella ha scritto una pagina memorabile della bellezza sognante, della virtù e della purezza gioiosa, testimoniate con nobiltà d’animo e senza misura.