Ho cercato di condividere con più persone possibili l’articolo del mio amico Giampaolo Cadalanu “L’ultimo contingente americano resta schierato a difesa dell’ambasciata nella zona verde di Kabul” apparso su Repubblica il 2/7/2021.

Gli Stati Uniti, hanno deciso di abbandonare il loro impegno militare in Afghanistan, così come avevano fatto prima gli inglesi e poi i sovietici.

Foto di David Mark da Pixabay

Scappare da guerre perse o da impegni militari ritenuti insostenibili, perché non possono portare a una vittoria, non è certo una novità.

Per un sessantottino come me la prima di queste fughe è stata quella dal Vietnam. Quando si sono accorti di aver perso la guerra con i Vietcong, gli americani se ne sono andati in fretta e furia, sapendo che in ogni caso non avrebbero mai potuto vincere. Però, quello che ricordo con più tristezza, e forse orrore, erano tutti i vietnamiti che avevano lavorato con gli americani, o che avevano creduto di poter rimanere un paese democratico e tentavano di salire sugli aerei o si aggrappavano alle ruote degli elicotteri in partenza.

Gli americani se ne andavano, ma coloro che avevano creduto in loro restavano li, pronti ad essere ammazzati, rinchiusi in campi di rieducazione o costretti a tentare difficili fughe verso i paesi vicini.

È successo sempre nella storia e si potrebbe dire, con una antica affermazione “Guai ai vinti”.

C’è però una piccola differenza, che quando una forza straniera viene in aiuto di qualcuno, dicendo in genere che vuole essere il loro salvatore, molti ci credono, soprattutto coloro che sono stati discriminati e perseguitati da prepotenti vicini, o da leader tirannici e brutali.

La storia è piena di interventi di “salvataggio” di minoranze perseguitate, e non importa molto se i salvatori volessero soltanto conquistare di nuovo i territori o volessero solo salvare minoranze in pericolo.

L’unico aspetto che conta è che troppo spesso i “salvatori” hanno pensato di riuscire nel loro intento, per accorgersi solo dopo, che il salvataggio era impossibile o che aveva un costo economico e politico troppo alto.

E allora si scappa. Da Dien Bien Phu come fecero i francesi dal Vietnam, dalla Libia, dopo aver fatto crollare il regime di Gheddafi, dal Ruanda ben sapendo che ci sarebbe stato un massacro: non c’è spazio, in questo articolo, per questa triste lista storica delle fughe.

Ho spesso detto negli articoli e nei libri che sono stufo dei dibattiti dei geo-strateghi, che ci diranno se in Afghanistan prevarranno gli iraniani o i sauditi. Gli americani hanno chiesto ai talebani soltanto di non aiutare i terroristi, quelli che possono causare problemi ai nostri civilissimi paesi.

Io invece vorrei abbracciare, una per una, tutte quelle bambine, ragazze, quelle mamme e quelle nonne afgane, che stiamo per lasciare sole e alle quali avevamo fatto pensare che avrebbero potuto andare a scuola, diventare infermiere e dottoresse, e che non sarebbero state più obbligate ad indossare orrendi burka ed essere picchiate soltanto per avere a casa qualche libro.

Dovremmo almeno avere la dignità e la responsabilità di portarcele da noi queste donne afgane che abbiamo illuso. Dovremmo provare vergogna per questa mascalzonata che stiamo per fare, dopo aver predicato di esportare i diritti e la democrazia.

Se non faremo qualcosa per loro, ci copriremo di una ennesima e inaccettabile vergogna.