Adesso gli italiani guardano con grande speranza anche al Campionato Mondiale di calcio del 2022. È la massima sfida calcistica globale, si giocherà tra un anno per la prima volta in Medio oriente, nel Qatar.
L’11 luglio del 2021 è una data indimenticabile per gli italiani. E non solo per i tifosi: la Nazionale ha vinto il Campionato Europeo di calcio. Dall’11 giugno alla sera dell’11 luglio è stata una lunga corsa tutta costellata solo di successi: contro la Turchia, la Svizzera, il Galles, l’Austria, il Belgio, la Spagna. E l’Italia, nella partita finale degli Europei ha battuto per 4 a 3 anche l’Inghilterra nello stadio di Londra, il mitico Wembley. È stata una vittoria molto sofferta: gli Azzurri l’hanno spuntata per un soffio con i gol ai rigori, dopo i tempi supplementari finiti 1 a 1.
Un po’ la bravura e un po’ la fortuna hanno prodotto il colpaccio. Lorenzo Insigne a fine giugno, quando tutto era ancora in ballo, si era sbilanciato: «Viviamo una favola». Roberto Mancini era fiducioso ma prudente. L’allenatore della Nazionale annunciava la sua formula magica 48 ore prima della difficilissima partita con l’Inghilterra: «Bisogna divertirsi, solo così si vince una finale!».
La «favola» si è avverata. I giocatori italiani hanno mescolato impegno, sofferenza e divertimento. La gioia degli italiani è esplosa la stessa notte dell’11 luglio: pubblicamente nelle piazze e privatamente nelle case. Il merito dello straordinario successo va a Donnarumma, Bonucci, Pessina, Chiellini, Chiesa, Emerson, Immobile, Insigne, Belotti, Jorginho, Barella. Il merito va soprattutto al tenace Mancini, autore di un miracolo: ha ricostruito una Nazionale trovata moribonda. I giornali sono stati tutti un inno: «I campioni siamo noi».
L’esplosione di felicità ha una spiegazione. L’Italia non è abituata a vincere. Soprattutto negli ultimi trent’anni ha collezionato brucianti sconfitte: il boom del precariato e del lavoro nero, l’impoverimento del ceto medio, la moria delle grandi aziende, le fabbriche fallite per la concorrenza cinese, l’esplosione delle tasse e dell’evasione fiscale, l’inadeguatezza nelle nuove tecnologie digitali, le mefitiche paludi della burocrazia, la classe politica con scarsa credibilità. La tragedia del Covid-19 scoppiata nel febbraio 2020 ha fatto il resto (è in agguato anche una quarta ondata trainata dalla variante Delta veicolata dagli stadi affollati, dai turisti e dalle feste). Così l’Italia, almeno nel calcio, da ultima in Europa è diventata prima. È una difficilissima scommessa vinta.
Ma la rinascita calcistica può aiutare anche quella sociale, culturale, economica e politica. L’entusiasmo per gli Azzurri può rafforzare pure l’unità nazionale nei momenti difficili. Non è un caso se Sandro Pertini nel 1982 andò a Madrid per tifare Italia e la Nazionale vinse i Mondiali di calcio. Sarà una coincidenza, ma quella partita vittoriosa con il presidente della Repubblica in tribuna aiutò a chiudere l’era del terrorismo brigatista e segnò l’inizio di anni di grande sviluppo. Andò così anche nel 2006 a Berlino. Giorgio Napolitano incoraggiò i calciatori e gli Azzurri vinsero anche quel Campionato del Mondo, dando un po’ di fiducia alla traballante Seconda Repubblica.
La storia si è ripetuta anche questa volta. Sergio Mattarella è andato a Wembley ad incoraggiare e ad applaudire gli Azzurri. Non è un caso se il capo dello Stato e Mario Draghi hanno ricevuto i calciatori italiani al ritorno a Roma e li hanno ringraziati. Il presidente del Consiglio incita all’unità, alle responsabilità, alla fiducia, all’ottimismo per ricostruire l’Italia devastata dal Coronavirus. Ha sottolineato gli ingredienti dell’eccezionale successo calcistico: la somma di «grandi individualità» e di «un gioco e uno spirito di squadra». Sembra un richiamo agli italiani e anche ai rissosi partiti della sua variopinta maggioranza di unità nazionale.
Il calcio è una leva importante del consenso. Lo sa benissimo anche Boris Johnson. Il premier britannico da scalmanato sovranista e tifoso di calcio è andato a Wembley per sostenere l’Inghilterra. Ma Johnson è anche un uomo prudente. A chi gli chiedeva, prima della finale con l’Italia, di consacrare come festa nazionale la giornata della scontata vittoria, rispondeva: «Mi sembra davvero una bella tentazione. Vediamo cosa succede».
Invece, contro molti pronostici, l’Italia e non l’Inghilterra ha vinto il Campionato europeo. Molti inglesi non l’hanno presa bene. La sera dell’11 luglio i calciatori inglesi, in segno di protesta, si sono levati dal collo la medaglia di secondi classificati a Euro 2020. Poi sono scattate diverse petizioni di tifosi con la richiesta di far rigiocare la partita con l’Italia perché il risultato sarebbe stato condizionato dai troppi falli degli Azzurri non sanzionati adeguatamente dall’arbitro. L’obiettivo è una «rivincita» e «dovrebbe avere luogo con un arbitro non di parte». È brutto non saper accettare una sconfitta e perdere l’autocontrollo cercando dei pretesti per rimettere in discussione tutto. Il fatto non fa certo onore al paese che si vanta di essere stato l’inventore del “fairplay”.
I paesi dell’Unione europea gioiscono per la sconfitta dell’Inghilterra dopo la travagliata Brexit, fortemente voluta da Johnson. In molti, come la Spagna e la Germania, applaudono anche la vittoria dell’Italia. Qualcuno dopo l’addio alla Ue del Regno Unito pensa proprio a Draghi come l’uomo al quale assegnare la leadership europea. Il Belpaese sarà anche una nazione debole, ma l’astro di Angela Merkel in Germania è al tramonto e quello di Emmanuel Macron in Francia è offuscato da molte sconfitte. Draghi invece, almeno per ora, sta vincendo la sua scommessa per rimettere in piedi l’Italia ed è molto apprezzato in Europa e negli Stati Uniti.