Non passa giorno che in tutti i media non venga trattato uno degli argomenti più importanti per la ripresa del nostro paese: LA FORMAZIONE. Siamo tutti consapevoli che da essa dipenderà il futuro nostro e soprattutto delle prossime generazioni e che riguarderà ogni ambito: politico, industriale, sociale, della ricerca, etc.
È chiaro a tutti che la scarsa qualità media della nostra classe dirigente, pur con le dovute ed importanti eccezioni, abbia fatto sentire il suo peso nel minor sviluppo del nostro paese nei confronti dei partners europei anche in epoca pre Covid. Veniamo così a sapere che giustamente sono previste massicce immissioni di docenti nella scuola e nell’università, che verranno stanziati fondi adeguati per implementare la ricerca e così colmare il gap che ci separa dai maggiori paesi europei. Altri fondi sono previsti per la digitalizzazione e per l’edilizia scolastica.
Ma arruolare docenti magari non adeguatamente formati, forse senza criteri selettivi sufficienti, inserirli in un contesto non motivante può garantire un reale miglioramento della formazione? Le grandi società pubbliche e private stanno mettendo a punto programmi di reskilling per attualizzare le competenze del personale rimasto in dietro nell’aggiornarsi su capacità necessarie nell’attuale mondo del lavoro, in alcuni casi in modo critico se non drammatico. Tutti programmi giusti e necessari. Ma siamo sicuri che questa impostazione sia sufficiente?
A mio modo di vedere questa pandemia rappresenta un’opportunità storica che dovrebbe consentire un’analisi critica dei tanti problemi che hanno reso meno competitivo il nostro sistema paese rispetto ai competitors internazionali. La formazione certamente rientra tra questi problemi. Nella mia esperienza di professore di chirurgia nel corso di laurea e nelle scuole di specializzazione mi sono via via sempre più frequentemente imbattuto in studenti a cui mancavano le basi per sviluppare un pensiero critico oltre alle nozioni preliminari ed indispensabili per affrontare un ragionamento clinico ed una diagnosi differenziale.
Fino a cinquanta anni fa la nostra scuola e le nostre università erano tra le migliori di Europa anche se non c’erano i test P.I.S.A ed Invalsi a certificarlo. Il Sessantotto è stato lo spartiacque nel nostro sistema formativo. Senza voler sottovalutare l’importanza innovativa che quel movimento ha avuto in tutto il mondo e nel nostro paese, da noi, diversamente che in altri paesi, esso ha presto assunto una deriva anti meritocratica ed egualitaria.
Si è così confuso il sacrosanto principio che ogni cittadino ha lo stesso diritto ad acquisire qualsiasi titolo di studio, indipendentemente dal censo della sua famiglia, con il diritto di ognuno a raggiungere comunque il “pezzo di carta” eventualmente anche la laurea, indipendentemente dal merito. Si è così creata l’illusione che ottenuto quel titolo di studio si avesse il diritto a svolgere le funzioni che quel titolo comportava a prescindere dalle competenze acquisite. In ultima analisi si è di fatto interrotto quell’ascensore sociale che la scuola deve rappresentare, aumentando i privilegi di chi, disponendo di una rete di relazioni famigliari, ha maggior possibilità di inserirsi nel lavoro qualificato. Con il progressivo deteriorarsi della scuola italiana, questo divario si è ulteriormente accentuato, avendo le famiglie più ricche l’opportunità di inviare i propri figli verso prestigiose scuole ed università straniere. Gramsci, che certo non può essere considerato un reazionario, nelle lettere dal carcere scriveva che la scuola se voleva svolgere il suo compito sociale, doveva essere selettiva e meritocratica, ma che lo Stato doveva farsi carico di offrire ai figli delle classi meno abbienti le possibilità economiche per raggiungere, se meritevoli, i più alti livelli di formazione. Solo così sarebbe stato possibile interrompere l’eterno circolo vizioso dei privilegi. Quindi, a prescindere dalle proprie idee politiche, se è vero come è vero che in Italia c’è carenza di formazione si deve partire da una scuola selettiva e meritocratica, che sappia sviluppare i talenti di ognuno, e prepari ad un reale e proficuo inserimento nel mondo del lavoro.
Urge una riforma di fondo!!! Se non ora quando? Qualche idea ce l’ho. Se l’argomento interessa possiamo riprenderlo anche sotto forma di dibattito per arrivare a soluzioni condivise da proporre eventualmente nelle sedi competenti.