L’informazione italiana da oltre 10 anni vive una crisi di sistema. Chiudono i giornali, i settimanali e le edicole. Le vendite dei quotidiani sono più che dimezzate rispetto agli anni ‘80 e si dilegua la pubblicità.
Il Coronavirus aveva fatto emergere un tentativo di riscossa con i cittadini interessati a sapere tutto su una tragedia senza precedenti, ma poi anche questa speranza è naufragata. La carta stampata va malissimo, la connessa informazione on line stenta e non riesce a decollare (conta per circa il 25% sui ricavi complessivi), la pubblicità è evaporata in direzione delle grandi multinazionali digitali tipo Google e Facebook. Le televisioni (Rai, Mediaset, Sky, La7) navigano tra mille difficoltà.
Mario Draghi cerca di pilotare l’Italia fuori dalla doppia crisi, del Covid-19 e dell’economia. Prevede una ripresa «ancora più sostenuta»: più 5% nel 2021. È ottimista sulla ricostruzione dopo la catastrofe della pandemia: «La fiducia sta tornando».
Tuttavia Draghi ha trascurato il disastro dell’informazione. Giuseppe Giulietti, presidente del sindacato dei giornalisti (Fnsi), ha chiesto un incontro al presidente del Consiglio perché l’informazione «non sia oscurata». La crisi è drammatica. Le redazioni superstiti sono svuotate, i giornalisti sono pochi e mal pagati, in molti casi sono dei precari a vita. Gli editori hanno risposto alla crisi tagliando il costo del lavoro, mandando in prepensionamento i redattori a spese dell’Inpgi (l’istituto di previdenza dei giornalisti), concentrando testate e redazioni, assumendo con il contagocce i giovani. L’ultima notizia sulla crisi arriva dalla previdenza: l’Inpgi, in profondo deficit e a rischio collasso, ha deciso l’ennesimo piano di sacrifici aumentato i contributi per i cronisti in attività e imponendo un nuovo prelievo forzoso sugli assegni dei pensionati.