Un grande sabba patriottico che ci fa viaggiare alti e fieri nel continente. Si era però appena finito di calcolare un valore aggiunto di 12 miliardi per il nostro Pil che, in controtendenza, è arrivata una pioggia di disdette turistiche vacanziere da parte degli inglesi. Era un europeo a misura di loro e si sentono scippati. Volevano la ricompensa per aver stoppato il sogno egemonico della Superlega.
Curioso a posteriori che l’organizzazione continentale abbia pensato l’evento proprio a misura di Inghilterra, la nazione che si è messa fuori dall’Europa, convinta di poter far da sola. Comode sei partite su sette in casa per lo squadrone di Southgate, capitolato giocando all’italiana, massima ironia della sorte. Più o meno ironicamente la frase “Che Dio stramaledica gli inglesi” non è mai stata tanto gettonata come adesso. Sarebbe stata valida anche in caso di sconfitta azzurra ma l’evaporando fair play britannico prima e dopo la partita ha prodotto questa reazione esulcerata.
L’Italia ha disputato un girone preliminare regale battendo con disinvoltura Turchia, Svizzera e Galles. Poi si è inoltrata in un cammino più difficile, irto di supplementari, rigori e sofferenza con un secondo ciclo altrettanto vittorioso con Austria, Belgio, Spagna e Inghilterra. Uscendo premiata dalla lotteria dei penalty.
Proprio in questa seconda fase abbiamo intuito quanto ci costi non avere un centravanti all’altezza. Il povero Immobile (generoso, per carità, come si dice in questi casi, alla romana, “Fallo pure’ esse’ cattivo”) non arrabattava neanche uno stop. Indice di pericolosità vicino allo zero. Principale problema del futuro per Mancini, unitamente alla calcisticamente veneranda età di Chiellini e Bonucci, i due difensori più resilienti del vecchio continente. Per la prima voce in lista d’attesa Kean, Raspadori e Scamacca, non Balotelli (per acclarate delusioni), non Caputo (per raggiunti limiti di età).
Mancini ha compiuto una grandissima rimonta riportando l’Italia al quarto posto del ranking mondiale dopo il precipizio-Ventura con conseguente esclusione dai mondiali del 2018. Lo sport ci ha appagato con la sua disciplina più popolare. Ma ora staremo inevitabilmente a calcolarne gli esiti pandemici che da Londra potrebbero riversarsi nel continente, segno di quanto sia fallace la Brexit anche in termini sanitari e, in particolare, di contagio.
Chiariamo subito che non è merito di Draghi e Mattarella se l’Italia ha vinto gli europei. È il segno di salute dello sport azzurro, buon biglietto da visita per Tokyo, dove possiamo aggiudicarci tra le 28 e le 35 medaglie, cercando l’inserimento tra le nazioni top 10. Viviamo in un mondo strano in cui passeremo dall’orgia hooligan dei 60.000 di Wembley al deserto di pubblico dei Giochi. Diciamo pure che il Cio è stato più previdente dell’Uefa, e il Giappone più illuminato dell’Inghilterra. Ora è quasi il momento di tornare sulla terra e tradurre questo slancio, questa ventata di ottimismo nella vita di tutti i giorni. Ma con un Governo che si divide sull’omofobia (non sui massimi temi del lavoro e dell’economia) c’è ben poco da sperare.