A distanza di cinquant’anni mi sono ritrovato ad essere coinvolto in una gara di idee tuttora valida che ha risvegliato la mia curiosità, grazie a Claudio Leone e Alessandro Coluccelli, che mi ha ritrovato su Facebook.
Ma procediamo con ordine, partendo dal passato. Di cosa si discuteva mezzo secolo fa? Il discorso principale riguardava la struttura giuridica dell’Europa: federazione di Stati tipo USA con unico Parlamento Centrale oppure confederazione di Stati Indipendenti? Il CIME (Consiglio Italiano Movimento Europeo), presieduto da Giuseppe Petrilli organizzò diversi convegni (anche della stampa studentesca) a favore della Federazione. La prospettiva idealistica era quella di creare una Europa dei popoli. Ma come incominciare a intendersi dal momento che ogni Stato restava legato alla sua lingua nazionale? Si pensò a una lingua comune, chiamata “esperanto”, che non risiedesse in nessuna parlata nazionale ma che potesse essere parlata da tutti, secondo la concezione dantesca nel “De Vulgari Eloquentia”.
Mi fermo a queste prime due idee per osservare come sono state tradotte nella nostra realtà dopo mezzo secolo. Per tanti motivi, che qui sarebbe lungo elencare, l’Europa dei nostri giorni non è né carne né pesce, cioè non è né federazione né confederazione di Stati indipendenti. Esiste un Parlamento che emana direttive, una commissione che dovrebbe avere il potere esecutivo e una pletora di commissioni che di volta in volta in base
all’argomento riunisce i vari ministri nazionali. Ogni giorno, ogni mese, ogni anno si accumulano direttive, raccomandazioni, pareri e altre forme di comunicazioni che nello spirito europeo dovrebbero essere cogenti ma che poi si risolvono in un nulla di fatto. In questa direzione mi sembra assai utile l’idea dell’Associazione TUTTI di essere informata su tutte le attività degli organismi istituzionali europei per esercitare una reale partecipazione del popolo.
Per quanto riguarda il secondo punto, quello della lingua comune, è assai doloroso per me osservare che la prima lingua ufficiale dell’Europa è l’inglese, anche dopo che l’Inghilterra si è ritirata dal progetto europeo. Questo esempio clamoroso ma significativo ci fa capire come la realtà nuda e cruda prevalga ancora sulle idee: la struttura economica prevale sempre su tutto. Ma come si potrebbe ricominciare dall’Europa dei popoli? I vari progetti europei, compreso “Erasmus” sono un ottimo trampolino di lancio: basta introdurre nei bandi l’obbligo della conoscenza dell’esperanto o di una lingua creata ah hoc, alternativa all’inglese (che ha colonizzato il mondo). Ad esempio perché non restituire dignità al greco nella cui lingua è stata inventata per la prima volta l’idea di Europa? È una utopia? Forse, ma non è mai troppo tardi.