Dal 2023 al 2027 i Paesi dell’Ue riceveranno 340 miliardi di euro per la nuova Politica agricola. Lotta ai cambiamenti climatici, biologico, tutela dell’ecosistema, diritti, sono i pilastri di una nuova strategia che parte dalle campagne.
Una strada lunga, già percorsa in passato ma con tante buche scavate da Paesi (sic!) europeisti. Che quando si trattava ,però, di proteggere vino, latte, ortaggi e frutta propri, non arretravano. La politica agricola europea- sintesi di una strategia politica e industriale del vecchio continente – ha segnato i punti peggiori di una costruzione difficile. Forse più della moneta unica e di altri trattati commerciali. Sarà stata per questa ragione che quando dopo mesi di negoziati, a giugno scorso i 27 hanno raggiunto finalmente un’intesa sulla nuova Pac ( Politica agricola comune) le dichiarazioni dei leader sono state tutte entusiaste.
Tutte le vecchie buche sono state riparate? Certo, nessuno vuole che i convogli finanziari della Commissione inciampino nel trasportare 340 miliardi di euro di aiuti tra il 2023 e il 2027. Distribuirli bene, avendo a cuore la sorte ambientale e sostenibile della nuova Europa. O di quella che sarà.
Tra i punti centrali dell’accordo ci sono i principi del Green New deal. Tutto in itinere, sia chiaro. Ciascun Paese per poter accedere alle quote di finanziamento della Pac dovrà dimostrare di sapere star dentro quella strategia liberatoria da inquinamenti e storture ambientali. I governi dovranno presentare Piani strategici nazionali. Ed è una novità assoluta. C’è stata battaglia su questo durante i negoziati. Ma dal 2023 nessuno dovrà essere così furbo da dotarsi di chiavistelli per aggirare i principi generali di un’Europa verde. Per capire: bando ai pesticidi, uso di energie rinnovabili, investimenti in innovazione, processi agricoli meno impattanti , spazio al biologico, opportunità per i giovani .Bisogna “sviluppare piani strategici che siano in linea con gli obiettivi dell’Unione e che possano fornire gli strumenti giusti per supportare gli agricoltori nella transizione verso un sistema alimentare sostenibile” ha commentato il commissario Ue per l’Agricoltura Janusz Wojciechowski.
Il dato inconfutabile è che sulla filiera agroalimentare si vince o si perde tutto. Non c’è Paese in Europa ( e nel mondo) che possa guardare al futuro senza preoccuparsi della primaria esigenza dei propri abitanti. La globalizzazione ha destrutturato le vecchie pratiche agricole, ma Paesi come Francia, Italia, Spagna, Grecia per anni a Bruxelles come a Strasburgo hanno difeso con ogni mezzo i prodotti di casa propria. Giusto o sbagliato che sia stato, siamo ora davanti a scelte non più rinviabili. La ricerca di un equilibrio tra ciò che si produce e ciò che si vende è difficile, ma perseguibile. La grande industria lo ha capito prima della politica , allorché ha preso a ridisegnare i propri modelli di business puntando sulla sostenibilità, sulle coltivazioni biologiche, sui marchi di qualità. La sintesi ora richiesta deve essere di sistema, estesa a tutta la filiera, come la Pac 2023-2027 intende fare.
È il caso , allora, di sottolineare come i Piani strategici nazionali pongano i singoli governi davanti a scelte integrate, ragionevoli, per costruire dal basso un nuovo un nuovo ordine socio-economico. Come ogni Paese avrà l’obbligo di destinare il 25% delle risorse ( per l’Italia circa 40 miliardi) ad attività eco compatibili, ossia non in contrasto con il clima e l’ecosistema. Che le aziende agricole dovranno essere capaci di lavorare con basse emissioni di carbonio, avere buone pratiche di allevamento e di commercializzazione dei prodotti. Infine, che il 3% dei terreni siano dedicati alla non produzione per un contrappeso naturale.
E il lavoro vero ? La Pac chiede il rispetto dei diritti dei lavoratori, orari congrui , applicazioni di contratti, legalità. Una svolta anche questa, sebbene tra i 27 ci sia chi legiferi contro i diritti fondamentali della persona. È questa è la buca più odiosa da colmare. Viceversa di che parliamo?