L’altro giorno – durante la nostra prima assemblea di “TUTTI Europa ventitrenta” (5 luglio) – mi son lanciato in un intervento forse troppo telegrafico e poi – nel successivo momento conviviale – mi son dovuto rendere conto che era rimasto poco chiaro.
Ovviamente il riferimento negativo al “lessico” corrente non era rivolto a quello dei “tuttini”, ma allo scaduto (e scadente) linguaggio del mondo della comunicazione occidentale: a quel “parolame” che ci trasciniamo da un centinaio d’anni per parlare indifferentemente delle cose del mondo passato, delle cose del mondo presente e delle cose del mondo futuro!
In questo frangente, come “tuttini” siamo impegnati a portare un contributo all’iniziativa “Europa futura”, con particolare trasporto verso le nuove generazioni, con le quali siamo in contatto, anche grazie alla presenza di tanti insegnanti fra noi.
E qui sta il punto: di una “Europa futura” non se ne può parlare con parole vecchie, abusate e spesso non percepibili e forse non percepite proprio da parte delle nuove generazioni che questo nuovo mondo dovranno edificare, con noi, per poterci vivere …loro.
Siamo nel ventunesimo secolo, nel terzo millennio nel mondo dei computer, dei robot, dell’annullamento delle distanze etc etc.
Ma come possiamo affrontare tutto questo con un “lessico” obsoleto che non può esprimere ciò che si profila all’orizzonte e che dovremmo cercare di raggiungere tutti insieme se, fortunatamente, saremo stati capaci di non naufragare prima?!?
Se noi leggiamo un qualsiasi quotidiano o ascoltiamo una qualsiasi radio o (peggio!) subiamo una qualsiasi televisione o qualsiasi social indoeuropeo – di qualunque colore e\o sfumatura – non possiamo fare a meno di notare che tutti i santi giorni contiene almeno un cenno a fatti vecchi, personaggi (che son stati indubbiamente giganti nella storia) morti e sepolti, cose che non servono più a nulla nel “nuovo mondo”.
Cenni che però rinnovano antiche e recenti sofferenze, antichi e recenti odî ed in genere cose esaurite, che, però, doverosamente debbono diuturnamente costituire oggetto di studio, di esame, di riesame nelle Università degli Studi, anche se oramai non servono a costruire più nulla, se non – forse – una verità storica!
La storia ha una data che fissa un prima ed un dopo: la fine della Seconda guerra mondiale.
Assumiamola come data fatidica ed aggiorniamo il nostro passato su quella base.
Purtroppo – come osservavo prima – tutti i giorni andiamo a rivangare nell’ante agosto ’45 e parliamo raramente di cosa siamo riusciti a fare dopo.
Per carità – modestie a parte! – anche dopo il ‘45 siamo riusciti a commettere nefandezze che possono ben competere con i misfatti antecedenti, ma, purtroppo, fra le nuove generazioni: chi sa chi era Monnet; chi sa che cosa voleva essere l’ONU; chi sa che cos’era la CECA?!?
Ecco il punto: noi passiamo il tempo a tramandare alle nuove generazioni i nostri odî, le nostre cattiverie, le nostre nefandezze e non ci curiamo di raccontare che in un’Europa ancora distrutta c’era chi lottava per ricostruirne benessere, pace e per avviare e quindi consolidare una vitale unità.
Esistono le ricorrenze per non dimenticare ciò che non può, non deve, essere dimenticato, ma io voglio leggere ed ascoltare tutti i giorni di quei sognatori, di quegli illusi, di quei folli che inventavano Convenzioni internazionali, Trattati di coesione, iniziative per assicurare la pace sociale, azioni concrete per arrivare a conquistare il benessere per tutti e potrei continuare ancora per molte righe.
E voglio leggerne attraverso un lessico rinnovato, ripulito dalle scorie di un passato che deve passare, un lessico addirittura rivoluzionario: fu una “rivoluzione culturale” ad avviare un processo che – nel bene e nel male – riscattò un popolo di un miliardo di persone e lo avviò verso grandi conquiste sociali…anche se, ahinoi! oggi non più solamente interne.
Ciò non toglie che dobbiamo proseguire nella buona strada tracciata dalle generazioni che ci hanno preceduto: dobbiamo osare, rischiare, provare, andare avanti… fatti non fummo per viver come bruti…!
Non voglio arrischiarmi ad elencare vocaboli che potremmo\dovremmo provare ad espungere dal linguaggio quotidiano delle nuove generazioni …ma soprattutto delle vecchie, per lasciarli a chi, nelle Università degli Studi, padroneggia gli strumenti per maneggiarli senza pericolo, ma non voglio neppure rischiare nuovamente di non essere chiaro.
Oso?
Perché non cominciamo con alcuni fin troppo abusati vocaboli avvelenati, che oramai, con tutto ciò che si portano inevitabilmente appresso, producono solamente l’effetto di rigenerare vecchi odî, di perpetuarli, di generarne di nuovi: tipo (in ordine alfabetico) comunismo (bolscevismo), fascismo, nazismo (nazional-socialismo) e chi più ne ha, più ne metta!
Per il sessantesimo della Repubblica, il nostro testo costituzionale – quasi diecimila parole, di cui 1.357 lemmi singoli – ricevette il “premio Strega”: hai voglia a pescare parole per il Futuro!
Potremmo rivisitare un noto brocardo ed auspicare: generatrices sint rerum verba!