Io sono stato la prima di alcune volte in Afganistan nel gennaio-febbraio 1979, pochi giorni dopo l’arrivo di Khomeini in Iran e dieci mesi prima dell’invasione sovietica. Non sono affatto uno specialista di geopolitica dell’Asia centrale, né uno studioso delle culture tribali Pashtun o Azhara, ma da viaggiatore, magari solo un po’ più curioso, ho cercato di capire (senza giudicare) quel tipo di cultura, peraltro molto più complessa di quanto si possa pensare.
Ebbene nel tempo ho avuto modo di sentire parlare dell’Afghanistan, da taluni grandi sacerdoti di geopolitica, in particolare modo statunitensi, in modo spesso superficiale o completamente errato. E questo anche da analisti militari. Senza voler (poter) coinvolgere gli iraniani da una parte e responsabilizzare in modo più serio e radicale i pachistani dall’altra.
Invece, temo, si siano spese risorse ingenti e prima di tutto vite umane, senza un piano omogeneo o finto tale, come – purtroppo – la maggior parte delle crisi internazionali. E allora se quanto vediamo dai nostri comodi divani può aiutare a capire qualcosa, sappiate che la prossima puntata della tragedia non voluta capire sarà il Libano con effetti deflagranti per l’intero Medio oriente e per noi europei, molto più di quanto ci è costato e ancora ci costerà il fallimento afghano.