Superlega a livello europeo e richiesta della Lazio di usare lo Stadio Flaminio a livello nazionale, sono gli argomenti sportivi destinati a tenere banco. Fallimento/cessione Inter a parte.
La prima è una sfida all’UEFA la seconda alla Soprintendenza Italiana Beni Culturali. Queste due Istituzioni sono tra le più arroccate e le sfide spaccheranno la società globale orizzontalmente e trasversalmente.
L’esito della prima avrà enorme impatto su mondo finanziario e media, quello della seconda sulla politica italiana dei vincoli imposti all’esercizio dell’impresa per ragioni culturali.
I personaggi che hanno lanciato i guanti sono forastici ma hanno dimestichezza con le Istituzioni di cui hanno mostrato di non subire il fascino né temere le intimidazioni.
Superlega: Florentino Perez, Andrea Agnelli e Joan Laporta non sono arretrati di 1 mm dalle loro posizioni e ora si scopre che quella si pensava una partita secca, finita due a zero per l’UEFA, aveva un retour match terminato con la sconfitta dell’UEFA molto difficile da recuperare nella finale che si giocherà in Lussemburgo al Consiglio di Giustizia Europeo.
Le Istituzioni europee sono estremamente sensibili alle posizioni di monopolio e di dominanza nei settori con scopo di lucro, e i romantici farebbero bene a rendersi conto che il Calcio è nella top 5 di queste attività per flussi finanziari.
Quindi, se qualcuno pensa ad eccezioni di inammissibilità del ricorso che sarà esaminato dal CGE, in un prossimo ma non lontano futuro, si metta l’anima in pace. Senza contare che un’inattesa decisione contraria della Corte di Lussemburgo, si scontrerebbe con i principi internazionali da decenni in vigore sulla gestione dello Sport organizzato e praticato a livello professionistico.
A romantici (e ai tanti incompetenti) sfugge il significato di “professionistico”. L’aggettivo non è da riferire solo a coloro che lo praticano bensì prima, e più, a coloro che ne organizzano lo svolgimento e alle Società proprietarie dei team, delle quali i protagonisti sono dei dipendenti. Il problema della Superlega sarebbe filato liscio se alcuni personaggi naif, come Boris Johnson (dimentico di essere il premier di UK) e Aleksander Ceferin (convinto di essere presidente UEFA per grazia divina, non dei presidenti delle società di calcio), si sono messi a blaterare su diritto d’impresa, libertà del suo esercizio e rilevanza sociale del calcio.
Boris ha deciso l’entrata a gamba tesa contando di fare dei tifosi altrettanti supporter elettorali, Aleksander per paura di perdere il giocattolo. Ma mentre Boris dovrà aspettare le prossime elezioni per conoscere l’esito della mossa, Aleksander dovrebbe riflettere sulla opportunità di un passo indietro qualora si dovesse arrivare, anche semplicemente, a discutere, in Lussemburgo, della posizione monopolistica o dominante dell’Uefa nel calcio.
Sarebbe la prima volta in assoluto, a parte lo schiaffone del caso Bosman, che le istituzioni calcistiche rischiano l’esplicita dichiarazione della loro vera natura di organismi privati, le quali sono “pubbliche” (o semi tali) nell’immaginario collettivo e in Italia, dove il sistema CONI, sbagliando, trascina nel pubblico le Federazioni.
D’interesse domestico la sfida, che il presidente della Lazio, Claudio Lotito, ha lanciato chiedendo lo Stadio Flaminio come stadio della Lazio: si spera per farne uno stadio dentro ROMA, alla londinese, previa ristrutturazione strutturale.
Chiunque segua il calcio nella Capitale sa che il Flaminio è della Lazio, meglio è la Lazio. È lì dove, negli anni della serie cadetta, il CONI la relegava, su pressione dell’altra squadra di Roma, per marcare la differenza con l’Olimpico, riservato a Nazionale e squadre di Serie A.
Negli ultimi tre anni Lotito ha peccato di presunzione; ha snobbato le offerte di prendere il Flaminio: voleva creare Lazio-City sulla Tiberina, idea impraticabile.
Il Flaminio è del Comune di Roma, ha fatto storia durante le Olimpiadi del 1960, poi è crollato sotto il peso del degrado e della sua sudditanza all’Olimpico.
Immerso nel cuore di Roma Nord, al centro di quartieri ad alta densità laziale (Parioli – Fleming -Vigna Clara – Tiziano), inserito nel complesso sportivo-musicale-museale composto da Villaggio Olimpico, Palazzetto dello Sport, Auditorium della musica e MAXXI, non è un’opera architettonica ma una struttura alea tot vocazione sportiva per via degli spazi multiuso presenti sotto le tribune.
Questi ambienti destinati ad uffici, palestra, piscina, sono facilmente trasformabili in spazi di accoglienza e marketing propri di uno stadio all’inglese. Una novità assoluta per l’Italia. Dopo anni di abbandono, un Comune al collasso finanziario rifilò il Flaminio al CONI per alleggerire il bilancio ma questo non riuscì a farne nulla; troppo concentrato su Olimpico e Villaggio Tennis. Ora Lotito sembra essere stato illuminato, da chissà cosa o chi non sappiamo, vuole farne lo Stadio della Lazio Calcio.
La sindaca uscente e, pare, tutti i candidati alle comunali di ottobre, vedono di buon occhio la possibilità di recuperare un’opera importante e risolvere una delle due grane “Stadi di Roma” a costo di terzi. Senza contare che l’iniziativa importerebbe l’up-grading dell’intero quadrante culturale romano.
Ma siamo in Italia e c’è sempre qualcuno pronto a rivendicare i suoi 15 minuti di celebrità.
Un paio di giorni dopo la risposta di Lotito all’invito/offerta del Comune di recuperare il Flaminio (per il quale nessuno si era fatto avanti, per la felicità di extra-comunitari e senza-tetto che ne hanno fatto casa) qualcuno ha ammonito che “… non si può ristrutturare lo Stadio Flaminio per farne uno stadio di calcio, perché vincolato nel 2017 come complesso di altissimo valore artistico”.
Nel 2005 si cercò di risolvere il problema del collegamento tra Autostrada Roma-Fiumicino, Fiumicino paese e via della Scafa direzione da e per Ostia e ridurre il traffico nell’area demaniale aeroportuale.
Fu organizza una riunione con tutte le amministrazioni competenti. Si ipotizzò un tunnel alla profondità di circa 9 metri che sarebbe dovuto iniziare a circa 5 km da dove oggi stanno gli svincoli a raso e in sopraelevazione per l’accesso alle partenze. Il tunnel avrebbe permesso di separare il traffico per l’Aeroporto da quello diretto a Ostia e Fiumicino il quale sarebbe passato sotto l’area che una volta ospitava lo Zoo Safari. La risposta della rappresentante del ministero dei beni Culturali fu un “NO secco”, dopo ore però concesse che il tunnel poteva passare a 30 metri di profondità!
La verità è che la Soprintendenza Italiana ritiene da sempre che i reperti non occorre siano portati in superficie e resi fruibili, ce ne sono già troppi di valore inestimabile ed aggiungerne altri creerebbe solo problemi. In fondo stanno là da oltre 2000 anni e ce ne possono restare altrettanti.
Questa posizione è verbo e blocca ogni norma volta a classificare i vincoli in base all’importanza di siti e reperti da tutelare.
Sono stati fatti molti passi avanti ma leggere che lo Stadio Flaminio, ridotto a rudere insignificante e deturpato, sia da conservare e non ristrutturabile fa ridere se non fosse l’ennesimo colpo di coda di un pensare amministrativo fuori tempo.