Palazzo Braschi ospita la Mostra su Roma Capitale dal 1870 al 1915. Quasi mezzo secolo di vita da capitale. Dai 250.000 abitanti che la rendevano per

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popolazione la seconda città italiana (prima Napoli) all’epopea progressista del sindaco Nathan, ebreo inglesizzante e anti-clericale al cui nome sono legate alcune delle più grandi novità istituzionali di una nascente metropoli.

Periodo di grandi trasformazioni: di un piano di edilizia popolare coerente alla regolazione misurata degli alloggi, delle banchine anti straripamento del Tevere, dell’ascesa culturale e intellettuale dell’élite, della lotta alla povertà e alla diseguaglianza.

Come è cambiata e migliorata (eufemismo) Roma negli ultimi anni e sotto le ultime legislature del Campidoglio? Possiamo pensare che il Grande segno sull’acclarato peggioramento della qualità della vita (vedi statistiche) sia lo smantellamento delle case dei Casamonica o il progetto della funivia cittadina? Per gestione del traffico, più in generale della mobilità urbana, dei rifiuti, del rapporto tra centro e periferia, Roma si situa agli ultimi posti nelle graduatorie europee.

Quello che stiliamo non è un atto di accusa nei confronti della Raggi. Si sa che in politica è sempre colpa di un altro. E qui il sedimento del deficit, dei troppi problemi insoluti, viene da lontano. Ed è un seme malato che rende la città irredimibile. Dunque non c’è da farsi troppe illusioni sull’operatività del successore della Raggi nel braccio di ferro probabile al ballottaggio tra Gualtieri, il poco carismatico candidato del centro-sinistra e il tribuno della plebe della destra Michetti. Due pescati non come prime scelte ma come i “meno peggio” per un ruolo ingrato di sacrificio e di ridimensionamento se non altro del balletto degli assessori, delle troppo puerili gaffe.

Nathan è un fulgido esempio lontano ma con questi chiaroscuri attuali ripensiamo anche a Petroselli. E saremo disposti ad accontentarci anche di un Argan, di un Vetere e, voglio esagerare, anche di un Rutelli o di un Veltroni. Il degrado evidente è constatabile ogni giorno nel ritorno alla piena operatività delle scuole e con la fine dello smart working decretata da Brunetta.

Gradatamente Roma torna nel caos a cui la destina la propria ambigua gestione. Specchio del Paese, persino in peggio, per debito pubblico, ignavia e deresponsabilizzazione di chi dovrebbe decidere. I romani però resistono. Attaccati alla città come ad una calamità per familismo, per posto di lavoro, per abitudine, per memoria. Eppure vivere a Roma è un lusso perché qui si pagano tra le tasse più care del Paese, ricevendone servizi scadenti. Basti vedere il numero delle fermate abrogate nella metropolitana penalizzando interi martoriati quartieri.

Ora si paga uno scotto doppio perché in piena campagna elettorale pulsano i nuovi cantieri per offrire una demagogica idea di rinnovamento. Ma le idee tardive rimbalzano come boomerang nell’anticamera del sindaco. Il varo del Museo della Shoah è stato percepito come una chiara mossa propagandistica dalla comunità ebraica e prontamente spedita al mittente. Comunque cocciutamente la Raggi va incontro al proprio destino che è quello, secondo i sondaggi, di venire esclusa dai ballottaggi. Conte è già pronto a far ripiegare un congruo serbatoio di voti su Gualtieri.