Sono parte di un percorso su cui l’Italia investe 70 miliardi di euro. Tutto entro i prossimi 5 anni. I giovani, al centro di mille dibattiti, vengono incentivati a farsi avanti, a mettere a disposizione le proprie energie per la transizione verde. Li chiama lo Stato. Il Ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha espresso più volte fiducia verso le nuove generazioni. Nel momento in cui , in piena estate, alla Scuola di formazione politica di Matteo Renzi ricordava la ingombrante presenza sulle questioni climatiche di ambientalisti radical chic (con conseguenti polemiche), faceva indiretto riferimento al potenziale politico di ragazze e ragazzi. Con il Ministro per le Politiche giovanili, Fabiana Dadone, pochi giorni prima aveva firmato il protocollo d’intesa per la creazione del “Servizio civile ambientale e per lo sviluppo sostenibile“. Un progetto ambizioso che ha per antenato quel servizio civile istituito nel 1998 come sostitutivo di quello militare, connesso all’obiezione di coscienza. Una bella mossa che il Ministro avrà esposto anche nei recenti incontri internazionali sul clima.
Nell’ambito del Servizio civile universale, sono stati stanziati anche 20 milioni di euro fino al 2022. Per “programmi e progetti finalizzati alla rivoluzione verde e alla transizione ecologica” dice il documento. Soldi utili per dare slancio a tante iniziative per ora sulla carta. I giovani volontari aiuteranno gli Enti locali e le strutture territoriali a gestire piani di lavoro e interventi di miglioramento ambientale ed energetico. L’Italia vuole così distinguersi tra i Paesi europei impegnati con il Next Generation EU. Negare la necessità di risorse umane motivate e capaci sarebbe stato un errore imperdonabile. Il governo Draghi non lo ha fatto.
I traguardi di sostenibilità al 2030, 2050 hanno bisogno di intraprendenza e determinazione, soprattutto quando si deve dialogare con la politica. L’intuizione italiana é l’espressione più interessante e pragmatica dei movimenti per il clima di questi anni. Nel nostro Paese, ha spiegato Cingolani, il Servizio civile ambientale vuole “potenziare le conoscenze e competenze degli enti di Servizio civile universale, valorizzare le competenze degli operatori volontari sui temi della green economy”. Un orizzonte ampio che richiede professionalità nei campi della biodiversità, della lotta allo spreco alimentare, dello sviluppo delle tecnologie ambientali, della digitalizzazione, della bio-economy. Ma sono formati i giovani italiani che risponderanno alla chiamata? Dobbiamo ritenere che il documento firmato dai due Ministri dia per scontato che nelle scuole italiane i temi della sostenibilità e del passaggio ad un nuovo stile di vita siano ben trasmessi e spiegati. In sostanza, che i giovani siano in possesso di un bagaglio culturale adeguato a svolgere lavori sul campo.
I ragazzi dimostrano, certo, interesse per le questioni del clima, della salute e di una migliore vivibilità. Ma i passi da compiere per poter accompagnare una trasformazione epocale così complessa sono ancora molti. Come Cingolani anche noi abbiamo fiducia in ragazze e ragazzi. Ma devono essere in possesso delle giuste informazioni, seguiti da buoni maestri, capaci di distinguere tra buone e cattive informazioni per poter lavorare con strutture dello Stato ingolfate da burocrazia e stratificazioni di potere. Ancora più difficile quando saranno a contatto con organizzazioni private, come hanno scritto Cingolani e Dadone. L’Italia in generale non gli rende la vita facile. Per molti padri ammettere di non aver fatto abbastanza per proteggere città, trasporti, arte, quotidianità è un sacrificio ancora troppo grande. La carica positiva dei ragazzi, invece, dovrà essere dirompente se si vuole scorgere all’orizzonte un Paese più protetto e civile. Vanno coinvolte la scuola, le Università, i centri di ricerca accreditati, gli esperti. Cingolani dovrà pensarci. Importante era, comunque, partire. Perché nulla per ora è scontato, se non la buona idea – di un buon governo – di un buon servizio per la collettività.