Energia a prezzi sostenibili. Il problema è sul tavolo del consiglio europeo del 24 marzo a Bruxelles. Ideali ed interessi marciano insieme nei progetti politici più nobili e riusciti. La Ceca, il primo embrione dell’Unione europea, nacque il 18 aprile 1951 mettendo insieme ideali ed interessi. La Comunità europea del carbone e dell’acciaio fu fondata subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale per impedire altre sanguinose guerre fratricide.
C’era l’ideale della pace e l’interesse di poter usare il carbone in modo autonomo, senza dipendere da altri, a prezzi accessibili. Il carbone praticamente era l’unica fonte energetica nei confini dei 6 paesi soci del club Ceca. Belgio, Francia, Germania, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi misero in comune carbone e acciaio. I due motori dell’industria degli anni ‘Cinquanta determinarono uno straordinario boom economico senza precedenti.
Ora il tema del legame tra ideali ed interessi riemerge drammaticamente con la guerra in Ucraina. Vladimir Putin teme il contagio democratico, anche per questo ha sferrato l’attacco. L’invasione russa voluta dallo “zar” ha causato non solo morti, lutti e distruzioni ma anche pesantissime conseguenze economiche. Davanti al difficile rebus dell’aumento stratosferico dei prezzi del gas e del petrolio Mario Draghi ha chiesto «una convincente risposta» al consiglio europeo di Versailles. Il presidente del Consiglio italiano ha invocato: «Seve una risposta europea» perché non bastano delle singole soluzioni nazionali. Traduzione: l’Europa è in ginocchio. Germania ed Italia sono tra i paesi più colpiti dallo shock degli improponibili aumenti dei prezzi del gas perché dipendono in gran parte dalle importazioni dalla Russia.
Il problema è enorme. Tutto è in discussione. Draghi ha chiarito lo stretto intreccio tra sviluppo sostenibile, energia ed esigenze militari: «I bisogni finanziari della Ue per rispettare gli obiettivi di clima, difesa, energia sono molto grandi». Secondo i calcoli della commissione europea si arriverebbe alla cifra colossale di 1.500-2.000 miliardi di euro. Il presidente del Consiglio punta a creare un fronte comune dei paesi mediterranei contro il caro energia. Ha parlato con i primi ministri Pedro Sanchez (Spagna), Antonio Costa (Portogallo) e Kyriakos Mitsotakis per portare a casa dei risultati al summit europeo del 24 marzo.
Stati Uniti e Regno Unito, tra gli alleati occidentali, sono tra i più decisi sostenitori di durissime sanzioni contro Mosca, arrivando anche al blocco delle importazioni di metano e di greggio. Tuttavia Washington e Londra, ed alcuni paesi Ue come la Norvegia, sono praticamente autosufficienti dal punto di vista energetico. Non corrono il rischio di subire la chiusura delle fabbriche e l’esplosione della disoccupazione di massa.
Il ricorso al debito comune contro il caro energia non sarebbe più una sgradita novità, aborrita dai paesi ricchi del nord Europa. Questa è una strada già percorsa per combattere l’emergenza del Coronavirus. Quando nel febbraio 2020 l’Italia fu il primo paese europeo stravolto dalla pandemia, le altre 26 nazioni dell’Unione europea girarono lo sguardo dall’altra parte.
Draghi, che da poco aveva lasciato la presidenza della Bce (Banca centrale europea), nel marzo del 2020 parlò della necessità di affrontare la “guerra” contro il Coronavirus ricorrendo al “debito buono”, quello diretto a finanziare gli investimenti, quello capace di creare sviluppo duraturo e occupazione. Un debito pubblico comune europeo e non nazionale, precisò. Per alcuni interminabili mesi la proposta Draghi fu bocciata e accantonata. Il nostro paese fu lasciato da solo. La solidarietà scattò solo nella successiva estate, quando anche gli altri Stati della Ue furono funestati da morti, lutti e crisi economica. Alla fine i paesi ricchi, in testa la Germania, accettarono il varo di un vasto piano di ricostruzione post Covid finanziato con risorse europee. Fu abbattuto un antico tabù tedesco grazie ad Angela Merkel: l’operazione fu finanziata anche con un debito comune europeo, non nazionale.
In qualche modo si tornò alle origini. Ideali ed interessi marciano insieme. Come nel lontano 1951 con la Ceca. Adesso la Ue ha 27 soci. Troppo spesso in passato sono prevalsi gli egoismi nazionali sugli ideali e gli interessi comuni. La sciagura della guerra in Ucraina è l’occasione per un immediato e deciso cambiamento.
Il caro energia sta mettendo in ginocchio famiglie ed imprese. Draghi ha avvertito: non dobbiamo entrare nell’idea di una «economia di guerra». Sì, evitiamolo ma facendo i conti con una sconvolgente guerra ai confini orientali della Ue. Adesso lo scudo europeo contro i rincari del gas e del petrolio è sul tavolo di Bruxelles. Il 24 marzo sarà all’ordine del giorno del consiglio europeo convocato sull’emergenza Ucraina. Al vertice dovrebbe partecipare anche Joe Biden. Il presidente americano volerebbe in Europa per partecipare anche ad un summit della Nato. I problemi da affrontare non sono solo politici e militari. La crisi dell’invasione dell’Ucraina ha causato anche giganteschi problemi di sopravvivenza energetica dell’Europa.