Categoria depressa o salvata? Due differenti stati d’animo, diversi e contrari, si affacciano in migliaia di giornalisti alla notizia del travaso dell’INPGI nell’INPS. Il destino di tante sigle in crisi o bisognose di ristrutturazione come l’ENPALS o l’INPDAP, accomunate dal destino inevitabile di finire nell’INPS, ovvero nel gran calderone di Stato che assorbe pubblicamente anche i debiti privati.
La transizione ha tanti risvolti. Il primo, il più banale, psicologico. Passare dall’elegante palazzo di via Nizza in Roma dove ogni appuntamento (pandemia a parte) è personalizzato e esauriente al colosso previdenziale che ti fissa incontri a un mese secondo il prevedibile snaturamento di un rapporto primario. Ma il trasferimento di responsabilità è anche un colossale salvataggio perché l’INPGI era un Titanic la cui certezza di affondamento aveva la solita incognita della data presentando nel solo 2020 un bilancio in deficit di 253 milioni.
Tutto insieme si è capito che era un gran ballon d’essai come misura salvifica l’assorbimento di risorse con l’affiliazione dei comunicatori. Da quando si è incominciato strategicamente a far balenare questa risorsa non è stato fatto un solo passo concreto per traghettarla. Dunque come ultima spiaggia l’INPS garantendo pari diritti ai giornalisti andati in pensione che al momento sono circa 10.000. Rimane una larvata incognita per chi è ancora lontano dal traguardo.
E qui parliamo di 5.000 unità. Il confronto tra gli uni e gli altri è la dimostrazione matematica della crisi. Un lavoratore dipendente doveva garantire la pensione a due colleghi dismessi dal servizio: insostenibile! Del resto se due dei principali quotidiani italiani, da sempre concorrenti, ‘la Repubblica’ e ‘Il Corriere della Sera’, veleggiano di bolentino sotto le 100.000 copie quotidiane con organici che, pur dimagriti, rimangono pletorici, le ragioni della crisi sono presto spiegate. Il governo di Draghi ha fatto in fondo un grande favore alla categoria nutrendo un residuale complesso di colpa nei suoi confronti perché molti parlamentari sono anche giornalisti con tutti i benefici del caso (tipo Mastella, in aspettativa da un’eternità, beneficiario di tante pensioni); perché negli ultimi dieci anni l’INPGI, grande Madre di tutto, ha erogato circa 500 milioni di prestazioni assistenziali surrogando tutti gli Stati di crisi editoriali, timbrati ed approvati dalla politica.
Dunque, se si pensa bene, una grande partita di giro del “do ut des”. Dove i Caltagirone, i Cairo, i Berlusconi nelle vesti di editori hanno visto approvate le ristrutturazioni aziendali e hanno potuto esercitare lobby per questa restituzione d’attualità. Certo, ora appare grottesco il balletto delle dichiarazioni. I vertici dell’INPGI che fino a un mese fa scendevano in piazza per rivendicare le necessità di un salvataggio autonomo ora plaudono scompostamente alla decisione con una disinvoltura impudica.
Ma forse il peccato originale sta anche nel non detto: le garanzie di sopravvivenza garantite proprio ai corresponsabili del naufragio. Qui parliamo di una responsabile retribuita con 280.000 euro lordi all’anno, cifra non certo da crisi. Sopravviverà l’INPGI due ovvero quella particola che provvede ai collaboratori autonomi. Qui i conti sono largamente in attivo perché si incassa ma ancora non c’è una grande uscita alla voce “pensioni”. I conti verranno al pettine più avanti, al momento delle uscite. Nel Paese della perenne improvvisazione ci si accontenta di poco. Del resto non è forse vero che l’INPS, a sua volta, registra un disavanzo di 7,2 miliardi? E che sarà mai ora qualche centinaio di milioni di debito in più!