Morire è inevitabile. Forse morirò oggi, è possibile.

Mi è capitato di leggere questo mantra Buddhista e ovviamente non ho potuto fare a meno di soffermarmi a meditare sui concetti racchiusi in queste due frasi e sul loro portato sulla mia vita. Sono andato a ricercare altri scritti di vari autori, mie vecchie poesie ed ho deciso di provare a riportare sul foglio bianco alcune di queste idee, emozioni, speranze. L’obiettivo più che di esorcizzare un evento temuto è quello di mettere alla luce la sua naturalità.

Prima di accingermi a scrivere, influenzato dalla mia attitudine di ricercatore, ho pensato che sarebbe stato interessante vedere come avrebbero risposto alla “provocazione” altre persone, per cui ho interpellato alcune decine di amici, molti dei quali mi hanno nel tempo risposto. La domanda che ho posto loro era:

«Perché non vuoi morire oggi, cosa ti lega maggiormente per il prossimo futuro.»

Attendendo le risposte ho pensato di suddividere il mantra nei concetti fondamentali che sono, secondo me, esprimibili: 1) inevitabilità della morte; 2) valorizzazione del presente; 3) attaccamento alla vita; 4) essere preparati al momento fatale. Di seguito l’incrocio fra le risposte che ho ottenuto, alcune citazioni ed i miei commenti

 

1) Inevitabilità della morte

Può sembrare un’ovvietà, ma il problema per ciascuno è introitare questo avvenimento, accettarlo come una parte della vita. Fin nei tempi più antichi l’ineluttabilità del decesso ha messo in crisi l’uomo e probabilmente fu una delle ragioni più forti per il nascere delle religioni, che postularono o la metempsicosi (termine attribuito a Pitagora) o una vita sublimata in un altrove al di là della Terra.

La prima variante, ancora attuale per molte religioni orientali, prevede una reincarnazione in altri corpi che possono essere umani, animali, vegetali o minerali e si ripete fino a che l’anima si libera della sua materialità; per alcune credenze occidentali la reincarnazione avverrebbe solo in altri corpi umani (metensomatosi, come definita da Plotino). La seconda variante prevede invece una vita in un Aldilà extraterreno, in genere con un giudizio rispetto ai comportamenti nella vita terrena che consentiva o negava un immediato accesso al Luogo eletto. Ricordiamo il suggestivo trapasso narrato dagli Egizi dove un tribunale divino presieduto da Osiride chiede al defunto di confessare i suoi peccati. quindi veniva pesato il suo cuore a confronto della “piuma della verità” e se la bilancia rimaneva in equilibrio il defunto, con il suo corpo, veniva accolto fra gli dei, altrimenti il suo corpo veniva divorato dal mostro Ammut ed in questo modo si sarebbe giunti definitivamente alla morte. Nella religione cristiana Dante creò una raffigurazione suggestiva della tripartizione dell’Aldilà in: Paradiso, dove l’anima è accettata al cospetto di Dio fino alla resurrezione del corpo; Limbo, in cui l’anima espia le sue colpe fino ad essere accettata in Paradiso e Inferno, dove l’anima è condannata in eterno in uno dei vari gironi.

Anche in funzione dei dettami delle religioni si avviò la pratica del culto dei morti, sia con l’obiettivo di custodire i resti dei defunti in funzione del futuro extraterreno, sia per consentire a familiari e amici di avere un luogo fisico ove ricordare i defunti e onorarli o pregare per loro. D’altra parte, come disse Russell «Se non temessimo la morte e non ci interessasse vivere il più a lungo possibile, credo che l’idea dell’immortalità non sarebbe mai sorta».

Ognuno avrà le proprie idee o credenze in merito, personalmente trovai molto efficace quanto scrisse Epicuro: «La morte non esiste per noi, quando viviamo non c’è; quando c’è lei non ci siamo più noi.» Anzi fece di più, trasmesse ai suoi sodali un farmaco per vincere la paura della morte, il Tetrapharmakos che sentenzia: a) non temere né gli dei, né il destino; b) non ti preoccupare della morte; c) il bene è facilmente raggiungibile; d) il dolore è facilmente sopportabile.

Io penso semplicemente che la morte è un evento naturale e la raffiguro come un ologramma identico, ma antitetico a noi stessi, una sorta di ombra di anti-materia che nasce e vive con noi, ci segue a distanza e quando ci raggiungerà avverrà l’evento definitivo. Seneca probabilmente aveva un’idea simile: «Guardiamo la morte come fosse avanti a noi, ma gran parte è già passato: tutta la vita che è stata spesa la tiene la morte».

Arcobaleno a Taranto – Foto dell’Autore

Danza del tempo

 

Secondi e minuti si inseguono, si perdono

e si fondono nell’ineguale danza del tempo.

Si affaccia il giorno, brilla il sole, poi svanisce,

le promesse sfioriscono in rimpianti o illusioni.

 

Piano cammino sul ponte. Al di là del Tevere

trovo il solito piccolo slargo e tante foglie morte.

Un giorno in più, un giorno in meno vissuto,

sparito, agognato, sprecato: non ritornerà!

 

Mesi e mesi, come biglie trasparenti e colorate

rimbalzano e si nascondono negli anni:

lasciano rughe e affanni e ricordi di ricordi,

come pagine ingiallite, occasioni fallite, ferite.

 

Esistono sentieri già tracciati prima del tempo

o solo nuove dimensioni in evoluzione continua?

Non so dare una risposta, ma avverto che alle spalle

la mia altra ombra si è di un altro poco avvicinata.

 

2) Valorizzazione del presente

Il presente è l’unica vera dimensione che ci appartiene; il passato ormai è un ricordo, piacevole o meno; il futuro possiamo cercare di costruirlo al meglio, ma la sua traiettoria non è nelle nostre mani; il famoso fisico Schroedinger diceva: «L’imprevedibilità è un carattere inscindibile da ogni manifestazione complessa della natura». Ciascuno di noi tende a considerare scontato tutto quello che considera l’oggi e forse non apprezza al meglio quanto ci è offerto dalla natura, dalla società, dagli affetti. Per ragioni mediche fui bloccato in ospedale per più di tre mesi e poi io, come tutti, ho vissuto il lungo periodo del severo lockdown della primavera 2020 a causa della pandemia. In entrambi i casi, quando sono potuto uscire di nuovo, vedere gli alberi, i primi fiori, le luci nelle strade mi sembrarono riacquisire un incanto perso nella quotidianità, assistere ad uno spettacolo solo per me.

Lorenzo il Magnifico compose il famoso sonetto: «Quant’è bella giovinezza / ma si fugge tuttavia: / chi vuol essere lieto sia! / del doman non v’è certezza». Il messaggio può essere letto in maniera letterale come un rimpianto del passare della giovinezza, ma anche, in senso più ampio, come un’esortazione a vivere nel presente, non affannandosi troppo con illusioni e proponimenti. Con Giovenale dobbiamo evitare che “et propter vitam, vivendi perde causas” (perdere le ragioni della vita, a causa del vivere) ed invece riuscire a godere delle piccole cose che ci rallegrano ogni giorno, evitando di esser troppo disturbati dagli eventuali fastidi incontrati.

Questa duplice consapevolezza dell’importanza di vivere appieno il presente e dell’impossibilità di scrutare nel futuro può alterare, a secondo dell’età, dell’umore, delle condizioni fisiche, la percezione dello svolgersi del tempo. Lo ricordava efficacemente Shakespeare: «Il tempo viaggia in modo diverso con persone diverse: (…) con chi al trotto, con chi al galoppo e con chi sta fermo». Molto poi dipende dal caso, dalle occasioni che capitano o ci costruiamo, dei rapporti con gli altri. La possiamo chiamare “Fortuna”; quella che nel passato era una dea e che ora possiamo considerare un’astratta personificazione dell’evolversi della vita che incide sul valorizzare il tempo che scorre ed il gusto del vivere nel quotidiano e in proiezione nel futuro.

Fortuna

 

Come la luna, cambia di forma e colore

la fortuna: calante a volte e poi crescente.

Ostaggio inerme e timoroso fra le sue mani

ho subito l’eterno gioco e sofferto non poco,

inseguendo il miraggio di essere felice

prima del volgere rapido della ruota. Ora non più!

 

Giocherò a nascondino con te, Fortuna, ti sfuggirò

e scapperò o fermo resterò come un masso;

mi inseguirai passo passo e allora le mie tracce

il vento e il mare cancelleranno in un attimo,

alleati inattesi e preziosi, complici segreti.

 

Tenace tu, tenace io, Fortuna, nella taverna

oscura e piena di fumo, sparirò fra le cosce

della ragazzina vestita di seta e il suo fruscio

ti confonderà; mi unirò al coro dei mendicanti

e alzerò il calice facendo schizzare spuma di birra

che mi velerà al chiarore della tua lanterna.

 

O forse no, forse è meglio di no; ti affronterò

con il mio sorriso e lo sguardo sereno, Fortuna,

sarò io a cercarti e trovarti dopo l’ultima duna

per dirti con fierezza che il tempo scorre felice:

dolcissima è la carezza del sole, l’aura delle stelle

e l’amore delle belle, l’orgoglio di una madre,

l’intesa con i compagni. Anche il pianto e i malori

poi il tempo cancella, mutando memoria in speranza.

 

A me sorriderai, Fortuna, lo sai, lo vuoi anche tu:

sorriderai porgendomi le mani che fecero soffrire,

serrando gli occhi che bruciarono mille sogni,

ti arrenderai in un abbraccio da innamorata

trasalendo al primo bacio ricevuto e non dato.

 

Il presente è l’unica cosa certa nelle nostre mani, godiamocelo perché nulla ci assicura sul futuro e poi non è sotto il nostro controllo. Ben lo esprime in uno dei suoi più celebri haiku Matsuo Basho (massimo poeta dell’epoca Edo in Giappone nel ‘600): «Nulla / nella canzone della cicala / fa presagire che presto scomparirà».

 

 

3) Attaccamento alla vita

«Perché non vuoi morire oggi, cosa ti lega maggiormente per il prossimo futuro.»

Questa era stata la domanda posta agli amici collegandola al mantra. L’intenzione era quella di sapere come loro reagiscono ai concetti dell’inusuale provocazione intellettuale e quali siano le motivazioni per cui non vorrebbero che capitasse a loro di morire oggi. In effetti era posta male la frase e un paio, fra la sessantina dei rispondenti, hanno interpretato come avrebbero reagito se io fossi morto oggi. Una risposta mi è stata molto cara «semplicemente perché sei uno dei miei amici più cari, una realtà del mio mondo, anche se non ci vediamo spesso; verrebbe meno qualcosa, ne soffrirei», una seconda era più centrata sul possibile parallelismo con se stesso «per non pensare che domani potrebbe toccare a me».

Non voglio fare un esercizio statistico tenendo conto dell’età del rispondente, delle sue condizioni di vita e di altri possibili parametri. Per comodità ho raggruppato alcune delle risposte in quattro aree d’interesse: amare, godere, sapere, impegnarsi e poi mi avventuro in qualche valutazione.

 

Amare – Figli e affetti

Forse il legame più forte alla vita è proprio l’amore verso le persone più vicine. Chiaramente è segnalato prevalentemente dalle persone di metà età che hanno figli in crescita e vorrebbero stare loro accanto, aiutarli ad avviarsi ed affermarsi, vedere come si imposterà il loro futuro.

«Non vorrei lasciare la figlia senza un buon supporto finché non si è ben avviata nella vita» (donna cinquantenne).

«Non vorrei morire oggi perché ho ancora tante cose da fare: la prima è quella di veder crescere i nipoti» (uomo sessantenne).

«Vorrei continuare a essere vicina a mia figlia e vederla crescere e sistemarsi» (donna cinquantenne)

«In generale non vorrei perché penso (sono un po’ presuntuosa?) che i figli hanno ancora bisogno di me. Penso anche che il Signore sistema ogni cosa e se vuole così magari pensa che sia ora che mi riposi un po’» (signora quarantenne).

«Avendo una figlia, ci terrei ad accompagnarla, collaborando con mio marito, nella sua crescita. Vorrei vederla diventare adulta, autonoma e realizzata» (donna cinquantenne).

Un secondo aspetto è quello di generare dolore in chi rimane con la propria morte, lasciare un vuoto, interrompere un rapporto affettivo forte in maniera inattesa e prematura.

«Mi rincrescerebbe soprattutto per le persone che mi vogliono bene e ne soffrirebbero troppo» (donna trentenne).

«Se dovessi trovare una ragione per non morire, sarebbe ovviamente la sofferenza di chi mi vuol bene e resta» (donna quasi sessantenne).

Infine un terzo aspetto collegato all’amare è quello della condivisione del proprio affetto, del voler avere il tempo per poter dimostrare ed avvertire l’amore e per condividere le proprie idee ed emozioni con le persone che si ama.

«Trovare finalmente la compagna della vita» (uomo quasi trentenne)

«Poter dire ancora tante cose utili a mia figlia ed accompagnarla nella sua crescita» (donna quasi sessantenne).

«Avere il tempo, dopo un primo matrimonio deludente, di conoscere persone interessanti e, forse riuscire a trovare un compagno per la seconda parte della vita» (donna cinquantenne)

«Condividere belle esperienze con i cari» (uomo sessantenne).

«Divertirmi con i cari, figli e moglie, ma anche amici e parenti più vicini, scoprire cose nuove, godere il bello che la vita offre e se mai esser confortato nei momenti non felici» (uomo cinquantenne)

Le ultime due affermazioni sono a ponte fra questa area e la successiva. In effetti vi è una stretta correlazione fra l’amare e godere i piaceri della vita, questi ultimi forse sarebbero sterili senza condivisione. D’altra parte Archita, il filosofo e matematico nato a Taranto il 430 a.C. scriveva: «Se si osservasse la creazione del mondo e la bellezza delle stelle, tale meraviglia sarebbe in sé sgradevole, dolcissima invece se si avesse qualcuno cui raccontarla».

 

Godere – le cose belle della vita

Molto dipende dall’approccio che ciascuno ha con la vita, è indiscutibile che sono tanti gli oggetti, gli avvenimenti, le conoscenze che arricchiscono lo scorrere della vita, chiaramente bisogna avere la salute e la serenità per potersi godere questi preziosi regali, a volte piccolissimi, ma sempre graditi e a volte emozionanti.

Un signore agiato che ha 87 anni ha detto: «Mi sento forte, vado avanti nonostante gli acciacchi e sono attento al denaro da spendere per tenere da parte qualcosa per la vecchiaia».

È stata una lezione inaspettata, non so proprio se alla sua età e con i suoi problemi di salute sarei così tenacemente legato alla vita, ma mi piacerebbe avere il suo spirito combattivo e indomito, ancora fa i suoi esercizi ogni mattina per tener “in funzione le giunture” e si impone, anche se piove, di uscire a fare la spesa appoggiandosi al carrello, pure se ci sarebbe chi può pensarci.

«Vorrei poter avere tempo per godermi le cose belle della vita (viaggi, incontri, ecc.) già i quasi due anni di pandemia mi sono sembrati uno scippo di tante cose belle che avrei potuto fare» (donna cinquantenne).

«Perché mi piace la vita con le sue tante belle, dolci, piccole cose ma soprattutto perché l’idea di conoscere in anticipo un limite prefissato e invalicabile mi renderebbe depresso e triste. Quando sarà sarà, senza rimpianti» (uomo settantenne).

«Semplicemente perché non me ne occupo. Sono davvero tanto impegnata a vivere: respirare, aprire gli occhi, tenere gli occhi aperti, camminare, parlare, rispondere, …. Tanta roba» (donna sessantenne).

«Mi piacerebbe aver tempo per conoscere altri paesi, altre terre, altre persone; per fare nuove esperienze: vivere è bello!» (uomo quasi settantenne).

«Ho tante cose nuove da fare, tante da completare e anche veder crescere i miei figli» (uomo cinquantenne).

«Un’altra ragione forte per vivere è quella di poter appagare il desiderio di fare le tante cose gradevoli che la vita offre e soprattutto di viaggiare e conoscere cose nuove» (uomo sessantenne).

Gli ultimi due interventi si collegano esplicitamente con la terza area sul Conoscere anche perché vi è, direttamente o indirettamente, una corrispondenza nel riuscire ad avere nuove esperienze godendo le opportunità che la vita offre con l’allargare il proprio orizzonte di conoscenza, d’altra parte Leonardo da Vinci diceva «Naturalmente gli omini desiderano sapere».

Autunno a Dublino – Foto dell’Autore

Salpare

 

Subito ho capito che le strade della mia città

non sarebbero potute essermi sufficienti;

volevo girare il mondo, far scorrere

la vita nelle mie vene, guardare ammirato

stelle differenti, volti conosciuti per un’ora.

La mia nave ha lasciato l’ormeggio e salpa

per un lontano orizzonte, incontra

venti nuovi ed onde lente a volta

oppure furiose e pericolose di traverso;

porto dopo porto, il tempo vola veloce.

La felicità è un’alba lieve, il garrire

del gabbiano in picchiata; la felicità

non riposa, ma è sempre un passo avanti.

Ciò che ho avuto l’ho voluto e raggiunto,

mi basta per i ricordi, ancora non per i sogni.

 

Sapere – Aumentare la propria conoscenza

Una delle più significative ragioni dell’attaccamento alla vita è senz’altro il sapere. La curiosità di aggiungere nuovi aspetti alla propria conoscenza è una molla che ha permesso all’umanità le grandi scoperte che hanno cambiato la qualità della vita di un gran numero di paesi ed addirittura hanno permesso l’allungamento medio della vita degli uomini. D’altra parte proprio Dante, di cui tutti ricordiamo il severo ammonimento a tutti gli uomini: «Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza», altrove diceva «Chè perder tempo a chi più sa più spiace» che potrebbe essere il motto di chi del sapere fa la principale delle ragioni del vivere.

«Per vedere come evolva l’umanità rispetto a temi per noi centrali come l’Europa e lo sviluppo sostenibile, la difesa dell’ambiente» (uomo sessantenne).

«Sono curiosa di sapere come tanti temi su cui penso doveroso impegnarsi (ambiente, democrazia, povertà nel mondo, clima, qualità della vita) riusciranno a trovare adeguate risposte nei prossimi anni» (donna quarantenne).

«Aumentare la conoscenza personale» (uomo cinquantenne).

«Amo i libri e mi danno una gran consolazione oltre ad aumentare un po’ la mia conoscenza, vorrei avere il tempo di poterne leggere ancora tanti, già ne ho una lista da leggere» (donna quasi trentenne).

«Non ci penso proprio alla morte, ancora non so bene quel che farò da grande…» (donna quindicenne).

«Ho tante cose da imparare, tante da completare ancora, vorrei avere il tempo per farlo» (donna trentenne).

«La vita è bella, ma ci costringe a una continua rincorsa, mi piacerebbe poterla allungare anche per approfondire la conoscenza su tanti aspetti di cui so poco» (uomo quarantenne).

«Vorrei continuare ad assaporare le tante gioie della vita, per esempio conoscere qualcosa di più sul funzionamento del cervello, visto che un ictus mi ha fatto rasentare la morte» (uomo sessantenne).

«Avere il tempo necessario e sufficiente per capire sempre meglio e di più, cosa sia “l’Aldilà’”!» (uomo sessantenne)

Questa ragione di attaccamento alla vita mi sembra possa essere ben esplicitata con una massima della scienziata premiata due volte con il premio Nobel per la fisica Marie Curie Sklodowska: «Nella vita non c’è nulla da temere, solo da capire».

 

Impegnarsi – essere utili agli altri

Alcuni hanno indicato fra le priorità che vincolano alla vita anche il desiderio di impegnarsi in attività sociali riuscendo ad essere utili agli altri. Può essere la volontà di restituire alla vita almeno in parte i benefici ricevuti o la volontà di dare un senso alla propria esistenza contribuendo allo sviluppo ed al benessere o, ancora, la sensazione di non aver potuto finora garantire il proprio impegno su argomenti e valori ritenuti centrali.

«Vorrei potermi dedicare ad attività di beneficienza, soprattutto verso i minori che sono i più indifesi. La vita ha dato a me ed alla famiglia tante cose positive, vorrei ora, per quel che posso, dare qualcosa in cambio» (donna cinquantenne).

«Vorrei contribuire con la mia consapevolezza a migliorare il mondo, in quei pezzetti di mondo in cui agisco: rallentare i cambiamenti climatici con le scelte della vita e l’esempio; battermi per superare stereotipi e pregiudizi in modo da promuovere buone prassi in materia di parità e pari opportunità fondate sul rispetto e la mutua tolleranza; migliorare l’approccio al divario generazionale, recuperando e migliorando i rapporti, a partire dalla mia stessa famiglia» (donna sessantenne).

«Affianco a godere le bellezze che la vita offre, penso che è forte il desiderio di contribuire ai temi cruciali per l’umanità e dunque per la nostra società e per i nostri figli e nipoti. Credo che una vita piena non possa prescindere dal voler dare agli altri e sentirsi utile» (uomo sessantenne).

«Ora che, con gli anni e le esperienze maturate sia a livello professionale, sia in ambito personale, mi piacerebbe poter trasmettere input positivi, suggerimenti utili ai più giovani, ad iniziare da quelli della famiglia, non come “vecchio saggio”, ma come una persona che aiuta ad effettuare errori o sottovalutazioni» (uomo settantenne).

«L’impegno che la nostra regione ci indica potrebbe essere indirizzato, ora che si ha più tempo, verso l’aiuto concreto alle persone economicamente, psicologicamente, socialmente più vulnerabili. Già solo questo mi sembra un giusto impegno che vuole che la morte aspetti ancora un po’» (donna sessantenne).

Ognuno cerca la felicità nella sua traiettoria esistenziale, i valori sono senz’altro un punto di riferimento di grande importanza; Gandhi disse: «La felicità è quando ciò che pensi, ciò che dici e ciò che fai sono in armonia». Mi sembra un’esortazione ed un augurio prezioso.

Cigni – Foto dell’Autore

Ultimo palcoscenico

 

La natura mostra la sua tremenda

bellezza e mi incatena a questa vita

fatta di spiccioli e speranze e angosce

spesso non confessate e più profonde.

 

Intermittente la brezza accarezza il volto

e lontano gli scogli si stagliano sul mare,

prima dell’orizzonte, ma oltre è il limite

dei sogni e dei desideri, ben più in là.

 

Ancora mi sorprendo del tempo che inganna

con il suo moto imprevedibile e traditore;

sento il passato gravare livido sul futuro

e perdo il conforto del mattino che sfugge.

 

Questa farsa di inganni ed indifferenza,

di promesse negate, di obiettivi come miraggi,

di corse e rincorse, di ore perdute e rimpianti,

resta l’ultimo palcoscenico da abbandonare.

                    Ma non vogliamo andare …

 

 

4) Essere preparati al momento fatale

In ogni caso la morte è un appuntamento inevitabile. Finora abbiamo visto gli aspetti legati alla consapevolezza della durata finita della vita, della valorizzazione del presente e delle ragioni che ci attaccano alla vita; il coronamento del processo è nel prepararsi, per quanto possibile, al momento del termine della vita. Molto belli i versi di Saadi, il più importante poeta persiano nato nel XIII secolo: «i dolori e i piaceri sono passeggeri, / passerai anche tu nel mondo: non è nulla».

Anche in questo caso lascio ad alcuni degli amici e amiche che mi hanno risposto lo spazio per riportare i loro pensieri.

«Vorrei andare via senza sofferenza, passando per esempio direttamente dal letto alla tomba, riterrei che sarebbe un evento normale, diciamo una “cosa buona e giusta”!» (uomo sessantenne).

«È istintivo voler continuare a vivere, non ci sono ulteriori motivazioni se non assecondare l’istinto e quando il tempo finirà, sarà la natura a decidere» (donna cinquantenne).

«Se proprio potessi scegliere, io vorrei morire oggi. Vorrei lasciare questo mondo finché sono ancora in grado di goderlo, risparmiando a me stessa il feroce vilipendio del tempo, l’usura del corpo e ancor di più della mente. Credo d’aver fatto tutto ciò che mi ero prefissa e, per quel pochissimo che dovesse mancare, sarà per la prossima volta» (donna sessantenne).

«Quando sarà lo deciderà il tempo, solo mi spaventa una malattia invalidante, preferirei di finirla prima» (uomo cinquantenne).

«Non mi pongo proprio la domanda di quanto potrebbe succedere» (donna sessantenne).

«L’ho sfiorata già un paio di volte, ero lucido anche se a grande rischio, mi sentivo pronto e soddisfatto di quel che la vita mi aveva donato, un po’ triste per gli affetti che lasciavo, ma pronto e non particolarmente spaventato» (uomo sessantenne).

«La solitudine interiore ti fa, a volte, desiderare di morire, ma se hai salute e forza, progetti e valori da condividere puoi durare ancora un po’ e provare a fare del tuo meglio per contribuire alla società e soprattutto per chi sta peggio» (donna sessantenne).

«Sono cattolico praticante e questo aiuta molto, come ricorda S. Paolo nella Lettera ai Romani, la morte non può spaventare chi opera secondo coscienza» (uomo sessantenne).

Probabilmente non saremo davvero preparati al momento finale della vita, non fosse altro per il cambio di ottica nel corso degli anni, come ben scrisse Schopenauer: «La vita vista dalla partenza sembra senza fine, vista dal suo termine sembra troppo breve». Però quello che possiamo fare con noi stessi è un bilancio del passato vissuto, cercando di essere indulgenti con gli errori compiti ed un processo che affievolisca gli attaccamenti con la vita. Certo ci piacerebbe che la morte fosse subitanea e non dolorosa, ma anche questo non è in nostro potere. Sarà la Natura a decidere il momento e probabilmente sarà quello giusto per, come ipotizzano i buddisti, ricongiungersi con l’Universo; ho cercato di riportare nei versi che seguono l’emozione di “accompagnare” con ricordi e musica una amica morta a cinquant’anni.

Photo by Ralf Skirr on Unsplash

Kal Akal                          

(Dedicata a Simona)

 

Lentamente il fiume scorre e all’improvviso

nel mare si confonde. Come il finito evapora

nell’infinito, questo nostro andare incerto

troppo breve e lunghissimo, è un rito misterioso

che si dipana a stento fra un vagito e la fine.

 

Hai camminato su sentieri non facili

per tutta la vita; ora ogni tuo sorriso

brilla nella memoria come un petalo bianco

soffiato dal vento dell’ultimo respiro.

 

Lieve ci avvolge il tuo dolcissimo addio,

mentre cantiamo sommessamente, a occhi chiusi.

Il tuo spirito sereno, in questo momento

si fonde nell’armonia luminosa e segreta

di uno sconosciuto universo che ci circonda.

 

Non ci sono conclusioni a questo articolo, ognuno faccia le sue considerazioni; mi farebbe piacere se qualcuno dei lettori volesse spendere un po’ di tempo per comunicarcele in modo da condividerle.