Quando si cominciano a sentire strani scricchiolii e veri e proprî crolli le persone prudenti chiamano i pompieri e, a seconda del livello di prudenza che hanno, cominciano ad allontanarsi. Qualcuno magari porta con sé il cofanetto dei gioielli.
Temo che da qualche tempo nella costruzione europea stiamo vivendo qualcosa di simile.
Per la verità un bel botto si è sentito qualche anno fa e, francamente, ci vorrà ancora del tempo per verificare se e quanto l’equilibrio della costruzione ne ha risentito.
Non va infatti dimenticato che la costruzione iniziale aveva un suo equilibrio grazie all’equivalenza delle dimensioni politico-economiche e di popolazione che le sue componenti avevano. Solo successivamente si aggiunse il Regno Unito, ma sostanzialmente la statica non ne risentì. Anzi, il raggiungimento degli obiettivi delle politiche comuni con anticipo sulle date previste, premiava ed incoraggiava ad andare avanti.
Un altro sussulto si verificò quando la popolazione della Germania raddoppiò da un giorno all’altro: l’equilibrio fra i pesi dei rispettivi Stati membri ne rimase alterato.
Ma anche stavolta la costruzione – a parte un nuovo equilibrio dei poteri interni – sostanzialmente non ne risentì.
Nel frattempo si consolidavano anche il ruolo ed i poteri delle istituzioni comuni e se ne creavano di nuove.
Un processo che necessariamente doveva procedere per piccoli passi dal momento che ogni Stato membro aveva un assetto istituzionale differente da quello degli altri e “gelosie” ed insofferenze verso i poteri di una nuova organizzazione sovranazionale erano ancora forti e nessuno Stato (europeo) era disposto a mortificare la propria personalità.
Non dobbiamo dimenticare che nel primo cinquantennio del XX secolo i rapporti fra gli Stati europei venivano regolati nei campi di battaglia e successivamente direttamente sulle città e sui cittadini inermi.
È di tutta evidenza che quelle vicende hanno lasciato una traccia indelebile nelle menti e nei cuori degli Europei e, d’altronde, tante delle Persone che vissero quegli eventi sono ancora insieme a noi con le loro ferite e con i loro ricordi.
Non si può dimenticare!
Forse, però, avremmo anche potuto affrontare con un diverso approccio culturale e didattico il tema del secondo dopoguerra.
L’impegno degli anni della ricostruzione materiale e morale dei Paesi distrutti da una guerra fratricida avrebbe meritato un riconoscimento, uno studio ed una celebrazione (a parte le date fatidiche!) che invece son praticamente mancati.
Nessuno si è preoccupato di mostrare tutto questo, di far capire di che cosa si era trattato e di educare gli studenti alla prosecuzione di quell’impegno: in quale scuola mai si è parlato di quelle Persone che con le rovine ancora fumanti si erano sedute attorno ad un tavolo per lanciare la Comunità del carbone e dell’acciaio!?! Una Comunità nella quale partecipavano con pari dignità i vincitori e gli sconfitti della guerra appena conclusa o, se volete, coloro che avevano scatenato quella carneficina e quelle rovine e coloro che erano riusciti a fermare quei “fratelli” ed a processarli!
Purtroppo, una volta conquistato l’obiettivo della ricostruzione e (pareva!) riappacificati gli animi, raggiungendo dei livelli di vita mai neppure immaginati prima, ritornarono i vecchi odî e l’eroica impresa di quei costruttori di pace – che nel frattempo era diventata la “Comunità europea” – parve traballare sotto i colpi del risveglio di vecchi linguaggi, vecchie ideologie, vecchie divisioni, vecchie contrapposizioni.
Lo sforzo immane che un Guardasigilli era riuscito a compiere ottenendo la firma del Capo provvisorio dello Stato (Alcide de Gasperi) in calce al decreto 4\22 giugno 1946 (Amnistia e indulto per reati comuni, politici e militari), rimase vanificato dai rigurgiti di contrapposizione e di odio che già in vista degli anni settanta proiettavano nuovamente, specialmente l’Italia, verso un anacronistico e sterile clima da guerra civile, che, nell’un campo e nell’altro, provocò le sue migliaia di vittime, che troppe volte erano vittime innocenti !
Ciò nonostante, quella che oramai era diventata la Comunità europea, andava avanti per realizzare quell’antico sogno di unificazione – ma nella pace – che il Vecchio Continente aveva visto sfuggire già altre volte.
Finalmente potevamo realisticamente sperare che, attraverso progresso economico e progresso sociale, il sogno potesse essere a portata di mano.
Il segno più evidente fu l’allargamento a tanti (troppi!) Paesi che forse non avevano ancora fatto in tempo a consolidare le loro democrazie o che, più semplicemente, provenivano da differenti culture ed economie.
Fu il trionfo della “de-localizzazione” e, indubbiamente, l’imprenditoria dei vecchi membri della Comunità inizialmente se ne avvantaggiò, come pure – va riconosciuto – i Cittadini di quei nuovi Paesi membri che videro avviarsi un processo di avanzamento sociale ed economico che, dopo settant’anni di regime comunista, era diventato finalmente possibile.
Le nuove dimensioni assunte dalla costruzione europea imponevano nuove regole e nuovi poteri per le sue istituzioni comuni e conseguenti adattamenti per quelli degli Stati membri.
Forse è sfuggito che un’integrazione “economica”, sia pure fra Paesi così lontani per retaggio politico, sociale, culturale è possibile, mentre una integrazione al limite della federazione impone una maturazione ben più lunga e drammatica.
Le precedenti generazioni hanno fatto molto (e forse anche la nostra) e finché eravamo una dozzina di Paesi tutto era più semplice: purtroppo l’ansia da prestazione ha poi sconvolto ogni equilibrio ed oggi è diventato tutto drammaticamente più complesso e forse..!
Se poi consideriamo i contraccolpi dell’economia globale, che hanno provocato una certa stasi a Occidente, successivamente aggravata dal dilagare della crisi pandemica che ci accompagna da un paio d’anni, possiamo riuscire a comprendere meglio le difficoltà nelle quali ci stiamo dibattendo proprio in questi giorni.
La situazione è sotto gli occhi di tutti e tralascio di approfondire i nuovi orizzonti della politica e dei rapporti atlantici.
A ciò dobbiamo aggiungere che il disegno di quel tal Guardasigilli, che nel suo pragmatismo si era illuso di poter dare un taglio al passato e ripartire verso il mondo dell’avvenire, è miseramente crollato e oggi ci ritroviamo con classi dirigenti uscenti ed entranti pericolosamente imbevute di ideologie fasulle.
Il cursus studiorum primario e secondario del nostro Paese arriva a malapena a trattare dell’anteguerra del secolo passato e figuriamoci se può parlare delle speranze, delle conquiste e dei Personaggi dell’Europa del dopoguerra.
Sia pure anch’esso del secolo passato!
Scusate ma debbo lasciarVi: mi sembra di sentire dei rumorini di là che non promettono nulla di buono per quest’Europa gonfiata con gli anabolizzanti.