Così ha stabilito l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato il 9 novembre con la decisione n. 17: le concessioni demaniali con finalità turistico-ricettive, che sono state prorogate dal legislatore italiano fino al 31 dicembre 2033, saranno invece valide solo fino al 31 dicembre 2023.
La corda è stata troppo tirata, la situazione va corretta, ma l’Adunanza Plenaria, consapevole del «notevole impatto (anche sociale ed economico)» della propria decisa presa di posizione, ne ha rinviato l’operatività al 31 dicembre 2023.
Dopo tale data le concessioni attuali saranno prive di effetto e non potranno essere ulteriormente prorogate, dovendosi escludere qualunque ipotesi di preferenza “automatica” per i gestori uscenti.
Nel frattempo, il legislatore dovrà allineare la normativa nazionale a quella comunitaria e le amministrazioni locali dovranno predisporre i bandi di gara nel rispetto dei principi comunitari.
Con quali criteri dovranno essere affidate le nuove concessioni? Grande rilievo avranno considerazioni di salute pubblica, gli obiettivi di politica sociale, di sicurezza dei lavoratori, di protezione dell’ambiente, di salvaguardia del patrimonio culturale. Senza dimenticare la capacità tecnica, professionale, finanziaria ed economica dei candidati.
Potranno essere previsti meccanismi per valorizzare l’esperienza professionale e il know how di coloro, che abbiano gestito beni analoghi (compreso, quindi, il concessionario uscente), tenendo conto della capacità del progetto presentato di interagire con il tessuto locale.
Si tratta di un “mercato” del valore di circa 15 miliardi di € all’anno, con un “ritorno” per gli enti, in termini di canoni concessori, che supera di poco i cento milioni di €: ciò potrebbe preludere a un aumento consistente dei canoni di concessione.
Infatti, sempre secondo l’Adunanza Plenaria, sarebbe opportuna una «“gestione maggiormente efficiente” delle entrate derivanti dai canoni concessori».
E i “diritti” degli attuali concessionari? Per l’Adunanza Plenaria allo scoccare del 31 dicembre 2023, se non dovessero partecipare con esito positivo alle nuove gare, al più potranno essere destinatari di indennizzi per gli investimenti sostenuti.
La durata delle nuove concessioni andrà parametrata al tempo ragionevolmente necessario perché gli operatori rientrino degli investimenti e conseguano una adeguata remunerazione del capitale.
Insomma, i nodi sono giunti al pettine: Parlamento ed enti locali dovranno farsi trovare pronti all’appuntamento. E anche gli operatori del settore.
Il tempo c’è, ma gli interventi da mettere in campo sono oltremodo complessi: sono necessarie competenze, capacità di coordinamento e una efficace comunicazione con gli stakeholders.
Insomma: c’è da correre per non rischiare la paralisi di un settore di cruciale importanza per l’economia del nostro paese.