La Fondazione Censis (Centro Studi Investimenti Sociali) svolge dal 1964 un’attività di ricerca e consulenza in ambito socio-economico. Dal 1967 realizza un annuale rapporto, qualificato strumento di interpretazione della realtà sociale del nostro paese. Dell’ultimo rapporto, del 3 dicembre 2021, particolare interesse hanno suscitato alcuni dati relativi all’atteggiamento degli italiani nei confronti della scienza. Viviamo costantemente a contatto con le tecnologie più avanzate, tutti o quasi abbiamo con noi un sofisticato apparato come lo smartphone, utilizziamo comunicazioni e informazioni a carattere mondiale attraverso il web e i suoi servizi. Potremmo aspettarci un rapporto convinto e positivo della quasi totalità degli italiani con la scienza.
I dati cui faccio riferimento sono contenuti in un capitolo dell’ultimo rapporto Censis, dal titolo “La Società irrazionale”, e ne riporto qui alcuni tra i più significativi. Risulta in primo luogo che il 12.7% degli italiani ritiene che “la scienza crea più danni che benefici”; questa percentuale si differenzia in un 5.8% tra i laureati, 14.2% tra i diplomati, e 26.6% tra gli altri. Il rapporto ci riferisce poi che per il 5.9% degli italiani “il covid-19 non esiste” (rispettivamente 4.2%, 7.3% e 5.2% per le tre citate categorie). Ancora, per il 10% degli italiani “l’uomo non è mai sbarcato sulla luna” (per le tre categorie 7.7%, 10.1% e 13.9%). Infine, per il 5.8% “la terra è piatta”, qui con minime differenze per titolo di studio: 5.6%, 5.8% e 6.4%.
Sono anche riportate le percentuali relative a varie credenze più o meno complottistiche: il 10.9% degli italiani ritiene che “i vaccini sono inutili e inefficaci” (per le tre categorie 8.4%, 11.3% e 16.1%), il 19.9% che “il 5G serve a controllare le persone” (11%, 21.9% e 37.6%), e arriva al 56.5% la percentuale degli italiani che pensano che “esiste una casta mondiale di potenti che controlla tutto” (43.4%, 61.5% e 73%).
Chi scrive non si riconosce in alcuna delle credenze citate, e anzi è addirittura così ingenuo da ritenere che la scienza possa e debba capire qualcosa delle ragioni che portano così tanti italiani a condividerle.
Un aspetto drammatico è sempre più spesso nella cronaca. Tra i morti di covid si contano alcuni non vaccinati che sarebbero stati curabili, ma che hanno costantemente rifiutato gli interventi medici negando la malattia. A volte anche con il consenso dei familiari, o con lettere di avvocati che diffidano i medici dal prestare le cure del caso.
Già all’inizio di questo secolo alcuni intellettuali hanno registrato uno scollamento tra scienza e evoluzione della società. Per esempio il filosofo e psicanalista franco-argentino Miguel Benesayag, insieme a Gérard Schmit ne L’epoca delle passioni tristi, ed. Feltrinelli 2003, scrive: “Viviamo in un’epoca dominata da quelle che Spinoza chiamava le ‘passioni tristi’. Constatiamo il progresso delle scienze e, contemporaneamente, dobbiamo fare i conti con la perdita di fiducia e con la delusione nei confronti delle stesse scienze”. Più recenti e specifici sul tema della pseudoscienza sono p. es. i saggi La conoscenza e i suoi nemici: l’era della incompetenza e i rischi per la democrazia, ed. Luiss Univ. Press 2018, dello scrittore statunitense Tom Nichols, e Nel paese della pseudoscienza, ed. Feltrinelli 2019, dello storico della medicina Gilberto Corbellini.
Alle tendenze pseudoscientifiche presenti nella nostra società è dedicata una parte della Lectio magistralis “Il senso della Scienza” tenuta da Giorgio Parisi il 22 novembre scorso, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Sapienza di Roma, alla presenza del Presidente della Repubblica.
Dallo scorso 5 ottobre, quando è stata annunciata l’assegnazione del Premio Nobel per la fisica 2021 a Giorgio Parisi, è stato chiaro che tale riconoscimento sarebbe risultato anche una significativa risorsa per il nostro paese. Il Prof. Parisi, esponente della scienza italiana che non ha mai lasciato l’Italia se non per brevi periodi di studio, ha subito mostrato grande sensibilità e responsabilità nella gestione del prestigio e della popolarità che il premio gli conferisce. Lo abbiamo visto spesso presente in programmi e incontri culturali, in interviste televisive e su giornali, e non vi è dubbio che la sua autorevolezza si accompagna a qualità di garbo, buon senso e capacità di ascoltare gli interlocutori.
Nella citata Lectio magistralis del 22 novembre, il Prof. Parisi ha individuato alcuni elementi che verosimilmente contribuiscono alla diffusione di atteggiamenti negazionisti e pseudoscientifici. Un primo elemento menzionato è l’arroganza degli scienziati. Un’arroganza non voluta, in molti casi forse solo percepita, ma che si può attribuire a non pochi tra coloro che parlano di scienza: professori, ricercatori, divulgatori, intervistati a vario titolo su questioni scientifiche. Non si tratta di un problema di divulgazione, ma di comunicazione. Per riportare le parole di Parisi: “… arroganza degli scienziati che presentano la scienza come sapienza assoluta, rispetto agli altri saperi opinabili, anche quando in realtà non lo è affatto. A volte l’arroganza consiste nel non cercare di far arrivare al pubblico le prove di cui si dispone, ma di chiedere un assenso incondizionato basato sulla fiducia negli esperti. Proprio il rifiuto di non accettare i propri limiti può indebolire il prestigio degli scienziati che a volte sbandierano un’eccessiva sicurezza che non è autentica, davanti a un’opinione pubblica che in qualche modo ne avverte la parzialità di vedute e i limiti”.
Un secondo elemento che contribuisce alla diffusione della pseudoscienza è più profondo, ed è legato ai nostri tempi. Ad esso accennavo sopra, in relazione alla nostra epoca di passioni tristi e di diffuso pessimismo. Difficilmente oggi si guarda al futuro come a un tempo migliore del presente. Dalle sorti magnifiche e progressive dell’umana gente aveva già preso le distanze Giacomo Leopardi, e (cito Parisi) “come la scienza aveva il merito del progresso, così adesso la scienza riceve il biasimo del declino”.
Infine, il terzo elemento menzionato è più specifico dell’Italia, ed è la somma di non pochi fatti concreti, come deindustrializzazione, limitato interesse della grande industria per la ricerca, lento decadere della scuola pubblica, disinvestimento del denaro pubblico nei beni culturali, progressivo distanziamento tra scienza e cultura, carente fronte comune di tutti gli operatori culturali italiani, dagli insegnanti degli asili alle accademie, dai programmatori ai poeti, per affrontare l’attuale emergenza culturale.
Concludo con le parole della conclusione di Giorgio Parisi: “Abbiamo il dovere di promuovere una cultura basata sui fatti e impedire che si diffonda una pseudoscienza che possa indurre a scelte sbagliate. Non basta capire, trovare la strada, ma bisogna anche riuscire a comunicare, a spiegare non solo i risultati ma anche la metodologia seguita, per poter essere convincenti in maniera duratura. Non è facile farlo, ma è possibile farlo. Basta guardarsi intorno per capire che quello che si fa non basta. Bisogna fare di più, molto di più, e se non lo faremo, non potremo sfuggire alle nostre responsabilità”.