La crescita dei contagi Covid con le misure restrittive del governo hanno fatto slittare di qualche settimana la cerimonia inaugurale di « Procida Capitale italiana della cultura ». La diffusione di malattie (anche gravi ) via mare, tuttavia, si ritrova nella storia dell’isola. Oggi per fortuna non c’è più traccia di pestilenze o infezioni, ma resta un capitolo originale dell’evoluzione dell’isola che ha incontrato la storia dell’Europa. Per saperne di più, nell’anno in cui sbarcheranno migliaia di visitatori, ne abbiamo parlato con la Dott.ssa Raffaella Salvemini, procidana, storica e dirigente presso l’Istituto di Studi sul Mediterraneo del CNR.
Dott.a Salvemini, Procida quest’anno è la Capitale italiana della cultura. E’ un’isola ricca di tradizioni marinare. Lei si occupa di storia della sanità marittima: l’isola ha avuto un ruolo specifico in questa disciplina?
L’isola di Procida fino alla riforma della sanità marittima, dopo l’Unità d’Italia, ha avuto un coinvolgimento diretto nei controlli sanitari marittimi. L’isola era in una rete di porti chiamati a controllare la frontiera marittima e soprattutto la provenienza di navi e merci. Fino alla fine dell’Ottocento non si sapeva che i vettori della peste fossero le pulci e i topi che viaggiavano liberamente sulle navi. Come si potevano dunque arrestare i contagi ? In assenza di cure e vaccini non rimaneva che il ricorso alla prevenzione, all’isolamento e al rifiuto d’approdo, imponendo la quarantena e il ricovero nei lazzaretti. Per il controllo della frontiera marittima ci si avvaleva anche di torri e fortificazioni. E in questo Procida era piuttosto attrezzata.
In che modo ?
Per tenere lontani i Turchi e la stessa peste che giungeva dal Levante, fu il Viceré don Pedro da Toledo ad ordinare la costruzione di torri marittime e il rafforzamento di quelle preesistenti. Alla fine del Cinquecento le otto torri presenti sull’isola, unitamente al palazzo d’Avalos e alle mura fortificate, costituirono un avamposto di difesa. Naturalmente il sistema di controllo non fu infallibile e più volte sull’isola arrivò l’epidemia come la terribile peste del 1656.
Una pagina di storia.
Certo, oggi sull’isola non c’è più un ufficio di sanità marittima ma i marittimi imbarcati conoscono l’importanza delle misure di sicurezza, prevenzione e quarantena per la circolazione marittima. Anche per le vie di mare si procede in maniera analoga a quanto accade per la terraferma dove si può negare il diritto di “praticare” con altri qualora si dichiari la provenienza dal luogo in cui è in atto un contagio.
Le imbarcazioni oggi vengono controllate ?
Si. Per il controllo delle imbarcazioni uno degli strumenti utilizzati è la Libera Pratica Sanitaria (LPS) rilasciata oggi dall’Ufficio di Sanità Marittima – anche in breve tempo per email o via radio – per autorizzare sbarchi e imbarchi, oltre che operazioni di tipo commerciale, sulla base di una serie di informazioni preziose sullo stato di salute dell’equipaggio, sulla provenienza della nave, sulla sua destinazione.
Napoli- La deputazione della salute
Ritorniamo alla storia. Nell’800 alla peste si aggiunse il colera e il Regno delle Due Sicilie si trovo’ al centro di quella che Lei in alcuni scritti definisce la “hard globalization”. Ce ne puo’ sintetizzare il senso ?
Al 1948 risale la nascita dell’OMS, ma pochi sanno che il primo incontro internazionale in materia di sanità marittima e pubblica si ebbe a Parigi nel 1851. I significativi progressi nei settori della produzione, degli scambi e dei trasporti segnarono il passaggio dalla “soft globalization” all’“hard globalization” . Ma mentre le città crescevano, non miglioravano di pari passo le condizioni di vita delle popolazioni. Città sporche e malsane accolsero il colera.
Par di capire che non ci fossero barriere per bloccare le epidemie…..
Esatto. Il colera parti’ dall’Asia nel 1818 raggiunse prima l’Europa e poi Napoli nel 1836. E così negli anni a cavallo tra la prima e la seconda rivoluzione industriale si aprì in Europa un confronto sull’omologazione sanitaria per l’adozione di regole condivise alle frontiere di mare atte a ridurre l’ampia discrezionalità degli Stati nell’adozione di pratiche d’isolamento e prevenzione in occasione di epidemie.
Immagino non sarà stato facile definire regole valide per tutti.
Si e come Le dicevo, nel 1851 fu organizzata a Parigi la prima Conferenza Sanitaria Internazionale con la partecipazione di dodici Stati. Il delicato intreccio tra politica, commercio, salute e sanità marittima mostrò una frattura profonda tra i vari Stati. Una caratteristica questa, che alla luce dei recenti avvenimenti epidemiologici è ritornata prepotentemente alla ribalta. L’incontro fu sostanzialmente un fallimento. In assenza di cure mediche, il Regno delle Due Sicilie di Ferdinando II, “contagionista” non volle sottoscrivere la convenzione e il regolamento sanitario di Parigi e preferì una propria legislazione sanitaria approvata nel 1853. Pur non ricusando la necessità di applicare protocolli d’igiene condivisi non rinunciò ai tempi lunghi di quarantena, all’esclusione di merci e rapporti con Paesi in cui la peste era endemica. Di contro l’Inghilterra, la Francia e anche il Regno di Sardegna, più liberisti, erano propensi ad accettare controlli a maglie larghe con regole meno rigide per gli scambi.
Divisioni e particolarismi come se ne vedono anche oggi, purtroppo.
A distanza di secoli ritroviamo quella stessa frattura che sembra condizionare le nostre vite. Non solo all’interno dell’Italia si assiste, infatti, ad un evidente conflitto tra le ragioni della politica e del mercato da un lato e quelle della salute dall’altro. Basti pensare alla resistenza opposta dall’Inghilterra in occasione della prima ondata di epidemia Covid quando si voleva ridurre a 4 giorni la quarantena.
Per Procida, soprattutto in occasione della proclamazione di “Capitale”, sembra quanto mai adatto l’appellativo di “Porta sul Mediterraneo”. Per Lei cosa vuol dire, esattamente?
Sono particolarmente affezionata come storica a questo titolo. Ricordo che fu assegnato all’isola e alle città marittime da Marcello Eusebio Scotto, un colto e illuminato sacerdote procidano vissuto alla fine del Settecento, autore nel 1788 di un Catechismo Nautico e morto martire della Repubblica del 1799. Si tratta di un titolo quanto mai appropriato per un’isola che, come abbiamo visto, è stata anche nel passato frontiera sanitaria marittima, deputata a controllare gli accessi dal mare di nave per difendere la sua popolazione dall’ epidemie. Ma il titolo di “Porta sul Mediterraneo”, nel passato e nel presente, va inteso come di un’isola che accoglie un turista benevolo, rispettoso e consapevole verso le peculiarità del territorio.
Scusi, ma Lei oggi vede un “turista-tipo” ?
Al tempo in cui scriveva lo Scotti, alla fine del Settecento, il pensiero era rivolto all’ospite e in particolare al forestiero, all’uomo d’affari, al mercante o anche al rifugiato. E Procida ancora oggi investe sull’accoglienza di quanti amano questo piccolo scrigno prezioso. Porta sul Mediterraneo mi sembra, dunque, in linea con il pensiero di un’isola che non isola.
Dal punto di vista ambientale e sanitario, pensa che oggi l’isola sia un approdo sicuro contro la diffusione delle epidemie che corrono via mare?
E’ una domanda che va rivolta ai responsabili della sanità regionale. Per la sanità marittima oggi esiste una rete nazionale. Per quanto concerne l’isola rimangono i limiti di un piccolo territorio che da sempre si avvale di medici condotti a cui la comunità si affida. Naturalmente altra cosa è il Covid. L’isola ha un suo presidio sanitario ma le urgenze epidemiche vanno affrontate altrove. Procida è stata la prima isola Covid Free d’Italia con una campagna di vaccinazione dei residenti. Si è erroneamente speculato su questa iniziativa che di certo ha rassicurato i turisti ma ancor più la sua popolazione che- date le caratteristiche del suo territorio- la esponeva a rischi di gran lunga maggiori rispetto a chi risiede in terra ferma. Nell’eterna lotta tra il bene e il male ci si è chiesti più volte se fosse stato opportuno interrompere i collegamenti con la terraferma. Una decisione che per fortuna non è stata presa.
In conclusione, tra gli eventi del 2022 c’è uno spazio dedicato al rapporto sostenibilità- salute pubblica – turismo ?
Oggi per l’isola non è importante il rapporto con la sanità marittima ma con la salute pubblica. Bisogna puntare su servizi di trasporto che garantiscano alla popolazione residente e ai turisti meno automobili. L’alternativa non mi sembra, tuttavia, che possano essere le biciclette. Certo, è importante puntare su un turismo lento, ma l’isola ha un’elevata densità di popolazione che naturalmente vuole risposte per i bisogni di base. E’ una partita complicata, ma le sfide non credo facciano paura a questa Amministrazione comunale.