I giudizi sull’esperienza della DaD sono contrastanti: da una parte è stato detto che aumenta la disuguaglianza sociale e territoriale; dall’altro, si sostiene che il suo contenuto tecnologico potrebbe rappresentare la panacea dei problemi della scuola. In ogni caso, si tratta di giudizi che rimangono in superficie e non aiutano a formulare una corretta analisi dei mali della scuola, né individuano un percorso per risolverli.
Quali sono i mali della scuola? Il primo è senz’altro il basso livello formativo, responsabile dell’accentuarsi delle disuguaglianze sociali. Una scuola che persegue l’egualitarismo al ribasso, dei “saperi minimi”, delle piccole polpette di conoscenze predigerite, allarga il solco fra i ceti alti, che hanno la possibilità di recuperare nel loro ambiente, e i ceti bassi, che fuori della scuola trovano ben poche opportunità per fare gli “esami di riparazione”. Per i giovani delle aree economiche e sociali più deboli l’unica possibilità di emergere è una scuola seria, di qualità. A prevalere, invece, è la via più facile e populisticamente vincente: cioè la rassicurazione che tutti, alla fine, saranno promossi.L’altro male è l’incapacità della scuola di fornire solide basi scientifiche alla formazione dei nostri giovani. Quella che storicamente è sempre stata una delle cause del ritardo dello sviluppo economico italiano, è per altro diventato ora anche un problema sociale, viste le assurde posizioni sull’utilità o meno dei vaccini.
È su questi problemi e sulla possibilità di trovar loro una soluzione che vanno valutati gli strumenti e le ipotesi di cambiamento. E così la DaD può sì innervare una pedagogia ed una prassi didattica più sofisticata; però, occorre che i docenti siano adeguatamente formati. Cosa che attualmente non è. Gli insegnanti sono lasciati soli ad affrontare una serie di problemi, resi insormontabili in una DaD improvvisata. Probabilmente, ciò accade per l’impreparazione sul piano didattico-pedagogico della dirigenza politico-burocratica che governa la scuola. Lo dimostra il fatto che al massimo ci si limiti a confidare in un tardo positivismo, in una tecnologia che risolva, prima o poi, i problemi didattici. Ignorando che nessun strumento, di per sé, sarà mai in grado di innestare una nuova didattica.
Proviamo a spiegare di cosa parliamo per nuova didattica.
Oggi nella pratica di tutti i giorni, in classe si segue un percorso con step e tempi ben definiti. Il docente insegna, lo studente studia e apprende, il docente verifica e valuta. Un metodo che prevede per ogni studente lo stesso tempo di apprendimento, anche se ormai sappiamo che ciascun individuo ha un proprio tempo individuale. Inoltre non è incentivato il coinvolgimento dello studente, nonostante pure in tal caso è acclarato come questo rappresenti la più forte motivazione allo studio. Finora si è pensato che per risolverlo occorressero insegnanti modello Robin Williams nel film “L’attimo fuggente”. Forse esisterà pure qualche docente in grado di trascinare intere scolaresche con il suo fascino. Di sicuro non è pensabile che questa sia la norma. La verità è che la scuola, per funzionare in maniera omogenea sul territorio nazionale, non necessita di fenomeni, bensì di professionisti ben formati. Disponendo di questa “manodopera” specializzata, allora sì che la DaD potrà essere di grande aiuto.
A tale proposito, sarà il caso di evidenziare come la DaD sia una metodologia propria dell’eLearning (apprendimento con le tecnologie), che consiste nell’uso di ambienti informatici per la didattica. L’eLearning è in grado di creare una classe virtuale e di modificare i tempi dell’insegnamento/apprendimento/valutazione basato sulla lezione frontale. Il docente potrà depositare in anticipo il materiale didattico informativo sull’argomento da affrontare. E lo studente cominciare a studiare, in questa prima fase, da solo. Per poi, sempre utilizzando lo stesso ambiente virtuale, interagire con i suoi compagni, con un forum di discussione, con un lavoro di gruppo o direttamente con il docente. Una fase questa che, in casi eccezionali come la pandemia, si può sviluppare anche a distanza senza perdere di valenza, anche se è ovviamente preferibile svolgerla in presenza in una classe-laboratorio. A rendere questa pratica didattica più coinvolgente è il fatto di aver spezzato il tempo unitario dell’apprendimento per lasciare spazi più ampi per lo studio individualizzato. Ed è una pratica didattica più coinvolgente perché il protagonista non è il nostro Robin Williams ma il più modesto Franti con i suoi tempi di apprendimento.
Può essere d’aiuto anche una valutazione non più solo sanzionatoria. Una volta fissati gli obiettivi comuni da raggiungere, il docente può suddividere il percorso in segmenti, superabili con brevi test di auto valutazione, fino all’apprendimento delle conoscenze necessarie per affrontare la valutazione “sommativa” e sanzionatoria.
Stiamo in fondo parlando delle modalità in essere nelle aziende multinazionali per la formazione del personale. Un metodo per apprendere ad apprendere, come richiesto dal World Economic Forum nel suo ultimo Rapporto sul futuro del lavoro.
Si potrebbe mettere in campo questa prassi didattica nelle scuole anche in tempi ragionevoli, perché non siamo all’anno zero. Esistono infatti in Italia docenti virtuosi che hanno autonomamente sviluppato buone pratiche di eLearning. Sarebbe sufficiente creare con loro, in collaborazione con gli enti locali opportunamente sostenuti, centri didattico-pedagogici in grado di sviluppare piani formativi e di sostegno per i docenti di ogni ordine e grado.
“Se non ora quando?” verrebbe da dire, riprendendo una frase cara al linguaggio femminista. Un merito della sgangherata pratica della prima DaD è stato quello di rompere il muro di diffidenza e pigrizia di molti docenti verso lo strumento tecnologico. Bisogna approfittarne per inserire, ora, una nuova didattica per la Next Generation in Italia. Altrimenti l’innovazione tecnologica, lasciata a sé stessa e al mercato, creerà solo un’ulteriore aristocrazia, pur se digitale. E le disuguaglianze continueranno a crescere.