L’Europa ha solo da perdere nel muro contro muro con la Russia. La quale in fin dei conti non ha tutti i torti a sentirsi in ansia per come si stanno mettendo le cose ai suoi confini.
Davanti alla foto di Vladimir Putin verrebbe voglia di mutuare la famosa battuta usata nella campagna presidenziale di Kennedy contro Nixon («Compreresti un’auto usata da quest’uomo?»), nella domanda: «Potreste mai trovarvi d’accordo con quest’uomo?» Non c’è dubbio che il presidente russo, con la sua visione del mondo che riprende gli aspetti peggiori e i più caricaturali del fu Orso Sovietico, incarni quanto di disdicevole i sostenitori dei valori della democrazia e del liberalismo possano riscontrare in un uomo di stato. E dunque come non trovarsi dall’altra parte della barricata su tutto, compresa in questi giorni l’esplosiva crisi ucraina?
Il fatto è che, sì, sarebbe davvero meraviglioso poter rimanere abbarbicati alle sole dichiarazioni di principio. Malauguratamente, c’è sempre lo stesso problema: l’attenzione che reclama quella cosa brutta, sporca e cattiva che è la politica. Oltretutto declinata in questo caso nella sua versione più maleodorante, cioè la realpolitik. Davanti ad esse è giocoforza che i valori non negoziabili e il politicamente corretto facciano un passo indietro, lasciando il campo a valutazioni sicuramente meno nobili. Sempre se, beninteso, si voglia raggiungere un qualche risultato. Che, nel caso specifico della crisi ucraina, non può non essere una de escalation della tensione. E quindi, inevitabilmente, la ricerca di un punto di convergenza con i russi, dato che, come recita un noto detto, pace e compromessi si fanno con gli avversari, non con gli amici.
Per centrare l’obiettivo occorrerà prima di tutto sacrificarci in un esercizio: sebbene gli abiti indossati, tutti un po’ risicati per mettere in mostra il fisico da macho, diano l’idea di essere piuttosto scomodi, noi europei dovremmo provare a metterci nei panni di Putin. Stiamo parlando del presidente di un paese complesso, fino ad un recente passato uno dei due padroni del mondo, costretto a ridimensionarsi. Con quale senso di frustrazione è intuibile. Se la storia insegna qualcosa, basterebbe ricordare i guai derivati al mondo dalle umiliazioni inflitte ai tedeschi dopo la Prima guerra mondiale, per renderci conto che, pur avendo tutte le migliori ragioni per farlo, non è mai una buona idea mortificare un popolo, metterlo in angolo.
C’è poi un altro aspetto, molto più pratico, di cui tener conto. È vero, l’Urss che partecipava alla Champions League delle superpotenze ha ormai lasciato posto ad una Russia che può ambire al massimo al rango di media potenza. Una media potenza però particolare che, se a livello economico non è molto più di un nanerottolo, in quanto ad armamenti mantiene tutta intatta la possibilità di fare molta paura all’Europa. È sfruttando il timore che ingenera con la sua force de frappe che lo sgradevole Putin sta avanzando le sue rivendicazioni. Lo fa in malo modo perché il personaggio è quello che è. Ma se non ci stiamo a formalizzare e andiamo al sodo, davvero ce la sentiamo, sempre mettendoci nei suoi panni, di dargli torto?
Non ci vuole uno scienziato della politica per comprendere perché le nazioni poste a corona dei confini della Russia si sentirebbero più sicure sotto il mantello protettivo della Nato. Il fatto è che questa scelta “difensiva” significherebbe per la Russia sentirsi accerchiata da quelle che, a torto o ragione poco importa, avverte come forze ostili se non nemiche. Quale paese accetterebbe una condizione simile, avendo un arsenale militare come quello russo? Abbiamo forse dimenticato la crisi del ‘62, quando gli americani portarono il pianeta sull’orlo della guerra nucleare per via dei missili sovietici installati a Cuba?
A proposito degli USA sarà istruttivo ricordare la realpolitik che li ha guidati in quello che da 200 anni, cioè dalla formulazione della dottrina Monroe in poi, considerano un po’ come il cortile di casa, cioè il Sud America. E di come, in barba ai principi tanto cari ai Padri Fondatori, hanno troppo spesso appoggiato e foraggiato impresentabili dittatori e regimi sanguinari. In nome della sicurezza nazionale, è sempre stata la loro spiegazione (sarebbe curioso sapere quale terribile minaccia potesse rappresentare per loro il governo eletto democraticamente di Salvador Allende, ma lasciamo perdere).
Il fatto è che per gli USA ci sta bene un detto molto volgare, che sarà il caso di rendere in modo più acconcio alle orecchie: fare i padroni con qualcosa che è di altri. Ecco, gli americani nella loro storia ce l’hanno avuta più di una volta questa predisposizione tipica, inutile scandalizzarsi, di una superpotenza a tenere in non cale sensibilità, interessi e desideri altrui. Colpisce, tanto per dirne una banale, che il presidente degli Stati Uniti inviti i propri connazionali a lasciare al più presto l’Ucraina, mentre gli ucraini, anche per non sovreccitare inutilmente gli animi, si affannano a ripetere che non c’è nessun pericolo imminente.
È comprensibile che Biden, in vistoso calo di consensi, abbia tutto l’interesse a stressare la crisi ucraina così da poterne uscire come il vincitore del cattivo di turno e il salvatore della pace. Si capisce un po’ meno perché gli europei lo stiano seguendo su questa strada molto, molto pericolosa: quando si maneggia il vaso di Pandora degli eserciti in assetto di combattimento, basta un movimento anche solo maldestro per scoperchiarlo.
Come uscirne? È chiaro che alla fine Putin dovrà cedere. Se una guerra sarebbe probabilmente foriera di grandi guai per l’Europa, si rivelerebbe sicuramente disastrosa per il presidente russo. Però, a parte sempre il timore che in una situazione così tesa il colpo accidentale possa comunque partire, sarebbe da chiedersi se metterlo in angolo lui e il suo paese sarebbe la soluzione migliore per l’Europa e, in particolare, per la UE.
E qui veniamo al destino di quei paesi che sono stati fino a pochi anni fa sotto al giogo sovietico e comunista. Siamo ancora e sempre così sicuri che la via migliore sia quella di portarli sic et simpliciter dalla nostra parte, sia economicamente che militarmente? È proprio necessario che questi paesi posti tra noi e la Russia entrino nell’Unione o nella Nato? Non basterebbe intrecciare proficui rapporti commerciali da una parte e dall’altra dar loro garanzie (con tanto di avvertimento alla Russia) che l’Occidente difenderà il loro diritto all’autodeterminazione?
Con Putin o con qualcuno che gli somiglia (sempre che non si voglia credere alla favola di una Russia presto evolventesi in un regime democratico) dovremo farci i conti a lungo, non fosse altro per il gas. Forse sarebbe più sensato trovarci qualche punto di convergenza, piuttosto che fargli la guerra.