Mi è capitato di assistere ad una manifestazione canora che vedo ogni volta che si ripete perché, a mio avviso, è un fenomeno di costume e ci racconta come si evolve la nostra Società e quali possono essere le aspettative dei giovani e, forse, di cosa sentono il bisogno. Devo dire che sono rimasta molto perplessa non tanto per quello che ho visto ma per la riflessione che è scaturita nei miei pensieri, che naturalmente rimangono una cosa privata e personale.
Una prima riflessione riguarda il concetto del femminile che viene ripreso, manipolato e riproposto nella solita maniera. Per essere più chiara, la femminilità non si identifica con i tacchi a spillo o le calze a rete, la femminilità è un concetto più ampio che abbraccia caratteristiche, comportamenti ed abilità unici ed importanti che vanno dall’ascolto attivo, al servizio, dalla conoscenza alla collaborazione, dall’empatia all’integrazione e tutto quello che abbiamo sempre ritrovato nelle figure femminili che sono state il nostro riferimento di vita.
Vedere giovani che si calano in comportamenti e modalità che non gli sono propri non dimostra ambiguità ma confusione mentale nel senso detto prima.
Pur apprezzando lo sforzo di esaltare il femminile, temo che la riuscita sia molto scarsa proprio perché si ricalca un modello vecchio che sarebbe ora di mandare in soffitta. La seconda riflessione riguarda proprio i giovani che dovrebbero essere supportati non tanto nell’apparire, cosa di cui sono bravissimi, ma nel saper essere. Saper essere sé stessi in qualunque circostanza, saper esprimere con la forza e la potenza della gioventù una visione, saper essere creativi e sviluppare idee potenti, saper utilizzare la assoluta libertà di cui oggi godono per poter disegnare e portare avanti qualsiasi progetto per il futuro.
Mi ricordo che in uno dei nostri primi Convegni Nazionali nel 2008 venne Sir John Whitmore, da tutti considerato un padre del coaching, a parlarci di leadership, ma anche a parlarci di un progetto molto importante commissionato dalla Amministrazione francese. Progetto che prevedeva la presenza di un coach nelle scuole guida. Un’accurata indagine aveva, infatti, rilevato che in Europa si perdevano molte vite umane, specialmente giovani maschi, a causa di incidenti con la macchina. Il progetto prevedeva un intervento per far conoscere e capire come la macchina possa essere uno strumento utile ed efficace nel nostro quotidiano ma possa anche tramutarsi in uno strumento di morte per noi e per gli altri. Perché dico questo? Perché con questo ci ha comunicato che la professione che abbiamo scelto tende a misurarsi con il benessere di tutti siano manager, amministratori delegati o giovani ragazzi e che la nostra “mission” è creare consapevolezza e supportarla per favorire la crescita personale e lo sviluppo di nuove modalità aprendo l’orizzonte a diverse strade da seguire.