Ci siamo detti tante volte, nelle riunioni del Comitato Editoriale del nostro periodico, che sarebbe stato interessante lanciare dialoghi a più voci fra i nostri redattori. L’articolo di Ines Thomas “Il libro alla ricerca del ‘suo’ premio”, mi fornisce uno spunto che può essere interessante.
Per dirla francamente quando questo periodico ha iniziato il suo percorso, pensavo che molti di quelli che avrebbero scritto fossero colti ben pensanti, che non sempre mi piacciono. Come Claudio sa bene, conoscendo il mio carattere, stavo quindi aspettando a chi poter saltare addosso. Invece mi sono trovato fra donne e uomini, professionisti notevoli che apprezzo moltissimo e con i quali è un piacere lavorare.
Nessuna possibilità di azzannare qualcuno.
Poi recentemente mi imbatto nell’articolo di Ines Thomas sui premi letterari. Mi sono subito detto questa volta mi sfogo.
Invece l’articolo è talmente completo e strutturato – fornendo in modo magistrale informazioni e commenti – che la mia innata cattiveria si è subito sgonfiata.
Però, cara Ines, spero che mi perdonerai comunque qualche piccola osservazione.
Con la saggezza e l’equilibrio che pervadono il tuo articolo, fai emergere, qua e là, che – molti? – premi letterari sarebbero “addomesticati”. Da persona seria però, presenti questi premi “truccati” come eccezioni. E certamente hai ragione perché, come sempre dicevo ai miei studenti, se più dell’80% degli esseri umani non fossero buoni e onesti, il mondo sarebbe finito dopo Caino e Abele. Però purtroppo, le disfunzioni, i fatti negativi hanno un potere inquinante molto più grande della massa delle cose buone. Un delitto fa più danno, è molto più pervasivo di milioni e milioni di comportamenti onesti e solidali.
Come si trucca un concorso? Dopo quarant’anni di Università ve lo riassumo facilmente.
Si creano bandi focalizzati su aspetti trattati da coloro che si vogliono far vincere. Si scoraggiano in vari modi (da quelli raffinati a quelli più brutali) i partecipanti che potrebbero fare concorrenza ai nostri protetti. Si selezionano i commissari valutatori con saggezza: la maggioranza sono amici, la minoranza non sa niente ma deve dimostrare la trasparenza del procedimento. Infine, quando le commissioni sono fatte da veri professionisti- e non sempre è così – si scrivono giudizi articolati e complessi in base ai quali qualcuno che ha scritto 10 pagine superficiali e inutili è molto più bravo di qualcun altro che ha scritto 250 pagine, di analisi costate esperienza e studio di lunghi anni.
Chi decide cosa è letteratura?
Cara Ines, naturalmente hai ragione tu nel modo in cui esponi la tematica. Però se tante persone sono lontane dalla lettura è anche perché molte pubblicazioni sono ingessate in cricche, consorterie che si parlano fra loro, si elogiano, fanno pubblicare i libri degli amici che solo gli amici leggono. Le case editrici non cercano l’arte o la genialità ma puntano sui loro cavalli – spesso somari – perché è più facile così, e non serve aumentare il numero dei lettori.
Uno fra gli ultimi premi Strega, e non faccio il nome perché Claudio, appassionato di calcio, mi ha insegnato a intervenire sulla palla e non sul calciatore, è veramente pessimo, pomposo, scritto per se stesso e per pochi altri.
L’arte letteraria, come tutte le arti, deve parlare a tutti: Guerra e Pace, I Miserabili, I Promessi Sposi, Nanà, Il Vecchio e il Mare, e persino Antigone e Lisistrata, non erano scritti per i premi letterari ma per parlare a tutti. Ecco perché ancora li leggiamo con meraviglia e ammirazione.
Il nostro periodico ha bisogno di denunce forti, non solo per farsi ascoltare, ma perché la saggezza e il buon senso, purtroppo, non cambieranno mai niente.