Parlando nel Comitato di redazione degli argomenti collegati con il sistema sanitario, si è valutato utile riportare un’intervista redatta dal Dott. Gianfranco Tamburelli per la rubrica “Ambiente, Transizione ecologica e Sviluppo sostenibile” della pubblicazione online “Informazione quotidiana”.
In quell’intervista parlavo della mia esperienza come Direttore del Consorzio Interuniversitario “Istituto Nazionale di Biostrutture e Biosistemi”. Penso che le attività che il Consorzio svolge da più di trent’anni siano di particolare interesse sia in funzione dell’intreccio fra la ricerca e numerosi aspetti sanitari ed ambientali che si riscontra nella maggior parte dei progetti, sia anche per l’attenzione che il Consorzio dedica a vari aspetti collegati ai goal dell’Agenda 2030.
Ci riproponiamo, nei prossimi numeri di Tutti2030, di approfondire alcuni dei risultati che i ricercatori hanno ottenuto negli ultimi anni in modo da poterli divulgare nell’interesse di tutti.
Il Dott. Pietro Ragni, fisico del CNR, dirige dal 2014 il Consorzio Interuniversitario “Istituto Nazionale di Biostrutture e Biosistemi” (INBB), una realtà di grande rilievo nel panorama della cooperazione scientifica italiana. Dott. Ragni, ce ne può illustrare le attività?
Certo. Il Consorzio Interuniversitario INBB, che ha sede legale a Roma, è nato nei primi anni Novanta, a seguito della legge sull’autonomia del Ministro Antonio Ruberti, ed è uno dei pochi ancora attivo dopo trent’anni, riconosciuto dal Ministero dell’Università e della Ricerca (MUR) e ben valutato dall’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario (ANVUR). INBB annovera fra i consorziati 24 atenei pubblici e circa 700 tra professori universitari e ricercatori aderenti. Svolge attività di ricerca a seguito di bandi pubblici o di contratti privati prevalentemente in tre settori disciplinari: ambiente, agroalimentare e sanità. Tali attività vengono realizzate presso i tre laboratori nazionali (Bologna, Napoli e Sassari) e presso le Unità di Ricerca (UdR) attivate presso ciascuna università consorziata. In media, sono attive più di trenta posizioni lavorative all’anno, prevalentemente per giovani ricercatori; considerando dipendenti, borse di studio e contratti di ricerca. Il 90% di queste risorse sono dedicate esclusivamente ai temi scientifici.
Quali sono i dati e i trend della produzione scientifica dell’INBB?
Negli ultimi otto anni (2015-22) i professori ed i ricercatori afferenti all’INBB hanno pubblicato 617 articoli su prestigiose riviste internazionali nel campo della ricerca chimica, biologica e medica indicando in modo esplicito l’affiliazione al consorzio. Inoltre, l’INBB dal 2017 ha rafforzato le attività collegate al trasferimento tecnologico ed in pochi anni è stato in grado di costituire, in stretta collaborazione con l’acceleratore delle innovazioni Cube Labs, 10 spin off tutti su tematiche collegate con le Life Sciences; alcuni sono già stati finanziati dal mercato della ricerca.
Direttore, lei ha accennato ad attività in ambito ambientale, vuol farci qualche esempio?
Penso sia opportuno sottolineare che INBB svolge attività direttamente rivolte al settore dell’ambiente, ma anche molte ricollegabili alle tematiche dello sviluppo sostenibile. Per il primo gruppo mi piace ricordare, anche per l’importanza sociale, che il Laboratorio INBB di Proteomica e Metabolomica presso il Dipartimento di Scienze Chimiche dell’Università Napoli “Federico II”, coordinato dalla direttrice del Laboratorio di Napoli, Prof.ssa Amoresano, è stato il principale attore di una sperimentazione sul territorio di un’iniziativa di tutela della salute. Si trattava di ottimizzare alcuni metodi analitici d’avanguardia ai fini della determinazione dei livelli di inquinanti organici in matrici biologiche, nel contesto di una campagna di sensibilizzazione ambientale a livello nazionale, fornendo il necessario supporto non solo tecnico-scientifico, ma anche organizzativo, finanziario e gestionale.
Lo studio pilota, ha avuto lo scopo di valutare, attraverso la misurazione in matrici biologiche di inquinanti organici, l’esposizione ambientale di una coorte di ragazze/i sane/i – omogenea per età, indici di massa corporea e stili di vita – residente in tre aree a differente pressione ambientale: Brescia-Caffaro, Valle del Sacco nel Frusinate ed Area Nord di Napoli, al fine di verificare eventuali differenze legate a fattori di esposizione residenziale e/o identificare eventuali sorgenti espositive. Le attività erano volte all’analisi “targeted” della presenza di idrocarburi policiclici aromatici – IPA, policlorobifenili – PCB, diossine e furani e pesticidi nelle differenti matrici selezionate.
Dott. Ragni, leggo da sue note di sintesi che gli idrocarburi policiclici aromatici vengono generati dai processi di combustione di materiale organico (compreso l’accendersi di una sigaretta) e costituiscono anche prodotti secondari della raffinazione del petrolio; poiché alcuni di loro sono cancerogeni, diverse disposizioni normative tendono a ridurle tecnicamente al minimo in modo da evitare i conseguenti rischi per la salute umana.
Sì. Per quanto riguarda gli IPA riscontrati nel siero ematico della coorte di ragazzi presa in considerazione nello studio pilota, i livelli di concentrazione determinati nell’area Nord di Napoli sono risultati lievemente superiori a quelli della Valle del Sacco, ma circa il doppio rispetto a Brescia e ciò sembra rispecchiare la pratica degli incendi tossici che caratterizzano proprio l’Area Nord di Napoli. In ogni caso i valori sono risultati nell’ordine di parti per bilione.
Quale – in estrema sintesi – la rilevanza per la salute dell’uomo dei dati concernenti policlorobifenili – PCB, diossine e furani e pesticidi?
Molto dipende dalla quantità di contaminazione; in caso di esposizione ad alti livelli di queste sostanze si possono verificare malattie della pelle (che possono persistere per anni e lasciare cicatrici permanenti), alterazioni epatiche, difficoltà metaboliche. Per livelli più bassi possono essere provocati danni al sistema immunitario e disquilibri ormonici; possono anche essere indotti effetti gravi sul feto per donne in gravidanza. C’è da ricordare che tali sostanze si accumulano nei tessuti adiposi e per eliminarne il 50% ci vogliono più di 10 anni.
Ciò precisato, è da osservare che i livelli di PCB e PCB diossine-simili nel siero ematico, sono risultati molto più elevati con valori di oltre 10 volte a Brescia rispetto all’Area Nord di Napoli e Valle del Sacco, ciò dovuto verosimilmente alla grave contaminazione nel territorio di Brescia per lo sversamento pluridecennale di PCB nell’area dell’ex Caffaro. Sono al momento in corso valutazioni sul seme delle stesse sostanze, oltre ad un’analisi statistica dei dati ottenuti.
Direttore, tra le altre attività di ricerca sviluppate dall’INBB si notano quelle effettuate sugli interferenti endocrini (IE). Di cosa si tratta?
Si tratta di sostanze in grado di alterare la funzionalità del sistema endocrinico dell’uomo; pertanto particolarmente pericolose se disperse nell’ambiente, poiché possano indurre effetti avversi sulla popolazione dell’area inquinata. L’elenco degli IE purtroppo è molto vasto ed include: pesticidi clorurati, ftalati, diossine, vernici antifouling, ecc.
È importante studiare gli effetti sull’uomo di queste sostanze ed individuare l’eventuale loro presenza sul territorio. INBB ha svolto su questo argomento varie ricerche sia sugli aspetti ambientali (inquinamento, monitoraggio, biosensori funzionali, biorisanamento), sia sugli aspetti collegati all’alimentazione (assorbimento e rilascio degli IE) e al versante sanitario (meccanismi molecolari alla base di patologie indotte dagli IE, biomarker per patologie “disregolanti” delle strutture endocrine).
Questi mi sembrano davvero costituire esempi di attività di ricerca scientifica strettamente correlata ai problemi concernenti la tutela della salute umana e dell’ambiente. Quali invece le attività INBB che lei ricondurrebbe agli obiettivi dello sviluppo sostenibile?
Come è noto, alla fine del 2015 fu lanciato dalle Nazioni Unite l’ambizioso documento “Agenda 2030”, che indica le linee di intervento e le metodologie di monitoraggio per le emergenze dello sviluppo sostenibile ed è articolato in 17 goal (Sustainable Development Goals – SDG). Molte delle attività di ricerca e sviluppo dell’INBB contribuiscono ad alcuni di questi SDG.
Ad alcuni di essi (SDG 4 – Istruzione; SDG 8 – Lavoro sostenibile e crescita economica; SDG 9 – Innovazione industriale; SDG 12 – Consumo e produzione responsabili; SDG 15 – Vita sulla Terra) INBB fornisce il suo contributo in maniera trasversale attraverso le proprie attività di ricerca. Numerose altre attività realizzate negli ultimi anni sono invece direttamente collegate a tre degli SDG di Agenda 2030: SDG 2 – Zero fame, SDG 3 – Buona salute e SDG 5 – Parità di Genere.
Molto interessante, ce ne parli.
Molto volentieri, iniziamo allora dal SDG 2 – Zero fame. INBB è stato uno dei primi enti nazionali a promuovere un’iniziativa collegata sul tema; grazie all’impegno dell’UdR coordinata dal Prof. Roda, vicepresidente dell’INBB, nel maggio 2016 fu organizzato a Bologna il Convegno: “Gli alimenti: non solo cibo”, con l’obiettivo di divulgare studi scientifici e/o veri e propri casi aziendali che avevano come filo conduttore il riutilizzo di scarti alimentari per la produzione di nuovi prodotti salutistici (in primis, cosmetici e integratori).
Il Convegno presentò anche alcuni risultati relativi alla produzione di nuovi cibi funzionali (cibi che oltre alla loro funzione nutrizionale contengono principi fisiologicamente attivi in grado di indurre effetti benefici sullo stato di salute) con forte connotazione salutistica e con efficacia clinicamente dimostrata. In questo modo, anche attraverso la collaborazione con alcune aziende, sono stati ottenuti prodotti ad alto valore aggiunto, che sono andati ad inserirsi in un settore in sempre più rapida crescita. Un esempio studiato dalla stessa Unità di ricerca dell’INBB riguarda l’estratto di mela che dà utili apporti a livello dell’apparato cardiovascolare: attività antiossidante, l’inibizione della xantina ossidasi, della disfunzione endoteliale e dell’angiogenesi.
Tali attività sembrano invero perseguire in modo conseguenziale sia l’obiettivo ‘zero fame’ che quello ‘buona salute’.
Sì, senz’altro. Un altro dispositivo, messo a punto dal Prof. Antonini, Presidente di INBB, fu concepito proprio all’intersezione di queste priorità. Si tratta di un semplice kit che permette in pochi minuti (senza lunghe procedure di laboratorio) di accertare se un alimento è contaminato da batteri. L’invenzione ha dato luogo ad uno spin off che già da anni commercializza il kit che può essere utilizzato in autonomia dai ristoratori o dai commercianti di alimentari.
Numerosissimi sono poi i lavori di ricerca condotti da aderenti INBB in settori strettamente correlati all’obiettivo ‘buona salute’, dalla medicina traslazionale, all’oncologia, alla farmacologia. Per gran parte di essi l’obiettivo è stato quello di aumentare le conoscenze per migliorare gli approcci terapeutici nell’interesse della salute della popolazione.
Riporterei due esperienze in particolare. La prima è quella che è stata posta in essere dall’Unità di Ricerca di Bari, coordinata dal prof. Moschetta, le cui ricerche nel campo della nutrigenomica hanno permesso di approfondire l’importanza dell’olio extravergine d’oliva (EVO), elemento cardine della dieta mediterranea dalle rilevanti azioni antiossidanti e protettive nei confronti di patologie cardiovascolari e oncologiche. Gli effetti benefici promossi dall’olio EVO sono attribuibili a un elevato contenuto di acido oleico e polifenoli che sono in grado di contrastare diverse condizioni patologiche, come è stato dimostrato sia a livello clinico che a livello biomolecolare da studi da noi condotti. A livello clinico l’assunzione di olio extravergine d’oliva nei soggetti sani migliora i livelli di glicemia, la sensibilità insulinica e riduce l’infiammazione.
La seconda, ha avuto origine nel 2014, quando INBB ha presentato come coordinatore, nell’ambito del Bando Horizon 2020 ‘Personalising Health and Care’ PHC-10-2014, con 13 partner (istituzioni di ricerca e aziende di 7 paesi EU) la proposta ULTRAPACAD (Ultrasensitive Plasmonic Devices for early Cancer Diagnosis – dispositivi ultrasensibili per la diagnosi precoce del carcinoma). La proposta è risultata come prima su 461 concorrenti. Il progetto, coordinato dal Prof. Spoto dell’UdR di Catania, iniziato nel 2015, è stato portato a termine con successo nel dicembre 2018. La piattaforma messa a punto è la prima al mondo in grado di rilevare sia acidi nucleici, sia biomarkers di proteine per una diagnosi non invasiva (si tratta solo di esami ematici) del cancro al colon; consente inoltre di seguire i pazienti con biopsie liquide.
Mi lasci aggiungere che per tali risultati il progetto ULTRAPACAD di cui ci ha parlato è stato successivamente premiato dalla Commissione UE come uno dei progetti sanitari di maggior impatto. Passiamo ora al terzo settore di attività INBB con una valenza evidente ai fini del perseguimento dei SDGs, quello della parità di genere.
Grazie, anche qui ritengo INBB sia stato il primo ente italiano ad occuparsi di questo aspetto importante e spesso misconosciuto nel mondo della sanità. Fin dagli anni Novanta fu costituito presso l’Università di Sassari quello oggi denominato ‘Laboratorio Nazionale per la Farmacologia e Medicina di Genere’, di cui è responsabile la prof.ssa Franconi, fra le fondatrici del Consorzio ed attualmente anche coordinatrice della Women20 – Equity in Health Commission in ambito G20.
Numerosi sono i progetti e le pubblicazioni su questa tematica di cui INBB è stato promotore. Nonostante l’impegno nostro e di altri prestigiosi enti di altri paesi, mancano ancora dati sufficienti e di alta qualità sulle differenze nella terapia e nei presidi farmacologici fra donne e uomini. Solo negli ultimi anni sono state varate, anche in Italia, leggi ce affrontano la questione con notiamo con piacere che ha acquisto rilevanza anche in Horizon Europe, dove è stata indicata la necessità di analisi di intersezionalità di genere e sesso.