La stampa sportiva sembra impermeabile allo stato di diffuso fallimento tecnico/economico/etico del calcio italiano. Parliamo dello spazio che si conquista lo sport (gioco o giuoco) più popolare, quello che mediamente se ne conquista l’80% nei tre quotidiani di settore in circolazione.
L’esecrazione per la seconda eliminazione consecutiva dai Campionati mondiali, appena pochi mesi dopo la conquista del titolo europeo, ha meritato solo un paio di speciali nelle ore successive a quello che nell’immaginario del tifoso italiano si configura, metabolizzato, come un autentico lutto. Poi la demagogia è tornata a imperare.
Facciamo un esempio concreto. Qual è il titolo d’apertura del più diffuso tra i tre quotidiani nel giorno di grazia 14 aprile 2022? Un’intervista esclusiva (nientemeno!) a Francesco Totti che nell’arco di due pagine dispensa consigli al quarantenne infortunato Ibrahimovic. Argomento pregnante? No, pura accademia. Così il calcio italiano, abituato alle vacche grasse, sbeffeggiato internazionalmente (per l’ennesima volta la Juve si è arenata nelle secche del più importante torneo di club), afflitto dal nuovo scandalo delle plusvalenze dove spiccano i soliti “vizi privati” della Signora Juventus, finisce con essere vezzeggiato, vellicato, coccolato da una stampa complice e vistosamente embedded.
L’Italia del campanile dove le squadre di riferimento (le milanesi, le torinesi, le romane) vengono ovviamente difese dall’editoria settoriale in concorrenza. Offriamo altri esempi invece di una diversa critica. Nel periodo più conflittuale dei Mondiali del 1982 la stampa divenne così aguzza e polemica nei confronti della squadra di Bearzot provocando un epocale silenzio stampa.
E solo venti anni prima (ma anche quaranta anni prima) c’erano giornalisti che diventavano commissari tecnici. Quando la stampa era pungolo, la terza pagina era dedicata alle inchieste e agli approfondimenti. La stampa sportiva era partner, ora è serva di sistema. Oggi un titolo a nove colonne può nascere dal tweet di un calciatore, prassi non occasionale ma che si ripete centinaia di volte. I tycoon dei grandi club (de Laurentiis ma anche i nuovi proprietari americani) non vengono mai sottoposti a un severo esame censorio. E così, con la complicità indotta del sistema di quello che una volta era il quarto potere, nessun potere forte viene messo in crisi. I quotidiani hanno appena finito di ringraziare Mancini perché non ha dato le dimissioni dopo la disastrosa sconfitta con la Macedonia del nord mentre ben altro trattamento era stato riservato a Ventura solo quattro anni prima. Con tutto che nel girone eliminatorio 2017-2018 l’Italia si era trovata contro la Spagna e non la Svizzera.
Non c’è un senno del poi ma tra l’altro se gli azzurri fossero riusciti a superare i carneadi macedoni sarebbero stati sicuramente respinti e maltrattati dal Portogallo, per di più fuori casa. Intanto il calcio italiano spende e spande, vive al disopra delle proprie possibilità, regala centinaia di milioni alla genia dei procuratori (capo tra tutti Rajola, tutt’altro che uno stinco di santo). E non si intravede né svolta né pentimento a questa deriva inerziale. Dicono che sia legge del mercato. Dicono.