La ventiseiesima marcia della Pace PerugiAssisi si è svolta lo scorso 24 aprile, raccogliendo eredità e esperienza della precedenti edizioni. Come da tradizione a partire dalla prima marcia del 1961, ideata e promossa dall’intellettuale perugino e filosofo della non violenza Aldo Capitini, gli organizzatori hanno saputo raccogliere le istanze di pace provenienti da varie ispirazioni politiche, laiche e religiose, e arginare le possibili polemiche e strumentalizzazioni.
Nella marcia di quest’anno era però ben presente un dramma, diffuso in tutta Europa e non solo, e relativo alla guerra in Ucraina. È il dramma della valutazione su quali siano concretamente i mezzi per favorire il cessate il fuoco e il ricorso a un dialogo che sia premessa di una stabile pace.
Lo stesso giorno 24 aprile della marcia PerugiAssisi l’editoriale del Corriere della Sera, a firma dello storico Ernesto Galli della Loggia e con titolo Nella storia l’origine delle ossessioni di Mosca, conteneva una breve ma profonda ricostruzione della lunga storia imperialista della Russia, passata attraverso le fasi del plurisecolare impero zarista, poi della rivoluzione, dell’URSS superpotenza mondiale, quindi della dissoluzione dell’URSS con l’evoluzione nell’odierno tentativo espansionista della Russia di Putin, a partire da un territorio che continua a raccogliere qualcosa come duecento diversi gruppi etnici. Il tutto accompagnato da una costante ossessione per la sicurezza, fino alla paranoia di una possibile disgregazione, di possibili complotti o minacce, e la conseguente aggressività. Un eloquente esempio di una tale antica paranoia (evidenziato anche in un articolo su TUTTI) è la genesi nella Russia dei primi anni nel Novecento del libretto Protocolli dei Savi Anziani di Sion, forse la più grande fake news della storia, pretesa di straordinaria rivelazione di un complotto degli ebrei per il dominio del mondo, e che avrà nel secolo conseguenze incalcolabili.
Il citato articolo di Galli della Loggia segnala altresì il ricorrente ricorso a ideologie che affidano alla Russia operazioni salvifiche a carattere mondiale: dalla incarnazione, dopo i due imperi di Roma e di Bisanzio, nella città di Mosca della Terza Roma imperiale e cristiana, al ruolo guida della Russia nella rivoluzione e nell’internazionale comunista, fino all’attuale missione dichiarata dal patriarca Kirill di guidare la restaurazione morale di un mondo dissoluto dalla decadenza della civiltà occidentale. Cosa può fare l’Europa per arginare le minacce che per il continente comportano queste ideologie di potenza e di dominio, insieme all’aggressione bellica da più fronti all’Ucraina? E può pensare di farlo solo con la forza morale delle istanze pacifiste, magari rafforzate con le sanzioni economiche ma con il disimpegno nel fornire armi all’Ucraina? E può gestire tutto ciò da sola, senza il riferimento della Nato, e quindi degli Stati Uniti? Sono queste le drammatiche domande che Galli Della Loggia pone il giorno della marcia PerugiAssisi.
La domenica successiva alla marcia, il 1 maggio, è sempre il Corriere della Sera a proporci la riflessione di Sergio Romano, che vale la pena ricordare essere stato ambasciatore italiano a Mosca negli ultimi anni dell’Unione Sovietica. In un breve articolo dal titolo Così le ambizioni di un uomo soffocano quelle di un popolo, Sergio Romano tratteggia la parabola di Putin sulla scena politica europea, partendo dalla peraltro comprensibile ambizione di restituire alla Russia il suo prestigio internazionale, non solo di potenza politico militare, ma anche di fondamentale riferimento culturale, artistico e letterario. Ma l’errore di invadere l’Ucraina, più che perseguire tale ambizione, ha restituito alla Nato un’importanza perduta negli anni, aprendo una drammatica vicenda in cui presumibilmente il maggiore perdente sarà la Russia. In questa situazione, conclude Sergio Romano, Putin può accettare un accordo di pace solo se costretto da una forza esterna, o da pressioni politiche dei suoi connazionali. Se questo non accade, continuerà a provocare guerre.
Ancora più fosco è il profilo di Putin che emerge da un intervista allo scrittore Gianrico Carofiglio, apparsa su la Repubblica del 10 aprile e dal titolo Perché non possiamo dirci equidistanti sulla guerra tra Russia e Ucraina. Alla domanda finale dell’intervistatore, la risposta di Carofiglio è la seguente: “La mia idea su Putin è tutta in Shakespeare, Macbeth o Riccardo III. È la follia del tiranno che sta andando verso l’epilogo”.
Se è lecito fare riferimento a qualche avvenimento che ha preceduto la seconda guerra mondiale – e purtroppo non poche attuali vicende suggeriscono che lo sia – si può ricordare la Conferenza di Monaco del 1938. Dopo l’occupazione e conseguente annessione dell’Austria alla Germania nazista nel marzo 1938, il 30 settembre l’accordo di Monaco tra Regno Unito, Francia, Germania e Italia consentì la “restituzione” alla Germania da parte della Cecoslovacchia della germanofona regione dei Sudeti. In cambio la garanzia di una pace durevole in Europa. Il primo ministro britannico Neville Chamberlain, rientrato a Londra dopo l’accordo, ebbe il privilegio di affacciarsi da Buckingham Palace insieme al re e alla regina. Winston Churchill, futuro successore di Chamberlain, commentò e profetizzò che “il governo aveva da scegliere tra la vergogna e la guerra, ha scelto la vergogna e avrà la guerra”. Di pochi mesi dopo l’invasione da parte del Terzo Reich delle intere Boemia e Moravia; meno di un anno dopo quella della Polonia.
Secondo i sondaggi, la maggioranza degli italiani è contraria all’invio di armi all’Ucraina, e tale maggioranza è costantemente in crescita. Alcune forze politiche cercano posizioni che possono avvicinarle a raccogliere consensi. Sono drammi nei drammi. Ma naturalmente le più grandi tragedie sono a duemila chilometri a est da noi.