Libertà, armi, morte, distruzioni, energia, profughi, migranti. L’aggressione russa all’Ucraina ha creato mille drammatici problemi diversi. La guerra scatenata da Putin il 24 febbraio ha causato tragici conseguenze in tutte le direzioni. La fine del conflitto ancora non si vede.
Fabio Massimo Castaldo, europarlamentare del M5S, indica la strada di un’azione unitaria dell’Europa in tutte le direzioni come premessa per arrivare alla pace.
1) Dopo due lunghi anni dì pandemia in che modo il Parlamento europeo sta reagendo a questa nuova crisi costituita dalla guerra in Ucraina?
Il Parlamento europeo, così come tutta l’Unione e i suoi Stati membri seppur con diversi gradi d’intensità e con la rilevante eccezione dell’Ungheria, si sono dimostrati da subito uniti e compatti nel denunciare la criminale aggressione russa dell’Ucraina, così come nel fornire tutto il supporto necessario in termini politici, umanitari, finanziari e anche per quanto concerne la fornitura di mezzi militari difensivi alla resistenza organizzata dalle autorità di Kiev. A differenza delle prime fasi dell’emergenza pandemica, questa volta non vi sono state particolari titubanze nel mettere in campo una risposta europea, e insieme ai colleghi eurodeputati del Movimento 5 Stelle siamo stati i primi a chiedere a gran voce che questa compattezza e comunione d’intenti non vada a scemare, ma anzi si rafforzi per far fronte alle conseguenze di medio-lungo periodo di questo atroce e ingiustificato conflitto.
Penso innanzitutto alla necessità sempre più impellente di muoversi verso la comunitarizzazione del settore dell’energia che preveda acquisti e stoccaggio congiunti, e a creare un Energy Recovery Fund finanziato attraverso l’emissione di debito comune sulla scia del Next Generation EU. Attraverso questo fondo sarebbe possibile concedere sovvenzioni e prestiti agli Stati membri al fine di realizzare quelle iniziative dove è evidente il valore aggiunto europeo, come il raggiungimento dell’autonomia energetica basandosi su fonti rinnovabili, con costi molto più contenuti rispetto a quelli che i singoli Paesi si troverebbero a sostenere qualora agissero da soli. Inoltre, queste risorse risulterebbero indispensabili per far fronte all’incremento dei prezzi dell’energia che l’intera Unione si troverà ad affrontare come conseguenza delle sacrosante e necessarie sanzioni imposte alla Russia, le quali potrebbero anche inasprirsi qualora il Cremlino dovesse continuare a compiere atrocità come quelle che ci sono state documentate nei giorni scorsi.
2) Dei molti fronti che questa guerra ha aperto, per esempio quello umanitario, quello migratorio, quello economico, energetico e anche quello militare e strategico, quali sono gli aspetti dì questa guerra che più la preoccupano e dì cui si sta concretamente occupando a livello europeo?
Credo che questo conflitto, così come i suoi profondissimi impatti nell’immediato e nel medio-lungo periodo, non possano essere analizzati ragionando per compartimenti stagni, ma vadano visti in maniera olistica in quanto profondamente interconnessi tra loro. Sul versante umanitario e migratorio, va notato come ci troviamo di fronte ai più elevati numeri di rifugiati in Europa dalla fine della seconda guerra mondiale.
Dall’Europarlamento stiamo chiedendo con forza, e non certo da oggi, che l’UE metta in campo delle risposte comunitarie che dovranno divenire permanenti, così da gestire e risolvere non solo questa crisi, che rimane la priorità più impellente, ma anche per non farci trovare impreparati quando situazioni del genere si verificano nel nostro vicinato immediato, o quando comunque esse hanno impatti profondi sull’Europa, bilanciando i carichi di responsabilità in maniera equa tra tutti i 27 Stati membri dell’Unione. Penso ad esempio al caso dell’Afghanistan, nel quale l’UE non ha dimostrato la stessa compattezza, celerità e prontezza soprattutto per la ferma opposizione di alcuni Paesi che oggi, giustamente, accolgono grandi numeri di rifugiati ucraini.
Per quanto concerne invece il lato economico ed energetico la mia attenzione, così come quella degli altri membri della delegazione del M5S al Parlamento europeo e in piena sinergia con l’operato a livello nazionale, come sottolineato dalle richieste del nostro Presidente Giuseppe Conte, è rivolta a trovare delle soluzioni a tutela dei cittadini e delle imprese italiane ed europee, al fine di evitare che siano proprio loro a pagare il conto più salato di questa guerra scellerata. Come già descritto in precedenza, stiamo spingendo per l’imposizione di un tetto massimo al prezzo del gas e la creazione dell’Energy Recovery Fund, e queste sono da considerarsi priorità assolute e improrogabili.
Sul piano strategico-militare, invece, l’attenzione è sicuramente rivolta a quanto sta succedendo sul territorio ucraino, ma vorrei anche sottolineare la necessità di impegnarsi già da ora per evitare che si scateni un effetto domino di cui, purtroppo, ci sono già le prime avvisaglie. I riferimenti vanno innanzitutto alla situazione nel Nagorno-Karabakh, dove a quasi due anni dall’ultima recrudescenza di un conflitto che si trascina dai primi anni ’90 le truppe azere hanno approfittato della “distrazione” della comunità internazionale e del trasferimento sul fronte ucraino delle truppe di Mosca precedentemente impegnate come peacekeepers nei territori contesi per effettuare operazioni belliche contro le città e la popolazione armena, rischiando di far scivolare i due Paesi in un nuovo conflitto. Allo stesso tempo, andrà monitorata da vicino la situazione dei Balcani Occidentali dove decenni di tentennamenti dell’Unione non hanno permesso di compiere passi in avanti nel processo di adesione dei sei Paesi dell’allargamento, finendo quindi per fomentare e riportare in auge sentimenti nazionalistici e irredentisti che pensavamo consegnati alle pagine più buie della storia europea. Questo malcontento, unito alla sempre maggiore pervasività dell’influenza russa nella regione potrebbe aprire scenari che vanno invece assolutamente scongiurati. Insomma, questa guerra sta mettendo in luce tanti nervi scoperti dell’Unione europea, creando non poche preoccupazioni. Adottando un approccio olistico, stiamo cercando di proporre soluzioni sostenibili e realizzabili, sempre nell’ottica di un rafforzamento dell’integrazione europea.
3) Secondo le sue previsioni che impatto potrà avere questa guerra, il cui esito resta ancora incerto, sul percorso dì integrazione europeo e sull’assetto delle sue istituzioni? Si è sempre detto che l’Unione si costruisce attraverso momenti di crisi, crede che questa crisi potrà servire almeno in questo senso?
Gli esiti di questo conflitto brutale, insensato e ingiustificato sono ancora tutti da scrivere, sia sul piano operativo che su quello politico. Ad oggi appare evidente come, sul piano internazionale, il regime di Putin esca tutt’altro che rafforzato da questa guerra anche al netto del possibile, ma per ora non apertamente concretizzatosi, avvicinamento alla Cina di Xi; un avvicinamento che tra l’altro vedrebbe Mosca sempre più nel ruolo di junior partner di Pechino.
Per quanto riguarda le relazioni tra l’UE e il Cremlino, invece, la frattura è ormai insanabile. Fermo restando il continuo supporto di Bruxelles alla società civile russa, la quale è per la stragrande maggioranza contraria a questo conflitto voluto da Putin e dalla sua ristretta cerchia di oligarchi, e va pertanto supportata in tutte quelle battaglie legate al rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto, l’invasione russa è riuscita a compattare il blocco dei 27 Stati membri a livelli quasi senza precedenti. Certo, rimane la rilevante eccezione dell’Ungheria di Orban, il quale continua a strizzare l’occhio a Putin ponendosi su posizioni quantomeno ambigue rispetto agli altri leader europei, ma questo non fa altro che disgregare la compattezza dimostrata finora dal cosiddetto Gruppo di Visegrad, da sempre restio a procedere speditamente sulla strada di una maggiore integrazione europea.
Pertanto, credo che vi siano le precondizioni per rilanciare il processo d’integrazione sia per quanto riguarda gli affari interni, con l’emissione di nuovo debito comune per finanziare l’Energy Recovery Fund e quindi la transizione verde basata sulle rinnovabili che dovrà portarci ad acquisire l’indipendenza energetica, che per ciò che attiene all’azione esterna dell’UE. Su quest’ultimo punto la necessità più impellente è certamente quella di rivedere l’assetto decisionale dell’UE, andando oltre il requisito dell’unanimità ancora richiesta in sede di Consiglio per ciò che attiene alla Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC), estendendo anche a questa dimensione il voto a maggioranza qualificata già impiegato in quasi tutte le altre politiche dell’Unione. Allo stesso tempo sarà necessario dare seguito alle parole pronunciate dall’Alto Rappresentate, Josep Borrell, durante la scorsa sessione Plenaria del Parlamento europeo, incrementando il livello d’integrazione nel settore della sicurezza e della difesa attraverso investimenti coordinati e congiunti a livello unionale, evitando così improvvide e scoordinate fughe in avanti da parte dei singoli Stati membri che rischierebbero di ampliare i problemi già presenti invece di risolverli. La chiave per un’Europa più forte e autonoma nel dominio della sicurezza e della difesa sta nella riduzione delle frammentazioni e delle duplicazioni ancora esistenti a livello industriale e dello sviluppo capacitivo, e questo obiettivo può essere ottenuto solo se ci si muove insieme, mentre se si continuerà a preferire le vie esclusivamente nazionali o bilaterali al di fuori dell’alveo delle iniziative già messe in campo dall’Unione si otterrebbe l’effetto opposto. Pertanto, la via maestra da seguire per rafforzare il nostro ruolo sullo scacchiere globale sta nello spendere meglio e in chiave cooperativa europea, non nello spendere di più a livello nazionale senza coordinarsi con gli altri Stati membri.
Come ben ci illustrava Jean Monnet, l’Europa sarà la somma delle risposte che saprà dare alle crisi che dovrà fronteggiare. Di certo, negli ultimi due anni le crisi non sono mancate: dalla tremenda pandemia con cui ci troviamo a fare i conti ancora oggi e la conseguente crisi economica da essa scatenata, al conflitto in Ucraina che ha riportato alla luce i rischi securitari coi quali ci troviamo ancora oggi a fare i conti, fino al rincaro dei prezzi dell’energia che questa guerra ha scatenato. Benché non senza difficoltà, siamo stati in grado di dare una risposta comune alla prima di queste sfide epocali, e ora, muovendosi all’interno del solco già tracciato, dovremo trovare la forza e il coraggio di continuare su questa via. Credo che le condizioni ci siano tutte, ora è tempo che i governi nazionali decidano se vogliono stare dalla parte giusta della storia, o da quella sbagliata.
4) Si parla di una guerra che rischia di essere lunga, quali pensa possano essere le vie, eventualmente non ancora percorse, per mettere fine a questo conflitto?
Ritengo che, purtroppo, allo stato attuale delle cose trovare una soluzione diplomatica e negoziale al conflitto sia quantomai arduo, se non proprio irrealistico, per via della volontà del Presidente russo Putin di continuare questo conflitto. Pertanto, occorrerà rendere chiaro al Cremlino che i costi di una soluzione manu militari, sempre ammesso che la Russia abbia la capacità e la strenua volontà di raggiungerla, sarebbero semplicemente insostenibili.
A tal fine, sarà necessario continuare sulla strada delle sanzioni, ponendo anche un embargo sull’import di fonti energetiche russe all’interno dei territori dell’UE, come tra l’altro richiesto dal Parlamento europeo durante la scorsa sessione plenaria, mettendo parallelamente in campo tutte quelle iniziative volte a limitare i drastici impatti di questa scelta nell’immediato, e investendo continuamente nella transizione verde nel medio-periodo. Nostro malgrado ci troviamo a pagare il salatissimo conto di decenni di politiche energetiche miopi e sbagliate, sia a livello unionale che dei singoli Stati membri, le quali ci hanno legati mani e piedi alla Russia e altri Paesi terzi, molti dei quali presentano un modello di governance totalmente incompatibile con i valori e i principi cardine dell’UE. Ora è tempo di correre ai ripari; le alternative esistono, basta puntarci con convinzione.
5) Dalla prospettiva privilegiata del Parlamento europeo quanto le sembra che pesino le istanze dei paesi dell’ex blocco sovietico come per esempio i paesi baltici, la Polonia o la Repubblica Ceca?
Com’è normale che sia, all’interno dell’UE vi sono spesso sensibilità diverse date dalla storia e dalla cultura politica specifica di ogni Paese. Il caso dell’illegale invasione russa dell’Ucraina, ovviamente, ha scosso le coscienze dei cittadini dei Paesi dell’ex-blocco sovietico con una magnitudo ancora superiore rispetto alla già enorme inquietudine che attanaglia gli altri Stati membri dell’UE, e questo può aver portato, soprattutto nelle battute iniziali del conflitto, alcuni leader di tali Paesi a prendere posizioni particolarmente forti e ancor più dure rispetto a quelle di altri governi.
Nonostante queste sfumature date, come detto, dalle differenze esistenti tra gli Stati membri, l’Unione ha dimostrato un’enorme comunione d’intenti, e ha messo in campo tutte le risorse per giocare un ruolo fondamentale nel supporto alla resistenza ucraina, adottando anche una serie di sanzioni senza precedenti. Quindi, direi che le istanze e le preoccupazioni dei Paesi che hanno conosciuto l’occupazione sovietica in passato siano state e siano tutt’ora tenute adeguatamente in considerazione, ma queste si sono inserirete nella più generale volontà europea di opporsi con fermezza alle follie imperialiste e alla volontà di riscrivere le regole del diritto internazionale dimostrate da Putin.
6) A oggi l’Unione europea ha mostrato grande unità nell’affrontare la crisi ucraina, quali le sembrano gli aspetti che più potrebbero mettere a rischio questa unità?
Il conflitto in Ucraina ci ha dimostrato, qualora vi fosse ancora bisogno di una controprova, che sfide come questa possono essere gestite e risolte positivamente solo se si agisce in maniera unitaria e in chiave unionale. Proprio in virtù di questa presa di coscienza credo che non vi siano fattori particolari che possano mettere seriamente in crisi l’unità d’intenti attuale ma, al contrario, auspico che questa si rafforzi ulteriormente. Ovviamente sullo sfondo rimane l’annoso problema che attanaglia da sempre l’integrazione europea, ossia quello legato all’eventualità che alcuni Stati membri possano continuare a porre il proprio interesse nazionale di breve periodo davanti all’interesse europeo, più generale per natura e certamente più lungimirante.
Penso, per esempio, all’embargo sulle importazioni di fonti di energia dalla Russia, il quale sembra al momento bloccato dal veto di alcuni Stati membri, e che potrebbe divenire una questione dirimente. Tuttavia, appare evidente come di fronte a bivi storici come questo vi siano soltanto due alternative: possiamo vincere tutti insieme, o perdere agendo separatamente; non esistono soluzioni intermedie o ibride, e credo che mai come ora anche i governi nazionali stiano comprendendo l’essenzialità del rilancio dell’integrazione europea.
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