Un’enorme quantità di informazioni è disponibile mentre le attività di disinformazione di governi e gruppi d’interesse sono più pervasive che mai grazie alla disponibilità di strumenti sempre più raffinati. L’attività di disinformazione è ad ampio spettro ed è mirata, contrariamente a quanto spesso si crede, a persone intelligenti e preparate, basti pensare all’attività che i servizi di intelligence operano gli uni contro gli altri. Chi si ritiene immune dalla disinformazione è un bersaglio addirittura più facile da cogliere.
La disinformazione opera sul piano razionale e psicologico. Sul piano razionale si costruisce una struttura, un racconto, che incorpora dati statistici, scientifici, pareri autorevoli e luoghi comuni, consentendo di argomentare e fornire un’impressione di serietà e professionalità. Sul piano psicologico si fa leva su emozioni quali rabbia (si ricordino le storie dei nazisti sulle violenze e gli stupri subiti dalla popolazione tedesca nei Sudeti), indignazione, depressione, speranza, euforia.
Più le emozioni suscitate sono forti, più l’opera di disinformazione è efficace. Si deve scegliere un bersaglio, il cattivo della storia, colui che impedisce il bene e diffonde il male, da combattere ed annientare ai fini del ristabilimento del bene. Il bersaglio può essere uno stile di vita (quello corrotto occidentale che “diffonde l’omosessualità” – sic – è stato usato per giustificare la guerra in corso), un paese, un’organizzazione, un gruppo (gli ebrei per la propaganda nazista), una religione o una persona. Il cattivo serve anche quando si desidera mandare un messaggio utile e positivo (es. alimentazione sana). I disinformatori possono avere anche fini non negativi. Nella disinformazione è utile ricorrere alla cosiddetta causa esterna: ad esempio il maltempo per giustificare la disastrosa agricoltura sovietica. Una volta definita, la causa esterna permette lo spostamento dell’attenzione dai problemi reali al nemico che è dietro questa causa, facendo dimenticare progressivamente il problema iniziale e concentrando la rabbia solo sul nemico. Perché funziona?
Due motivi:
- le persone sono mediamente pigre ed è difficile che vadano a fondo nel far verifiche (ammesso e non concesso che siano in grado di farle). Più semplice (minor costo energetico) aderire ad una verità bella e pronta purché sia semplice e lineare.
- le persone agiscono in base all’interesse e quindi tendono ad accettar per buono quello che ritengono non nuocere o favorire i loro interessi (leva molto forte nelle dittature)
Disinformazione non è sinonimo di “fake new”. Nella disinformazione mentire è pericoloso. La scoperta di una menzogna può far crollare l’intera struttura. Partire da una verità a forte impatto emotivo è molto efficace e quindi è utile fornire delle informazioni vere e facilmente verificabili in modo da rendere affidabile e credibile il racconto. Nel far questo si combinano un insieme di verità, anche non correlate tra loro, si ricorre il più possibile a luoghi comuni di facile accettazione e si usa strumentalmente la natura equivoca del linguaggio naturale. La struttura del racconto permette di associare facilmente fatti non correlati e con un po’ di maggiore complessità narrativa di dissociare quelli correlati, senza negarli singolarmente.
Per costruire un racconto che spieghi con semplicità ed apparente chiarezza la realtà si fa ricorso almeno a questi elementi:
- luoghi comuni di facile accettazione
- dati statistici
- aneddoti e storie personali ad alto impatto emotivo (importante citare nomi e dati che rendano viva la persona di cui si parla)
- principio d’autorità: si fa leva su nomi di esperti e sulla connessa presunta superiorità di giudizio. Non è infrequente che gli esperti vengano citati del tutto fuori contesto o che siano semplicemente esperti ma non dell’argomento citato.
- discorsi di carattere generale, “da cui non si può prescindere”. In questo modo si possono aggiungere delle classi addizionali di elementi fuorvianti.
La tecnica del racconto facilita l’ottenimento degli stati mentali desiderati, ad esempio la paura, l’euforia, la rabbia. I dati rilevanti e la capacità di lettura, nella migliore delle ipotesi, sono disponibili solo per cerchie ristrette e di sicuro non sono condivisi sui media. Le evidenze mostrano che persino gli attori primari (i belligeranti) non abbiano sempre una percezione puntuale della situazione. La disinformazione colpisce pesantemente i gruppi autoreferenziali che accettano solo dati che confermano la propria ideologia, ovvero fatti che supportino le scelte del gruppo (regime) o del suo leader.
Le tecniche di disinformazione sono alla base delle modalità di comunicazione usate dai populisti di sinistra e di destra. L’ampiezza dell’appoggio dato alla crescita di questi gruppi dalla Russia è oggetto di discussione.
I populisti hanno inventato le armi “di difesa e quelle di aggressione”, quali siano nessuno lo sa ma molti credono che esistano. L’obiettivo della disinformazione populista di destra e di sinistra è pace = resa ucraina o almeno rallentare la reazione del nostro paese dando quel vantaggio temporale di cui ha tanto bisogno chi nel passato era pubblicamente riconosciuto come loro amico, esempio e mentore. Un editore assume una posizione blandamente critica sul capo di una delle due parti belligeranti, l’aggressore per intenderci, successivamente le sue reti danno spazio alla propaganda del ministro degli Esteri del regime aggressore. Libertà d’informazione, vanto dell’Occidente libero, o opera di disinformazione?
L’aggressore ha molti amici importanti nel nostro paese, ne conoscerà oltre al nome e cognome, anche l’IBAN? Oppure questi rientrano più semplicemente nel novero di quelli che Lenin definiva “utili idioti” o sono invece gli “Illuminati” del momento? I disinformatori hanno successo perché soddisfano un bisogno interiore di sicurezza servendosi di racconti basati su credenze, ovvero su stati mentali frutto di percezioni della realtà che derivano da fatti ritenuti veri o affidabili. La differenza tra vero e affidabile nella percezione comune è sottile e su questo opera la disinformazione.
Non ci sono grandi differenze tra professionisti dell’informazione ed il loro pubblico. La conoscenza di fatti rilevanti non è molto dissimile, entrambi non conoscono il futuro, entrambi usano strumenti previsionali discorsivi, entrambi si basano su storie e credenze. Le storie dei professionisti dell’informazione sono più strutturate e basate su modelli di raffinata complessità anche matematica. Queste storie sono “facili” da tradurre in credenza perché sono di “facile orecchiabilità”. Esattamente come il motivetto di una canzone. Disinformatori, politici, professionisti dell’informazione sono tutti consci che il loro “cliente” desidera storie facili, lineari, meglio se interpretabili con il ricorso a luoghi comuni.
La diffusione di una pletora di opinioni variamente fondate e di distinguo sulla guerra in corso è funzionale alla strategia dei nemici delle democrazie occidentali poiché nella caotica nuvola d’informazioni è facile insinuare dubbi e spingere il pubblico verso la sospensione del giudizio e la conseguente inerte ignavia facilita l’agire del sanguinario aggressore. Lo spazio concesso ad analisi fondate su scarse e poco affidabili informazioni, su storie create ad arte crea una nuvola d’informazioni paragonabile a nebbia ed è un gigantesco “assist” per chi non tiene in alcuna considerazione il diritto internazionale, è nemico dichiarato dei valori su cui si fonda l’occidente democratico e non esita ad essere attore di morte.
Foto di apertura libera da Pixabay