Le prossime elezioni europee del 2029, l’Expo’ 2030 a Roma sono obiettivi paralleli per consolidare il ruolo europeo di Roma come “global city” e per coniugare la ricostruzione di Roma e il rilancio del Cantiere Europeo.
Sono stati questi i temi centrali del recente incontro per la creazione di una rete civica per Roma Capitale europea alla quale aderisce l’”Associazione TUTTI Europa ventitrenta” e che si è svolto il 2 Maggio a Palazzo Valentini e a cui ha partecipato tra gli altri anche il sindaco Roberto Gualtieri. L’incontro è stato anche l’occasione per illustrare l’impegno dell’”Associazione TUTTI Europa ventitrenta” nel processo di integrazione e di costruzione europea ed in particolare nell’ambito della Conferenza sul futuro dell’Europa, i cui lavori si sono conclusi il 10 maggio a Strasburgo.
Ma la fine della Conferenza non segna certo la fine di questo processo, piuttosto l’inizio di un Cantiere europeo, e bisogna puntare ad una “nuova e coraggiosa fase costituente” come ha ricordato l’ambasciatore Giovanni Brauzzi che ha parlato a nome dell’Associazione “fino a quando il Parlamento europeo venga eletto con un chiaro mandato costituente per completare il disegno di Altiero Spinelli”.
“Il problema dell’allargamento infatti prima che geopolitico è essenzialmente metodologico”, ha detto Brauzzi con riferimento all’attualità: “Se si vuole aumentare la cubatura di un edificio si deve prima di tutto consolidarne le fondamenta”.
In questo contesto anche Roma può dare il suo contributo perché “la chiave dei rapporti tra Roma e il Mondo sta nell’Europa” ha ricordato Brauzzi, di cui riportiamo di seguito l’integralità dell’intervento.
Verso una “RETE CIVICA PER ROMA CAPITALE EUROPEA. DALLA CONFERENZA SUL FUTURO DELL’EUROPEA AL CANTIERE PER LE RIFORME COSTITUZIONALI EUROPEE”
Quando è stata lanciata la Conferenza sul Futuro dell’Europa, abbiamo deciso, come Associazione Tutti Europa Ventitrenta, di partecipare ai suoi lavori, tramite la Piattaforma Digitale Multilingue. L’europeismo è nel DNA della nostra Associazione, sin dalle esperienze giovanili degli anni Settanta (un viaggio in torpedone da Roma a Strasburgo nel luglio del 1979 per salutare l’apertura del primo Parlamento Europeo eletto a suffragio universale), e avremmo voluto portare il nostro contributo a questo ulteriore momento di rilancio del progetto europeo. Ci siamo quindi innanzitutto dotati di un “account” dell’Associazione sulla Piattaforma ed abbiamo preso a “navigarla” con una certa regolarità. Dei tre momenti previsti (partecipare ad eventi; lanciare idee; organizzare eventi), siamo riusciti a essere attivi solo sul secondo stadio.
Avevamo lanciato sette proposte. Sei sono ancora sul tappeto ed in qualche misura sono riflesse, in tutto o in parte, nelle prossime deliberazioni della Conferenza. Una è già stata accantonata dai Governi europei ma non disperiamo di farla riemergere, prima o poi.
Avevamo chiesto di rendere Erasmus obbligatorio per tutti gli universitari europei. Nell’era dei “low cost” e del “roaming”, serve una spinta verso una ulteriore incentivazione dell’equivalente “democratico di massa” del “Grand Tour” di una volta, che diventi un momento qualificante per la crescita di un’identità europea del futuro, fatta di diversità, complessità e sottigliezze, reale antidoto ai veleni della noiosa omologazione globalizzante e dell’altrettanto sinistro rigetto fondamentalista. Ci fa poi piacere che sia stata recepita l’idea di un’Unione Europea della Salute. Lo consideriamo un tema fondamentale per catturare l’attenzione dei cittadini europei dopo la pandemia e recuperare l’orgoglio della copertura sanitaria universale come conquista sociale nata in Europa. Idem per la nostra sollecitazione sul “dilemma delle migrazioni in Europa”, per rilanciare un dibattito su “chi siamo, dove andiamo, cosa vogliamo” in un mondo in cui l’Europa verrebbe marginalizzata ancor di più ove si “chiudesse a riccio”.
Avevamo poi anche noi chiesto di “rendere permanente il meccanismo SURE” per dare corpo alla prospettiva di “rendere duratura l’emergenza”, dotando di adeguati ammortizzatori sociali le transizioni in atto di qui al 2050 (verde e digitale). Bisogna rendere più ambizioso il Programma Sociale adottato a Porto.
Con la proposta di una “Carta delle Donne Europee della Cultura” avevamo sollevato l’enorme problema delle radici sessiste e misogene del canone della patriarcalità della conoscenza. Da esso – in ultima analisi – discendono gran parte dei problemi di genere, che così pesantemente condizionano le potenzialità di uno sviluppo sociale equo e sostenibile. Se questo succede ancora in Europa, come possiamo poi atteggiarci a coscienza del mondo?
Siamo stati infine tra coloro che hanno proposto un percorso condiviso “dagli Eurobond ad un Bilancio Comune e un’Imposizione Diretta per finanziare i Programmi”, Non casualmente avevamo elaborato la nostra idea sotto la voce “Democrazia Europea” invece che sotto quella più prevedibile della “economia più forte, giustizia sociale ed occupazione”. Vorremmo infatti, anche parlando di tassazione, sottolineare l’aspetto istituzionale, ovvero la rivitalizzazione del metodo comunitario, che necessita di risorse proprie per rendere efficace ed ambiziosa la condivisione di sovranità.
Queste sono le idee che abbiamo pubblicato sulla Piattaforma Digitale.
Ce ne era anche un’altra, forse la più ambiziosa (Unificare le Presidenze di Commissione Europea e Consiglio Europeo), imperniata su un’interpretazione “politica” dell’Art.15 TUE per promuovere, senza iniziali modifiche dei Trattati, un nuovo processo costituente europeo. Voleva essere un’idea semplice e coraggiosa al tempo stesso. Idea semplice perché anche i “non addetti ai lavori” capiscono quanto sia goffa – e controproducente in termini di credibilità esterna dell’Europa – la formula attuale dei due Presidenti, l’uno contraltare dell’altro, con l’ovvio risultato di attenuare, se non addirittura paralizzare, ogni spinta innovativa che dovesse emergere nel processo decisionale europeo. Molto meglio andare verso una semplificazione nella narrativa della c.d. “governance” europea. Sospettiamo fortemente che tutto quello che vada in direzione della semplificazione trovi un istintivo sostegno nell’opinione pubblica. Tutti, da Kissinger all’uomo della strada, plaudirebbero a questa innovazione chiarificatrice. Ma anche un’idea coraggiosa perché sarebbe una mossa politica, in risposta ad una petizione dal basso, che, senza modificare la lettera dei Trattati, ne potrebbe alterare notevolmente gli equilibri interni, a favore della riemergente dimensione comunitaria, vero propulsore del processo d’integrazione europea.
La democrazia europea cresce insieme con il prevalere dello spirito comunitario sulle dinamiche intergovernative. Un passo importante in questa direzione verrebbe realizzato se la presidenza dell’organo comunitario (cioè la Commissione Europea) guidasse anche l’organo intergovernativo (cioè il Consiglio Europeo). “Mutatis mutandis”, avviene così anche in un ente molto più intergovernativo come l’Alleanza Atlantica: il Segretario Generale dell’organizzazione presiede anche il Consiglio degli Stati Membri. Niente nei Trattati comunitari impedisce questo eventuale cumulo di incarichi. Basterebbe interpretare la prima frase del punto 2 dell’art.15 TUE (“Il Consiglio Europeo è composto dai Capi di Stato o di Governo degli Stati Membri, dal suo Presidente e dal Presidente della Commissione”) ricorrendo alla formula del “doppio cappello”, già del resto impiegata anche per il cumulo degli incarichi dell’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza, che è contemporaneamente Vice Presidente della Commissione Europea.
In realtà, il 24 marzo scorso, il Consiglio Europeo, tutto preso ad affrontare le conseguenze dell’aggressione russa dell’Ucraina, ha confermato Michel nell’incarico sino alla fine della legislatura.
Non abbiamo mai nutrito soverchie illusioni su una effettiva partecipazione della società civile europea ad una organica riflessione a 360 gradi sul futuro del processo d’integrazione europea. Ma abbiamo cercato lo stesso di appropriarci dei pur minimi spazi concessi. La nostra modesta ma convinta testimonianza mirava soprattutto ad evitare l’indiretto avallo di un modello piramidale, per il quale si dà sfogo iniziale alle aspirazioni della base e poi man mano si arriva a distillare solo qualcosa di molto conforme ai metodi ed agli obiettivi dell’establishment. Molto meglio la costruzione di una rete, che permetta maggiore circolazione di idee ed interazioni tra livelli diversi, per aprire – come ha ben detto il Presidente del Movimento Europeo Italia, Pier Virgilio Dastoli – un cantiere … aperto ai “non addetti ai lavori”.
Questa è infatti la proposta che rilanciamo oggi, la creazione di una “Rete Civica per Roma Capitale Europea”.
Con la recente riconferma di Macron all’Eliseo, la Conferenza sul Futuro dell’Europa ha già ottenuto il suo vero obiettivo (la sconfitta dei sovranismi anti europei) e verosimilmente si chiuderà, come previsto, sotto Presidenza Francese. La Conferenza ma non necessariamente il Cantiere Europeo. E’ questo, del resto, il messaggio che emerge in questi giorni dal Parlamento Europeo: andare oltre la Conferenza per mantenere aperto il Cantiere Europeo almeno fin che dura EU Next Generation ed il sogno di un “momento hamiltoniano” per l’Europa. Farlo lavorare sino a quando il Parlamento Europeo venga eletto con un chiaro mandato costituente per completare il disegno di Altiero Spinelli. Questo ci sembra l’orizzonte nel quale vorremmo operare, anche attraverso il lavoro collettivo, che ci auguriamo venga intrapreso dopo la nostra riunione odierna.
E dobbiamo prepararci ad una lunga marcia. Ci apparirebbe estremamente velleitario pensare che si riescano a formalizzare le modifiche dei Trattati, alle quali puntiamo in tempo per le elezioni europee della primavera 2024. Bisognerà quindi realisticamente puntare alle elezioni del 2029, fiduciosi anche nelle vibrazioni in senso filo-europeista di una positiva messa in opera dei progetti finanziati dal programma EU Next Generation. In tal caso, l’orizzonte temporale allargato dovrebbe permettere anche un serio tentativo di armonizzazione delle leggi nazionali per tale elezione, così da far progredire ancora il consolidamento di un terreno politico comune.
Dopo il “freno a mano tirato” degli ultimi decenni, per i compromessi intergovernativi al ribasso impostici da Londra (ma con la connivenza di tanti altri), bisogna assolutamente puntare, al di là delle strettoie dell’attuale Conferenza sul Futuro dell’Europa, verso una nuova, coraggiosa “fase costituente”, guidata dal Parlamento e dalla Commissione, che culmini con la ratifica popolare delle riforme adottate attraverso un unico referendum da tenersi simultaneamente in tutti gli Stati membri.
Nella “finestra di opportunità” offerta dalla gestione dei programmi “EU Next Generation” e “EU Green Deal” e dall’applicazione delle nuove modalità di indebitamento condiviso, ci troviamo in condizione di sperimentare progressi verso una “sempre più’ stretta unione”, che sappia superare l’attuale tabù di decisioni prese solo all’unanimità, invece che in base ai due semplici parametri della maggioranza qualificata (ovvero almeno 15 Stati Membri su 27, in rappresentanza di almeno il 65% della popolazione totale dell’Unione Europea).
Se, lungo questo percorso, dovessimo poi perdere qualche altro compagno di strada, sarebbe forse il male minore. Subiamo ancora le conseguenze della scelta affrettata compiuta dopo la caduta del Muro di Berlino (“widening before deepening”)). La strategia di allargare sostanzialmente solo il mercato unico, senza mettere prima in comune altri strumenti di governo, ha generosamente alimentato grandi speranze ma ha anche generato equivoci, di cui scontiamo ancora le conseguenze, con la regressione sovranista ed illiberale di alcuni Paesi dell’Europa Centrale ed Orientale. Con un’accorta gestione dei nuovi fondi europei, potremmo – e dovremmo – reintrodurre invece un po’ di sana “condizionalità” in merito al rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto. Sarebbe ora di cambiare strategia, per tornare allo spirito delle origini, di una costruzione che progredisce passo dopo passo, secondo la c.d. teoria della “cremagliera”.
Il problema dell’allargamento, infatti, prima che geopolitico, è essenzialmente metodologico: se uno vuole aumentare la cubatura di un edificio, deve prima di tutto consolidare le fondamenta. Se no, crea un castello di carte che crolla al primo alito di vento. Sarà quindi inevitabile andare verso un’”integrazione differenziata”, con ulteriori allargamenti come segnale di immediata solidarietà ma anche con il consolidamento di un “nucleo duro” che marci senza indugio verso maggiori e più stringenti vincoli comuni.
Tra l’altro, ci sono forse ora le condizioni per superare finalmente il trauma CED del 1954, attraverso il rilancio della prospettiva della c.d. “difesa europea”, che è sì iniziativa di coordinamento ed armonizzazione delle strutture militari ma anche – e forse prima – espressione di una più complessiva ricerca di effettiva autonomia strategica europea, nella prospettiva del completamento dell’Unione Politica Europea. Basta intendersi, non siamo alla vigilia della creazione di un “esercito europeo” ma possiamo – e dobbiamo – progredire, con lo spirito di Jean Monnet, verso un profilo esterno dell’Unione, che sia in grado di gestire un maggior numero di situazioni lesive della pace e della stabilità internazionale.
Tanto per reagire alla pandemia del Coronavirus quanto per opporsi all’invasione russa dell’Ucraina, l’Europa ha dimostrato di esserci quando il momento si fa grave. Lo “EU Next Generation”, prima, ed il Programma di Versailles, ora, confermano la perdurante validità dell’assunto di un processo politico che matura soprattutto in condizioni di crisi.
La presidenza unificata, che avevamo perorato, avrebbe aiutato non poco in direzione di una nuova “fase costituente europea” volta a promuovere il carattere democratico e sovranazionale della solidarietà e della cittadinanza europea, liberata dai calcoli miopi dei mercanteggiamenti al ribasso delle istanze intergovernative e restituita alle più genuine aspirazioni di tutela della dignità umana che accomunano la società civile europea. Non importa. Come diceva Samuel Beckett: “Ever tried. Ever failed, No matter. Try again, Fail again. Fail better”.
Tutto ciò premesso, come potrebbe contribuire il nostro esercizio di Roma Capitale Europea?
L’agenda dello EU Next Generation e le scadenze internazionali che attendono Roma offrono grandi opportunità ma delineano anche grandi responsabilità. Oltre alle pressanti necessità della gestione quotidiana di una metropoli complessa e fragile, occorre infatti tornare a “pensare in grande”, come nel 1871 Theodore Mommsen ricordava a Quintino Sella: “A Roma non si sta senza avere dei propositi cosmopoliti”.
Ma la chiave dei rapporti tra Roma e il mondo sta nell’Europa. Sta nel sogno di “una sempre più stretta Unione”, qui dichiarato nel 1957. Sta nel “metodo comunitario” del far prevalere gli interessi comuni sugli egoismi ed i freni dei patteggiamenti intergovernativi.
Dobbiamo riprendere un percorso virtuoso. Partendo da quanto Roma può già offrire, e potrebbe ancor di più offrire, se tutti ci impegniamo.
Roma è già una “global city” per la sua storia e la sua “grande bellezza”, nonché per alcuni obiettivi punti di forza (Fiumicino ormai uno degli scali aeroportuali migliori al mondo; Roma come la “capitale più verde d’Europa”; la Sapienza come prima università nelle classifiche internazionali per gli studi di filologia classica). C’è’ però ancora tantissimo da fare per recuperare posizioni su tantissimi dei parametri che misurano la qualità della vita nelle realtà urbane. C’è da attuare la “città dei quindici minuti” per i servizi, la “cura del ferro” per la mobilità, c’è da lavorare sodo per aver qualcosa da mostrare nel 2030 quando il tema dell’Expo dovrebbe proprio essere: “Persone e territori; rigenerazione urbana, inclusione e innovazione”.
Il Manifesto per Roma Capitale Europea offre molte idee per questo obiettivo e delinea già una larga convergenza di forze della società civile disponibili a collaborare per attuare questo ambizioso disegno. La nostra Associazione ha sottoscritto a suo tempo il Manifesto e siamo lieti che si sia avviato un costruttivo dialogo con la Giunta Gualtieri, che ne ha accolto positivamente le raccomandazioni. E’ molto importante quindi che si pongano oggi le basi per una fattiva collaborazione operativa sulle cose da fare, magari insieme. Ci rendiamo disponibili per dare una mano al futuro Assessorato romano per l’Europa.
Speriamo infatti di contribuire a coniugare insieme la ricostruzione di Roma ed il rilancio del Cantiere Europeo.
Poniamoci come obiettivi paralleli le Elezioni Europee del 2029 e l’Expo’ 2030 a Roma.
Tutto si tiene in questo disegno. Ma tutto si costruisce giorno per giorno, con le idee, l’impegno e la fatica di ognuno di noi.
Tante tessere di un grande mosaico, al quale saremmo lieti di prestare la nostra opera, partecipando con la nostra Associazione alla costituzione di una Rete Civica per Roma Capitale Europea, che ci auguriamo possa essere oggi lanciata.