Piero Benassi, rappresentante permanente dell’Italia presso l’Unione europea, ha una lunga esperienza sulle spalle. Da 39 anni in diplomazia e dopo aver ricoperto incarichi molto rilevanti come ambasciatore in Tunisia e in Germania, come capo di gabinetto del ministro degli Esteri e poi del presidente del Consiglio, l’ambasciatore Piero Benassi ha mantenuto lo spirito di apertura e disinvoltura che solo chi ha grandi competenze e grandissima autorevolezza può permettersi.
Con lui abbiamo parlato di tutto quello che sta accadendo in Europa, e che occupa le sue giornate impegnate a promuovere e difendere le posizioni italiane in ambito UE, partendo dal suo privilegiato punto di osservazione.
«Io ho lasciato un’Europa a 15 e l’ho ritrovata a 27» esordisce l’ambasciatore riferendosi al numero di paesi che hanno aderito all’UE e ricordando che alla fine degli anni ’90 aveva già lavorato per alcuni anni in rappresentanza a Bruxelles: «Le sensazioni si modificano con l’esperienza, ma quella che mi ha più marcato è quella degli anni in cui sono stato sherpa e consigliere diplomatico del presidente del Consiglio e durante i quali ho partecipato a diversi negoziati, sia intergovernativi sia squisitamente comunitari, in cui ho sviluppato una fortissima collaborazione con il mio predecessore, l’ambasciatore Massari, accompagnata da stima professionale e amicizia personale, anche perché abbiamo condiviso una delle pagine più importanti che ci legherà per tutta la vita che è stato il negoziato che portò al Next generation EU, in cui l’Italia uscì vedendo soddisfatta la totalità delle sue richieste».
«Quello è stato il bollettino storico di crescita dell’Unione europea, una risposta congiunta ad una crisi così drammatica che ha certificato l’assoluta maturità politica dell’Unione» fa notare Benassi secondo il quale «il Next generation EU è come gli assi cartesiani, sul lato delle ascisse ha le risorse finanziarie che permettono di realizzare progetti ma sul lato delle ordinate ha le riforme strutturali che in parte possono anch’esse essere finanziate con i fondi del NGEU». Per questo adesso «la capacità dei vari paesi di avanzare nell’ottenimento delle tranches del NGEU dipenderà sia dal volume e dalla qualità dei progetti che dallo stato di avanzamento delle riforme strutturali» e anche nel caso dell’Italia «dipenderà tutto da noi ma fino ad oggi abbiamo ottenuto le prime tranches ricevendo anche una pagella molto alta come ha confermato di recente anche la Presidente Van der Leyen».
«Ma il negoziato non fu facile» ricorda l’ambasciatore che ne è stato tra i protagonisti principali «e non fu neanche sempre raccontato nel modo corretto perché non si trattò proprio di un match tra i frugali e gli altri ma fu un negoziato molto più complesso».
Secondo l’ambasciatore «l’ammontare finanziario della risposta dell’Unione alla crisi del Covid andava a pareggiare come risposta fiscale le misure della BCE, che dopo un mese dall’inizio del lock down generalizzato in Europa, sparò un cannone monetario importante di circa 1100 miliardi di euro che aveva bisogno di un contro altare di politica fiscale per renderlo efficiente e duraturo. Per questo si cominciò con i 100 miliardi del programma SURE, i 200 miliardi di sostegno alle PMI attraverso la BEI, poi ci fu anche la linea sanitaria a valere sul MES di 100 miliardi, e se noi sommiamo quella prima risposta ai 750 miliardi del NGEU, arriviamo proprio a circa 1100 miliardi».
«Con il NGEU l’Europa non poteva uscirne meglio dal punto di vista politico, economico e sociale ma soprattutto nella percezione dei cittadini sulla rilevanza dell’Europa stessa, il cui simbolo è stato il finanziamento della ricerca, la produzione dei vaccini e la distribuzione a prezzo unitario» prosegue Benassi che aggiunge: «L’altra storia di successo è stato il ‘covid digital certificate’ noto in Italia come Green Pass. Ma con una sfida che si apprestava a vincere niente lasciava immaginare che ce ne sarebbe stata una ancora più grande come l’aggressione Russa all’Ucraina che ci fa vedere in maniera anacronistica quello che pensavamo di non vedere più cioè dei carri armati che attraversavano il suolo europeo. E come tutte le guerre, anche questa ha portato con sé in primo luogo una tragedia umanitaria, in secondo luogo, collegata alla tragedia umanitaria che non avviene per caso, responsabilità internazionali per crimini di guerra e, a cascata, una questione economica, una questione sociale e una questione di architettura di sicurezza a partire dal continente europeo ma probabilmente non solo: infine questa ulteriore drammatica sfida di una potenziale catastrofe alimentare. La fine della guerra fredda aveva portato un silenzioso riaggiustamento del sistema di sicurezza e credo che ci sia sempre stata consapevolezza del potere magnetico che la NATO prima e l’UE dopo esercitavano su paesi che erano stati sotto il giogo della vecchia Unione Sovietica fino al 1989, ma ritengo – prosegue Benassi – che il grosso del movimento dei paesi occidentali dalla fina della guerra fredda ad oggi sia stato un adeguamento storico di carattere non aggressivo».
Secondo l’ambasciatore «c’è stato un potere di magnetismo sia nell’alleanza militare ma soprattutto nell’Unione europea che non ha nessun precedente della storia, una organizzazione che si può genericamente definire internazionale ma più correttamente va definita come sovranazionale, che parte con 6 paesi nel 57, che ha attirato i molti paesi che hanno voluto farne parte».
Sempre secondo l’ambasciatore in occasione della guerra «c’è stato un atteggiamento di unitarietà che non trova riscontri nelle ultime decadi».
«Quando si parla di unità o di divisioni in Europa bisogna sempre ricordare che parliamo di 27 Stati membri con 27 storie diverse, con 27 culture diverse, con 24 lingue diverse, e in qualche caso anche un alfabeto diverso, e con 27 opinioni pubbliche diverse – fa notare Benassi – che però in questo caso hanno adottato 5 pacchetti sanzionatori in meno di 72 ore dalla proposta della Commissione europea alla pubblicazione in Gazzetta ufficiale e solo nel caso del sesto pacchetto abbiamo impiegato qualche settimana in più anche per qualche sbavatura di comunicazione».
Oltre alle sanzioni la guerra è stata anche occasione per riaffermare i principi e i valori su cui si basa l’Unione europea, spiega l’ambasciatore Benassi «perché la guerra ha portato con sé tante altre sfide, una in particolare che tocca gli interessi che ho seguito per anni che è la questione migratoria, benché da italiano fossi da sempre concentrato sulla questione migratoria proveniente dal sud del mondo e quindi con l’Italia come primo punto di approdo nel Mediterraneo».
«Insieme ad altri Stati membri infatti l’Italia ha orgogliosamente applicato la direttiva del 2002 sui rifugiati temporanei a favore dei milioni dei cittadini ucraini che sono fuggiti dalla guerra» – ci spiega ricordando che in questo momento sono circa 6 milioni i rifugiati ucraini sul suolo europeo. «A coloro che ne fanno richiesta viene riconosciuto questo status che consente l’acquisizione di tutti i diritti di un cittadino dalla scuola per i figli all’assistenza sanitaria alla possibilità di entrare nel mercato del lavoro. Io credo che questa sia la migliore risposta dei valori e dei principi che l’Unione europea difende e porta avanti: è una cosa molto concreta, non uno slogan ad effetto, con un risultato effettivo perché ci sono milioni di cittadini ucraini che possono legittimamente godere di questi diritti».
Il tema della migrazione si lega agli esiti del recente Consiglio Giustizia e Affari interni «in cui, grazie all’azione dell’Italia, ben coordinata con la Presidenza francese, siamo riusciti ad ottenere un primo e importante passo nel mettere insieme responsabilità nella gestione dei flussi e solidarietà verso i Paesi più esposti alla pressione migratoria dal Mediterraneo. Dal punto di vista della solidarietà si è deciso uno schema con una dichiarazione politica di fondo che anche su base volontaria ci sta portando verso una massa critica di Stati europei disponibili ad operare azioni di ricollocazione, cosa abbastanza impensabile fino a due tre anni fa, con un focus specifico sulle operazioni di salvataggio in mare».
«C’è anche una maggiore definizione dei compiti degli Stati di primo arrivo – prosegue Benassi – attraverso l’avanzamento delle disposizioni note come screening ed Eurodac che consentono una migliore e più completa analisi e registrazione degli arrivi per tutelare al meglio Schengen».
«Sono anche molto orgoglioso – aggiunge – di aver partecipato al negoziato sull’applicazione della famosa direttiva sullo stato di rifugiato temporaneo agli Ucraini, che di fatto è stato negoziato in Coreper ed è stato approvato con procedura scritta così come nel caso dei primi cinque pacchetti sanzionatori».
A fronte di argomenti così importanti, ci spiega l’ambasciatore «devo ammettere che le mie sensibilità di cittadino, di funzionario dello Stato, e di rappresentante dell’Italia a Bruxelles coincidono perfettamente – e prosegue – anche se in questo anno a Bruxelles sono stato completamente coinvolto nell’attività del Coreper per il processo legislativo in corso come ad esempio l’apparato normativo che discende dal programma “Fit for 55” sull’ambiente in cui un grosso ruolo lo svolgono i ministri tecnici».
Poi ci sono delle considerazioni personali, prosegue Benassi che riguardano la credibilità e coerenza di quello che diciamo: «Per esempio noi tendiamo a non essere più burocratici degli altri; se abbiamo un’idea tendiamo a metterla sul tavolo e a condividerla e in parole povere, e pur essendo legati dalle istruzioni dalla capitale io cerco sempre di presentarle ai miei colleghi nella maniera più convincente possibile e magari anche più estroversa possibile». «Oppure se rilevo qualche atteggiamento troppo burocratico da parte della Commissione o di qualche Stato membro mi piace ricordare alcuni passaggi in cui se fossimo stati solo burocratici non avremmo risposto alle grandi sfide, e a volte mi piace anche ricordare Churchill che disse – a proposito dei Balcani – non vorrei che noi stessimo producendo più storia di quanto siamo in grado di assorbirne, perché questo è esattamente il problema di questo periodo in cui sono talmente tante le sfide sul tavolo che la capacità di vincere queste sfide passa dalla capacità di assorbirle».
«Ma in tutti i miei anni da diplomatico ho registrato che quando il mio paese doveva sforzarsi per raggiungere alcuni standard è sempre stato perfettamente in grado di raggiungere gli obiettivi e non c’era un problema di capacità o qualità dell’amministrazione pubblica, delle forze di governo, della società civile, dell’imprenditoria, della ricerca. Non c’è un settore dove siamo indietro come capacità individuali anzi credo che ci siano molti settori in cui altri paesi hanno preso esempio da noi. Ad esempio in alcuni settori della giustizia o della sicurezza, perché noi siamo un paese molto avanzato nel contrasto alla criminalità organizzata, sia dal punto di vista legislativo che dell’azione di repressione sia delle forze di polizia che della magistratura, così come siamo molto avanzati per quanto attiene al contrasto al terrorismo o a odiosi fenomeni come il riciclaggio di denaro sporco e quando mi sono trovato coinvolto in qualche battuta da parte di qualche collega straniero che aveva letto sui giornali di fatti di mafia o di corruzione ho adottato una difesa, sicuramente anche un po’ affettiva del mio paese, e ho ricordato che se le cose si leggono sui giornali è proprio perché c’è maggiore attenzione e contrasto da parte delle istituzioni. E se non lo si legge sui giornali altrui non vuol dire che il problema non esiste. Il fatto che se ne parli non dà di per sé la classifica. Anzi».
L’ultimo passaggio di questa chiacchierata con l’ambasciatore Benassi non poteva non toccare la Conferenza sul futuro dell’Europa, un’iniziativa avviata «sotto il peso di diversi condizionamenti politici e istituzionali» ma comunque positiva, come gli analoghi precedenti, indipendentemente dal pronostico iniziale, perché consente alla UE di fare un “tagliando” salutare della propria capacità di comunicazione e dialogo con strumenti innovativi quanto perfettibili (come la piattaforma digitale multilingue) e anche di esporsi a critiche e input di miglioramento.
La Conferenza è coincisa con la crisi pandemica e nel segno di un messaggio di freno da parte di alcuni Stati che fin dall’inizio avevano dichiarato che non volevano si parlasse di modifica dei trattati «mentre l’Italia ha avuto un atteggiamento di apertura – spiega Benassi – andiamo a vedere quali sono problemi più sentiti da parte delle opinioni pubbliche, anche a seguito dei cambiamenti epocali degli ultimi anni, impegnandoci in un dialogo aperto». Dalla Conferenza sono comunque uscite indicazioni e il dibattito adesso dovrà immaginare «come le Istituzioni possono realizzarle insieme in direzione di una Europa più efficiente e di converso più vicina ai cittadini perché la seconda cosa è conseguenza della prima – spiega l’ambasciatore – perché l’Europa si allontana dai cittadini quando diventa astrusa e inefficiente ma quando diventa efficiente, come nel caso per esempio della produzione, acquisto e distribuzione dei vaccini, i cittadini europei lo capiscono bene».
Ma cosa può rimanere di questa conferenza chiediamo all’ambasciatore: «Alcuni temi sono stati posti sul tavolo e non può esserci un approccio one-size fits all: le proposte hanno differenti condizioni e tempi di realizzazione, che sono l’oggetto proprio in questi giorni delle analisi del Consiglio e della Commissione. Se alcune proposte non hanno immediata realizzazione operativa non significa quindi che siano state inutilmente poste sul tavolo, perché stimolano e portano avanti dibattiti importanti, come quello sul superamento dell’unanimità, sull’esigenza di investire non solo sul digitale e sull’ambiente ma anche sulla salute, sull’energia, sulla difesa e non ci può essere politica di difesa senza una politica estera – sottolinea Benassi che ricorda – anche il presidente Draghi è stato molto chiaro sul fatto che bisogna superare il vincolo dell’unanimità anche se sul modo per superarlo si confrontano diverse scuole di pensiero, ma l’argomento è già palesemente sul tavolo e questo dimostra l’utilità dell’impulso impresso dalla Conferenza sul futuro dell’Europa».
In questo contesto, conclude l’ambasciatore «l’unità europea deve rimanere, accettando anche il principio inevitabile che se si lavora per consenso bisogna accettare il principio che si deve andare alla velocità del vagone più lento, ma il vero auspicio è che il vagone più lento non sia troppo lento».
Foto di apertura Sala del Consiglio UE con il posto dell’Italia