Dentro l’Europa. Ma anche fuori. Una strana sensazione di sgomento coglie il cittadino del vecchio continente quando si trova a ragionare sulle speranze di Ventotene, sui primi vagiti di intesa europea, pensando ai padri storici dell’idea. E misurando gli scarsi risultati attuali.
Valutati su questioni pratiche. Come l’assenza di forze collettive europee in grado di porsi come alternativa alla Nato in caso di provocazioni belliche, come quella attuata dalla Russia nei confronti dell’Ucraina. Nonostante un gran chiacchierare della politica sulla costituzione di un corpo militare di pura difesa europea, nulla si è fatto in concreto per la sua creazione.
E così si ricorre a un’invenzione degli Stati Uniti, insolitamente vecchia perché pattuita negli scenari susseguenti alla guerra mondiale, come reazione al blocco ormai ampiamente disciolto del Patto di Varsavia. La stessa scarsa fantasia inventiva che fa ripetere come un mantra l’adozione di un piano Marshall per qualunque area di crisi economica del globo terracqueo. E poi, ulteriore nota stonata, la palese asimmetria nell’elenco dei paesi aderenti all’Unione Europea e quelli di area Euro. Come se un alone di diffidenza e di impossibilità economica, nonostante i livellamenti della globalizzazione, impedisse il pieno coinvolgimento in un’area di maggiore problematicità.
Diffidenza e scetticismo che hanno provocato la non ancora metabolizzata Brexit britannica, un duro colpo alle speranze di un unanimismo continentale. Parliamo dell’uscita di una nazione che molto ha contato negli equilibri di quello che una volta era considerato il secolo breve. Oggi, anche se nessuno pensa di uscire dall’Euro, vent’anni dopo, non si può dire che il fronte degli Euro-scettici consista di una modesta minoranza. L’Europa sembra ancora imbozzolata nella palese difficoltà di coniugazione collettiva, in zona sovranismo e populismo, per una vera parificazione politico/fiscale/culturale, solo per citare tre aree di importante peso specifico. Europa sulla carta, determinazione nazionale (o nazionalistica, se preferite, Orban ne è esempio preclaro) dall’altra parte. Il segno evidente di un’Europa divisa, che non riesce neanche a mettersi d’accordo sulle sanzioni da comminare a Putin per punirlo del suo imperialismo di stampo zarista. Era luogo comune ragionare sulla collocazione nel vagone di seconda classe per l’Italia al momento del varo dell’Euro (1936,27 lire che in realtà alludevano alle 1.000 come cambio per l’Euro).
Ebbene, è diverso oggi il ruolo di una Romania entrata nell’Unione europea come fanalino di coda e non uscita da un’economia stagnante di stampo sovietico? Chi sostiene che è stato creato un Euro a misura di Germania non va molto lontano dalla verità. E sembra anche stentata la difficoltà con cui l’Unione Europea valuta le richieste di ingresso. Per accogliere l’Ucraina occorreranno dieci giorni o venti anni? Forse esageriamo ma non è chiaro. E appare a tutti evidente l’asimmetria tra Unione Europea e Nato. Falsi amici, forse. Eppure nella logica di stritolamento delle grandi potenze – in ordine di podio Stati Uniti, Cina, Russia – l’Europa, prima di soccombere avrebbe qualche legittima parola da spendere sul piano dell’autonomia politica. Pensiamo che a questa stagione abbiano vistosamente contribuito i suoi decisori dell’ultimo ventennio. Non c’è all’orizzonte un Adenauer, uno Spinelli e neanche un De Gasperi, semmai la sconsolante mancanza di personalità dei leader attuali.
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