Si dice: se hai un problema che deve essere risolto dalla burocrazia, ti conviene cambiare problema. Per l’uso delle energie rinnovabili in Italia questo metodo, purtroppo, non è possibile. Stiamo andando avanti con alti e bassi dovuti alla solita schizofrenia politica (il caso del termovalorizzatore di Roma ne è l’ultimo esempio) e c’è sempre un però.
Gli investimenti su eolico, fotovoltaico idrogeno, biomasse ci sono, sono attraenti. Ma il nodo – con buona pace del Ministro Renato Brunetta e dei Presidenti di Regione – restano le autorizzazioni a fare. Ovviamente non mancano, come sappiamo almeno da venti anni, le organizzazioni e i comitati contrari a nuove iniziative di economia circolare. Il 21 giugno a Roma si svolge la Conferenza nazionale sulla nuova Strategia di sviluppo sostenibile. Il governo vuole mettere la parola fine su ogni aspetto e partire finalmente con i soldi del PNRR. Tuttavia nel 2021 gli imprenditori italiani hanno già investito 13,5 miliardi di euro (+48% rispetto al 2020) nelle nuove fonti creando 15 Gigawatt di nuova potenza elettrica. Non un cattivo risultato. E le iniziative messe in cantiere da Nord a Sud, isole comprese, sono state più di 400.
Sono numeri presi dall’ Irex Annual Report 2022, della società Althesys. Ciò che disturba e offusca le molte buone intenzioni sullo sviluppo sostenibile di un Paese che in fatto di energia deve comprare quasi tutto, è la montagna burocratica. Gli analisti hanno scavato a fondo nei documenti ministeriali e delle Regioni facendoci sapere alla fine che sempre nel 2021 su 264 progetti eolici e fotovoltaici 188 erano in attesa di autorizzazioni. Eppure il fotovoltaico da solo ha assorbito 6 miliardi di euro e si conferma la fonte green più interessante. Ma su 60 impianti autorizzati, ce ne sono ancora 169 fermi sui tavoli di Ministeri, Regioni e Comuni. Certo, bisogna gestire la transizione dal vecchio al nuovo, che – a mio avviso – ha ancora bisogno di una parte delle vecchie fonti, ma non si fermano i nuovi progetti perché si è affezionati al petrolio o al gas. C’è dell’altro.
Non si capovolge un modello economico, in quattro e quattr’otto, sebbene l’Unione europea abbia indicato date precise per la decarbonizzazione. Come è confermato nel Report, da un lato bisogna garantire a famiglie e imprese l’energia necessaria ad andare avanti, dall’altro si deve spingere di più sulle fonti pulite con tecnologie garantite. Per farlo bisogna sconfiggere il mostro di una burocrazia onnipresente. Le cronache e i summit ci ripetono ogni giorno che su questo in Europa non c’è unanimità politica.
Si, in campo ci sono anche più di 200 progetti per l’idrogeno verde con centinaia di imprese coinvolte, ma i costi di produzione sono elevati. Senza farsi troppe illusioni “l’idrogeno resta una scommessa con una sostenibilità economica non scontata nonostante il mutato scenario energetico”. Non bisogna rassegnarsi o rimescolare le carte. Lo spirito europeo va salvaguardato. Tuttavia credo che tutto quello che è stato messo a punto vada fatto e bene. L’Italia, circondata dal prestigio internazionale del suo guidatore Mario Draghi deve aumentare la velocità delle autorizzazioni e dei pareri favorevoli a tutto ciò che richiede un percorso verso obiettivi di lungo periodo. È la sfida più rilevante che assolutamente non può perdere.